Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24874 del 30/10/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 24874 Anno 2015
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
LO BELLO Salvatore, nato a Termini Imerese (PA) il 16/04/1972,
avverso la sentenza del 14/01/2013 della Corte di Appello di Palermo;
esaminati gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale Vincenzo Geraci,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. Francesco Caratozzolo, che ha insistito per
l’accoglimento dell’impugnazione.

FATTO E DIRITTO
1. Con il ministero del difensore Salvatore Lo Bello impugna per cassazione la
decisione della Corte di Appello di Palermo che ha confermato la sentenza resa il
28.2.2012, all’esito di giudizio abbreviato, dal g.u.p. del Tribunale di Palermo, con cui è
stato condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione ed euro 8.000 di
multa, con contestuale confisca della somma di euro 65.200, per il reato di omessa
comunicazione della variazione del proprio patrimonio di cui al combinato disposto degli
artt. 30 e 31 L. 13.9.1982 n. 646. Condotta omissiva realizzata dal Lo Bello, condannato
per associazione mafiosa e sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza
speciale di p.s. disposta con decreto del Tribunale di Palermo in data 11.3.2004 e
divenuto definitivo il 29.6.2004, per non avere segnalato entro il previsto termine di

Data Udienza: 30/10/2014

legge al Nucleo di P.T. della Guardia di Finanza di Palermo la vendita, avvenuta per atto
pubblico notarile del 20.4.2005 (registrato presso la locale agenzia delle entrate il
2.5.2005), di un immobile abitativo sito a Termini Imerese al dichiarato prezzo di euro
65.200. Vendita perfezionata dalla moglie del Lo Bello quale sua procuratrice speciale,
essendo il prevenuto detenuto in carcere all’atto della stipula.
Pacifica essendo valutata dai giudici di merito, perché non contestata, la
materialità (condotta omissiva) del reato ascritto al Lo Bello, l’alienazione del suo

nel decennio successivo alla irrevocabilità (29.6.2004) del decreto applicativo della
misura di prevenzione personale (la sentenza di appello che ne ha confermato la
responsabilità per il reato di cui all’art. 416-bis c.p. è divenuta irrevocabile dopo la
compravendita), la sentenza di appello ha respinto i rilievi difensivi sulla insussistenza
del dolo (generico) del reato. Rilievi incentrati sulla natura pubblica dell’atto di vendita
stipulato dall’imputato, agevolmente conoscibile dall’amministrazione pubblica e dalla
polizia giudiziaria, e sulla liceità della compravendita, dovendo escludersi ogni intento
dissimulatorio o di occultamento del cespite da parte dell’imputato. Al riguardo la Corte
territoriale ha sottolineato che il reato omissivo proprio ex art. 31 L. 646/82 prescinde
dalla natura privata o pubblica del negozio modificativo del patrimonio dell’agente e dalla
liceità o meno della provenienza dei cespiti modificativi (per cessione o acquisto) della
sua capacità economica.
2. Con il ricorso sono formulati i due motivi di censura di seguito esposti.
2.1. Con il primo articolato motivo di doglianza si deduce l’erronea applicazione
degli artt. 31 L. 646/82 e 192 c.p.p. e la carenza e palese illogicità della motivazione
dell’impugnata decisione di secondo grado.
La Corte territoriale, recependo acriticamente le conclusioni del giudice di primo
grado, ha omesso di svolgere una accurata disamina del dolo del reato. A meno di
scivolare in una sorta di responsabilità oggettiva per effetto della semplice omissione
della comunicazione alla polizia tributaria, non può eludersi una rigorosa verifica della
colpevolezza e del dolo, secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale (ordinanza n.
442 del 2001) che impone sempre l’attenta verifica dell’elemento soggettivo di ogni
reato commissivo od omissivo.
Nel caso di specie il contegno omissivo del ricorrente si caratterizza per totale
mancanza dell’elemento soggettivo del reato, dovendo tale contegno essere ricondotto a tutto concedere- ad una mera negligenza o dimenticanza penalmente non rilevante. A
tali esiti valutativi induce il dato, asseverante la buona fede dell’imputato, dell’essere
stata la vendita “incriminata” perfezionata con atto notarile, cioè con un atto pubblico
sorretto dalle connesse forme di pubblicità legale, ivi compresa la sua comunicazione agli
uffici delle imposte. In proposito, nel contrasto degli orientamenti della giurisprudenza di

