Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24879 del 10/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 24879 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
PERUGIA
nei confronti di:
ZHOU DACHONG N. IL 27/08/1974
avverso la sentenza n. 190/2011 GIUDICE DI PACE di PERUGIA, del
04/11/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE SANTALUCIA
Udito il Procuratore generale in rsona del Dott.
\
che ha concluso per

z7F

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 10/05/2013

RITENUTO IN FATTO
Il Giudice di pace di Perugia ha dichiarato Dachong Zhou responsabile del reato di cui all’art.
10-bis d. Igs. n. 286 del 1998 in quanto, quale cittadino extracomunitario, aveva fatto ingresso
o comunque si era trattenuto sul territorio dello Stato italiano in violazione delle norme in
materia di immigrazione, alla data del 15 marzo 2011.
Ha quindi condannato il predetto alla pena di C 5000,00 di ammenda, sostituendo detta pena
pecuniaria con la misura dell’espulsione dal territorio dello Stato italiano, senza peraltro

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il procuratore generale presso la Corte di
appello di Perugia, deducendo:
violazione di legge. La norma incriminatrice si pone in contrasto con gli artt. 7 e 15
della direttiva 2008/115/CE, che attribuiscono diritti ai singoli stabilendo che la
decisione di rimpatrio deve fissare un periodo congruo per la partenza volontaria, di
durata compresa tra sette e trenta giorni, e delineando in termini stingenti i
presupposti che giustificano il trattenimento.
Se è pur vero che gli Stati possono prevedere il rimpatrio come sanzione penale o
come conseguenza di sanzione penale, è escluso che la stessa condotta, che
costituisce il presupposto per l’applicazione della direttiva, possa essere disciplinata
e sanzionata dal legislatore nazionale in maniera difforme e maggiormente lesiva dei
diritti di libertà.
Occorre quindi concludere che gli Stati non possano prevedere che alla mera
presenza irregolare dello straniero sul territorio nazionale ed alla sua mancata
collaborazione all’allontanamento possano essere ricollegate conseguenze, o
trattamenti, incompatibili con le finalità della direttiva stessa, da individuarsi
nell’allontanamento nel rispetto dei diritti di libertà.
Il rimpatrio conseguente a sanzione penale è quindi soltanto quello che sia previsto
come conseguenza di condotte, penalmente rilevanti, diverse da quella che
costituisce il presupposto applicativo della direttiva.
Peraltro, la procedura prevista per l’espulsione come sanzione sostitutiva viene
eseguita attraverso l’accompagnamento coattivo alla frontiera, mentre la direttiva
europea prescrive, all’art. 7 § 1, che il principio ordinario debba essere quello
dell’allontanamento volontario, sulla base di un ordine di rimpatrio che dia allo
straniero un termine compreso tra i sette e i trenta giorni.
Il ricorrente ha quindi concluso con la richiesta di annullamento della sentenza
perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e, in via subordinata, con la
richiesta di sospensione del processo e rinvio degli atti alla Corte di giustizia
dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 TFUE, per l’esatta interpretazione dei
contenuti prescrittivi della direttiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
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determinarne la durata.

Il ricorso è fondato per le ragioni e nei limiti di seguito esposti.
La norma che incrimina le condotte di ingresso e permanenza illegale nel territorio dello
Stato – art. 10-bis d.lgs. n. 286 del 1998 – ha di recente superato il vaglio di compatibilità
costituzionale: il Giudice delle leggi, con sentenza n. 250 del 2010, ha precisato che la norma
non punisce una «condizione personale e sociale» – quella, cioè, di straniero «clandestino» (o,
più propriamente, «irregolare») – e non criminalizza un «modo di essere» della persona.
Essa, invece, punisce uno specifico comportamento, costituito dal «fare ingresso» e dal

Si è quindi di fronte, rispettivamente, ad una condotta attiva istantanea (il varcare
illegalmente i confini nazionali) e una a carattere permanente di natura omissiva, consistente
nel non lasciare il territorio nazionale.
La condizione di “clandestinità” è, in questi termini, la conseguenza della condotta
penalmente illecita e non già un dato preesistente ed estraneo al fatto, e la rilevanza penale Oi
correla alla lesione del bene giuridico individuabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla
gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativa: si tratta di un bene
“strumentale”, per mezzo della cui tutela si accorda protezione a beni pubblici “finali” di sicuro
rilievo costituzionale. Per queste ragioni non è stata una scelta arbitraria la predisposizione di
una tutela penale di siffatto interesse, che si atteggia a bene giuridico di “categoria”, capace di
accomunare buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998.
Sulla base di questo nucleo argomentativo la Corte costituzionale ha decretato la
compatibilità della norma di cui all’art. 10-bis d. Igs. n. 286 del 1998 con alcuni principi della
Carta fondamentale, specificamente e principalmente con quelli desumibili dagli artt. 2 e 3.
Per quel che poi attiene alla compatibilità con la normativa sovranazionale, in particolare
con la direttiva CE n. 115 del 2008, si è di recente registrato l’intervento risolutivo della Corte
di giustizia con la decisione del 6 dicembre 2012 sulla domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Rovigo, nel procedimento penale a carico
di Md Sagor. Ed è appena il caso di ricordate che già questa Corte aveva statuito che «la
fattispecie contravvenzionale prevista dall’art.