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immobile per un valore superiore alla “soglia” di legge (euro 10.329) essendo avvenuta

legittimità, non può non condividersi l’indirizzo per cui deve escludersi la sussistenza del
reato ex art. 31 L. 646/82 quando sia assicurata la pubblicità dell’atto negoziale, sì da
renderne impossibile l’occultamento.
La Corte territoriale, valorizzando la brevità del tempo intercorso tra la definitiva
imposizione della misura di prevenzione personale e la stipula dell’atto pubblico da parte
del Lo Bello (stipula che la Corte suppone avvenuta anche intenzionalmente poco prima
del passaggio in giudicato della sentenza che ne ha sancito la colpevolezza per il reato di
associazione mafiosa), tralascia di considerare: che la compravendita ha riguardato un

compimento dell’atto negoziale l’imputato non ha posto in essere alcun artificio
dissimulatorio della vendita, come si evince dall’autorizzazione al rilascio della procura
speciale a vendere alla moglie, raccolta da un notaio nel carcere di Benevento (ove era
detenuto il Lo Bello).
2.2. In subordine il difensore del ricorrente invoca la declaratoria di estinzione del
reato per decorso del relativo termine di prescrizione, la data del commesso reato
dovendo connettersi all’epoca della censurata compravendita effettuata nel 2005 e non a
quella, fissata dal capo di imputazione, corrispondente al successivo accertamento della
ipotizzata omissione dichiarativa da parte della G.d.F. (16.6.2009).
3. Le ragioni di censura delineate dal ricorrente sulla sua responsabilità per il
reato attribuitogli sono destituite di fondamento, dovendo trovare accoglimento soltanto
il subordinato rilievo sulla sopravvenuta prescrizione del reato.
3.1. La Corte di Appello di Palermo (come in precedenza il giudice di primo grado)
non ha trascurato di svolgere una adeguata analisi dell’elemento soggettivo del reato
contestato al Lo Bello, facendo corretta applicazione dei consolidati principi in tema di
valutazione della prova del dolo nei reati omissivi. Non ha pregio, quindi, la doglianza del
ricorrente sull’asserita presunzione in re ipsa del dolo scaturente dalla sola condotta
omissiva integrante l’oggetto materiale del reato di cui all’art. 31 L. 646/82. I giudici del
gravame si sono avvalsi, proprio in ragione della veste pubblica rivestita dall’atto
negoziale non comunicato alla Guardia di Finanza dal Lo Bello, di adeguati indici storici
del fatto, rivelatori della rappresentazione e della consapevolezza realizzatrice della
condotta illecita, tali da far ritenere la stessa frutto della volontà colpevole dell’imputato.
Dati sintomatici tratti dalla oggettiva prevedibile irrevocabilità della condanna per
fatti di mafia ex art. 51 co. 3 c.p.p. e dalla già intervenuta definitività della misura di
prevenzione personale, come previsto dall’art. 30 L. 646/82, sì da non potere il Lo Bello
ignorare lo specifico obbligo di comunicazione delle variazioni del proprio patrimonio alla
polizia tributaria. Di guisa che la vendita avvenuta a breve distanza di tempo dalla
definitività della misura di prevenzione induce ad escludere che l’inosservanza
dell’obbligo informativo nei termini di legge possa attribuirsi ad incuria o a semplice

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appartamento posseduto legittimamente dall’imputato (frutto di lecito acquisto); che nel

negligenza.
Né appare pertinente la circostanza addotta in ricorso per cui il decreto
applicativo della misura di prevenzione non avrebbe contenuto l’obbligo di comunicare
eventuali variazioni patrimoniali. Nessuna incidenza escludente il dolo, sotto il profilo
della ignoranza scusabile della legge penale, può riconoscersi all’eventualità che la c.d.
carta precettiva della misura di prevenzione non abbia reso esplicito l’obbligo del
sottoposto di provvedere alla comunicazione di ogni mutamento nella composizione del
suo patrimonio (Sez. 5, n. 14996 del 25.2.2005, Ruà, Rv. 231366). Obbligo di durata

effetto legale tipico di una condanna per fatti di mafia o dell’imposizione di una misura di
prevenzione personale divenute definitive. Del resto l’addotta ignoranza dell’obbligo
informativo delle variazioni patrimoniali da parte del prevenuto non è di per sé idonea ad
escludere il dolo generico del reato, perché l’art. 30 L. 646/82, che impone tale obbligo,
costituisce norma integratrice del precetto penale, specificato nel successivo art. 31 della
legge. Di tal che l’ignoranza della ridetta norma si traduce non in errore sul fatto, ma in
una inescusabile ignoranza della legge penale, suscettibile di eventuale rilievo
unicamente in caso di sua dimostrata e oggettiva inevitabilità (v.: Sez. 6, n. 33590 del
15.6.2012, Picone, Rv. 253199; Sez. 6, n. 6744/14 del 7.11.2013, D’Angelo, Rv.
258991).
3.2. Il reato previsto dall’art. 31 L. 646/82 è un reato speciale o c.d. proprio
(potendo essere commesso soltanto da chi nel decennio precedente i fatti modificativi
della propria consistenza patrimoniale sia stato condannato per reati di mafia ovvero sia
stato sottoposto a misura di prevenzione personale), di pura omissione (reato c.d.
omissivo proprio), avente natura di reato di pericolo presunto (l’evento del reato è
integrato dalla mancata comunicazione del fatto patrimoniale modificativo, eccedente il
valore “soglia” indicato dall’art. 30 L. 646/82, nei termini previsti dalla stessa norma).
Tali connotazioni consentono di escludere, al contrario di quanto si suppone nel
ricorso, ogni rilevanza -ai fini del perfezionamento del reato- alla veste pubblica o meno
che abbia assunto l’atto dispositivo dell’obbligato e alla stessa liceità del bene oggetto
dell’atto dispositivo. Diversamente da quel che si sostiene nel ricorso, infatti, la
giurisprudenza di legittimità non registra alcun serio contrasto sulla penale
apprezzabilità, integrativa del reato di omessa comunicazione delle variazioni
patrimoniali, dell’essere le variazioni avvenute mediante atto traslativo redatto con atto
pubblico notarile piuttosto che con scrittura privata o in altre forme (cfr. ex plurimis:
Sez. 1, n. 37515 del 22.9.2010, Messina, Rv. 248574; Sez. 2, n. 4667/11 del
19.11.2010, Ladisa, Rv. 249658; Sez. 5, n. 40338 del 21.9.2011, Raso, Rv. 251724).
Né la preesistente legittima disponibilità del bene “variante” il patrimonio del
soggetto agente ovvero l’accertamento postumo della sua lecita acquisizione e

decennale derivante dalla legge (art. 30 L. 646/82) e costituente, in buona sostanza, un

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disponibilità giuridica sono dotati di incidenza scriminante ai fini della commissione del
reato di cui all’art. 31 L. 646/82 (Sez. 6, n. 16032 del 17.2.2009, Turino, Rv. 243518;
Sez. 2, n. 27196 del 18.5.2010, Curto, Rv. 247842; Sez. 2, n. 32679 del 11.6.2014,
Raffaelli, Rv. 260146).
3.3. Il reato di violazione dell’obbligo di comunicazione delle variazioni
patrimoniali in esame è reato concepito, in vero, a tutela dell’ordine pubblico, lo scopo
della norma incriminatrice essendo quello di permettere l’esercizio di un controllo