10-bis d.lgs n. 286 del 1998, che punisce

l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la c.d. direttiva europea sui
rimpatri (direttiva Commissione CEE 16 dicembre 2008, n. 115), non comportando alcun
intralcio alla finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di agevolare ed assecondare
l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi di valido titolo di
permanenza e non è in contrasto con l’art. 7, par. 1 della medesima, che, nel porre un termine
compreso tra i 7 e 30 giorni per la partenza volontaria del cittadino di paese terzo, non per
questo trasforma da irregolare a regolare la permanenza dello straniero nel territorio dello
Stato» – Sez. 1, n. 951 del 22/11/2011 (dep. 13/1/2012), Gueye, Rv. 251671 -.
La Corte di giustizia, con la richiamata decisione, ha escluso che le disposizioni della
direttiva impediscano alle legislazioni statali di affidare ad una pronuncia giudiziaria di
carattere penale la decisione impositiva dell’obbligo del rimpatrio.
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«trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni di legge.

La pena dell’espulsione, sì come prevista nell’ordinamento italiano, non si pone in contrasto
con le disposizioni della direttiva, seppure comporti un obbligo di rimpatrio immediatamente
esecutivo e non implichi l’adozione di una separata decisione circa l’allontanamento. E però,
siccome priva l’interessato della possibilità di concessione di un periodo di tempo per la
partenza volontaria, come invece è sancito dall’art. 7 par. 4 della direttiva, la deroga a tale
previsione di garanzia e quindi la mancata concessione di un periodo per la partenza volontaria
sono condizionate allo specifico apprezzamento, tra l’altro, del pericolo di fuga e quindi di

Le decisioni di espulsione che comprimano il diritto all’allontanamento volontario non
possono pertanto prescindere da un esame in concreto delle singole vicende poste alla
cognizione del giudice, fermo peraltro che la compatibilità con la direttiva dipende anche
dall’imposizione di una durata del divieto di reingresso compatibile con le previsioni del relativo
art. 11 par. 2.
E a tale ultimo proposito va richiamata la conforme precedente decisione di questa Corte,
secondo cui «il giudice di pace, nel pronunciare condanna per il reato di ingresso e soggiorno
illegale nel territorio dello Stato, non può disporre l’espulsione dello straniero come sanzione
sostitutiva, se non ne determina la durata (Conf. sentenze da n. 4718 del 2012 a n. 4725 del
2012 e 4758 del 2012, tutte n.m.)» – Sez. 1, n. 4317 del 25/01/2012 (dep. 1/2/2012), P.G. in
proc. Arain, Rv. 251859 -.
Escluso che le disposizioni della direttiva precludano di sanzionare il soggiorno irregolare
con una pena pecuniaria sostituibile con la pena dell’espulsione, la Corte di giustizia ha
decretato che il giudice interno ha comunque l’obbligo di disapplicare la normativa nazionale
che, imponendo l’espulsione quale risposta sanzionatoria penale, non consenta all’interessato
di fruire dell’opzione della partenza volontaria in tutti i casi estranei alla previsione di deroga
dell’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva medesima, e quindi non caratterizzati da un pericolo
di fuga, o da un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale o,
ancora, dal rigetto, per manifesta infondatezza o per fraudolenza, di una precedente domanda
di soggiorno.
Così ricostruito il quadro delle compatibilità con la normativa costituzionale e con quella
sovranazionale, questa Corte non può che rilevare l’illegittimità della sostituzione della pena
pecuniaria con la misura dell’espulsione ove non preceduta e sostenuta da un esame in
concreto della vicenda, e quindi dall’apprezzamento di una di quelle condizioni che possano
giustificare la deroga alla regola generale della priorità della procedura di allontanamento
volontario.
La sentenza impugnata non ha svolto detto necessario esame, oltre a non stabilire la
durata dell’espulsione e, pertanto, deve essere annullata con rinvio, in modo che il giudice del
merito possa valutare se sussistano le condizioni per la sostituzione della pena pecuniaria con
la misura dell’espulsione, fissandone eventualmente la durata, e, per il caso che ciò non sia, si
astenga dall’applicare la normativa interna che detta sostituzione consente in modo non
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sottrazione del condannato alla procedura di rimpatrio.

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7.1

conforme ai contenuti prescrittivi della direttiva europea, sì come esplicitati dalla decisione
interpretativa della Corte di giustizia.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Giudice di pace di Perugia.

Così deciso, il 10 maggio 2013.

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