ritenute particolarmente pericolose, onde accertare per tempo se le variazioni
patrimoniali dipendano o meno dall’eventuale svolgimento di attività illecite. In altri
termini, come affermato da questa Corte regolatrice (Sez. 5, n. 40338/2011, cit.),
l’obbligo di comunicazione imposto dall’art. 30. L. 646/82 costituisce una misura di
prevenzione di natura patrimoniale, funzionale ad un monitoraggio preventivo e costante
sui beni di persone condannate o indiziate di appartenere ad associazioni mafiose,
anteposto a quello svolto con le misure, anch’esse patrimoniali, di carattere preventivo e
repressivo integrate dal sequestro e dalla confisca.
La funzione preventiva o ragione ispiratrice dell’istituto dell’obbligo informativo è
per l’appunto attuata con una verifica sistematica e analitica a cura della Guardia di
Finanza, per un decennio successivo agli eventi giuridici presupposti dal reato di cui
all’art. 31 L. 646/82 (condanna per mafia, misura di prevenzione), di tutte le variazioni
che intervengano nella composizione e consistenza del patrimonio del soggetto
“pericoloso” (in rapporto al pericolo di illiceità delle sue fonti patrimoniali). Verifica che
non può essere surrogata dall’eventuale natura pubblica degli atti dispositivi patrimoniali
(di incremento o decremento) compiuti dall’obbligato alla informazione. La trascrizione
degli atti notarili o altrimenti pubblici delle disposizioni patrimoniali dell’obbligato in
registri di evidenza pubblica (registri immobiliari o di beni mobili registrati o registri su
società di persone o di capitali) non implica (o non implica in tutti i casi) alcuna diretta
comunicazione alla polizia giudiziaria degli atti traslativi annotati in tali registri. Né può
porsi a carico della Guardia di Finanza un onere di consultazione periodica permanente di
siffatti registri per tutti coloro che risultino condannati per fatti di mafia o attinti da
misure di prevenzione previste dalla normativa antimafia (Sez. 1, n. 23213 del
19.5.2010, Calabrò, Rv. 247570: “…fattispecie di pericolo presunto avente non solo la
finalità specifica di consentire all’amministrazione finanziaria di conoscere il dato
sensibile con assoluta immediatezza ma anche quella di rendere obbligatoria per
l’amministrazione una verifica altrimenti solo eventuale”).
3.4. L’illustrata infondatezza dei profili di censura dedotti con il primo motivo di
ricorso non esime dal constatare che il reato ascritto al ricorrente è, come si sostiene con
il secondo subordinato motivo di ricorso, attinto da causa estintiva per e decorso del

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patrimoniale più penetrante e analitico della Guardia di Finanza nei confronti di persone

corrispondente termine massimo (o c.d. prorogato) di prescrizione.
L’imputazione elevata nei confronti del ricorrente indica la data di consumazione
del reato in quella del suo “accertamento” avvenuto il 16.6.2009. Ma tale indicazione è
con tutta evidenza non corretta.
Il reato di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali ex art. 31 L.
646/82 è, come detto, un reato omissivo con effetti istantanei, che necessariamente si
consuma nel luogo e nel momento in cui la comunicazione si sarebbe dovuta effettuare
entro il termine stabilito dall’art. 30 L. 646/82. Vale a dire entro trenta giorni dal “fatto”,

limite legale o soglia di euro 10.329,00; ovvero entro il 31 gennaio dell’anno successivo
allorché più atti dispositivi di valore inferiore al predetto limite individuale risultino averlo
“complessivamente” superato. La vendita immobiliare compiuta dall’imputato è stata
stipulata con rogito del notaio Sanfilippo di Palermo il 20.4.2005, di tal che l’obbligo di
comunicazione è stato violato dal Lo Bello alla data del 21.5.2005. In assenza di periodi
di sospensione ex lege del corrispondente termine la prescrizione del reato commesso
dal Lo Bello è maturata il 21.11.2012, in epoca poco anteriore alla pronuncia della
sentenza di appello.
La declaratoria della causa estintiva del reato implica la revoca della confisca
disposta dai giudici di merito della somma di denaro di euro 65.200 (e la sua restituzione
all’imputato), quale corrispettivo della vendita immobiliare compiuta dal Lo Bello, atteso
che la misura di sicurezza patrimoniale (del “corrispettivo dei beni a qualunque titolo
alienati” dall’imputato) è imposta dall’art. 31 co. 2 L. 646/82 nel solo caso di condanna.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per
prescrizione. Dispone la restituzione a Lo Bello Salvatore della somma in sequestro.
Roma, 30 ottobre 2014
Il consigliere estensore
Giacomo aolopi

Il presidente
Til Garriq a
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cioè dall’atto dispositivo, quando questo superi per valore -come nel caso del Lo Bello- il

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