Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24870 del 10/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 24870 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
PERUGIA
nei confronti di:
BIBA FLORIAN N. IL 03/04/1968
avverso la sentenza n. 11/2011 GIUDICE DI PACE di ORVIETO, del
22/02/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERA MARIA SEVERINA CAPRIOGLIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. os cc,
che ha concluso per
trt,
f4 4 2
– –

Udito, per la parte civile, Avv
Uditi difensor Avv

_

Data Udienza: 10/05/2013

ritenuto in fatto

1. Con sentenza 28.2.2011 il giudice di pace di Orvieto condannava BIBA
Floria, cittadino albanese,

alla pena di euro 6000 di ammenda in relazione alla

contravvenzione di cui all’art. 10 bis (figs. 286/1998 , per essersi trattenuto nel
territorio del nostro stato senza conseguire il permesso di soggiorno, dopo essere
stato già espulso, così come era stato accertato il 16.2.2011 dai carabinieri della

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale presso la
Corte di appello di Perugia, deducendo violazione di legge:
la norma incriminatrice si porrebbe in contrasto con gli artt. 7 e 15 della direttiva
2008/115/CE, che attribuiscono diritti ai singoli stabilendo che la decisione di
rimpatrio deve fissare un periodo congruo per la partenza volontaria, di durata
compresa tra sette e trenta giorni, e delineando in termini stingenti i presupposti che
giustificano il trattenimento. Se è pur vero che gli Stati possono prevedere il
rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di sanzione penale, è escluso
che la stessa condotta, che costituisce il presupposto per l’applicazione della direttiva,
possa essere disciplinata e sanzionata dal legislatore nazionale in maniera difforme e
maggiormente lesiva dei diritti di libertà.
Il ricorrente ritiene che gli Stati non possano prevedere che alla mera presenza
irregolare dello straniero sul territorio nazionale ed alla sua mancata collaborazione
all’allontanamento possano essere ricollegate conseguenze, o trattamenti,
incompatibili con le finalità della direttiva stessa, da individuarsi nell’allontanamento
nel rispetto dei diritti di libertà. Il rimpatrio conseguente a sanzione penale sarebbe
quindi soltanto quello previsto come conseguenza di condotte, penalmente rilevanti,
diverse da quella che costituisce il presupposto applicativo della direttiva. Peraltro, la
procedura prevista per l’espulsione

come sanzione sostitutiva viene eseguita

attraverso l’accompagnamento coattivo alla frontiera, mentre la direttiva europea
prescrive, all’art. 7 § 1, che il principio ordinario debba essere quello
dell’allontanamento volontario, sulla base di un ordine di rimpatrio che dia allo
straniero un termine compreso tra i sette e i trenta giorni.
Il ricorrente ha quindi concluso con la richiesta di annullamento della sentenza perché
il fatto non è previsto dalla legge come reato e, in via subordinata, con la richiesta di

sospensione del processo e rinvio degli atti alla Corte di giustizia dell’Unione europea
ai sensi dell’art. 267 TFUE, per l’esatta interpretazione dei contenuti prescrittivi della
direttiva.

stazione di Fabro.

Considerato in diritto.
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
La norma che incrimina le condotte di ingresso e permanenza illegale nel
territorio dello Stato – art. 10-bis digs. n. 286 del 1998 – ha di recente superato il
vaglio di compatibilità costituzionale: il Giudice delle leggi, con sentenza n. 250 del

2010, ha precisato che la norma non punisce una «condizione personale e sociale» criminalizza un «modo di essere» della persona.
Essa, invece, punisce uno specifico comportamento, costituito dal «fare ingresso»
e dal «trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni di legge.
Si è quindi di fronte, rispettivamente, ad una condotta attiva istantanea (il
varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere permanente di natura
omissiva, consistente nel non lasciare il territorio nazionale.
La condizione di “clandestinità” è, in questi termini, la conseguenza della condotta
penalmente illecita e non già un dato preesistente ed estraneo al fatto e la rilevanza
penale si correla alla lesione del bene giuridico individuabile nell’interesse dello Stato
al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto
normativo: si tratta di un bene “strumentale”, per mezzo della cui tutela si accorda
protezione a beni pubblici “finali” di sicuro rilievo costituzionale. Per queste ragioni
non è stata una scelta arbitraria la predisposizione di una tutela penale di siffatto
interesse, che si atteggia a bene giuridico di “categoria”, capace di accomunare buona
parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998.
Sulla base di questo nucleo argomentativo la Corte costituzionale ha decretato la
compatibilità della norma di cui all’art. 10-bis d. Igs. n. 286 del 1998 con alcuni
principi della Carta fondamentale, specificamente e principalmente con quelli
desumibili dagli artt. 2 e 3.
Per quel che poi attiene alla compatibilità con la normativa sovranazionale, in
particolare con la direttiva CE n. 115 del 2008, si è di recente registrato l’intervento
risolutivo della Corte di giustizia con la decisione del 6 dicembre 2012 sulla domanda
di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di
Rovigo, nel procedimento penale a carico di Md Sagor. Ed è appena il caso di ricordate
che già questa Corte aveva statuito che «la fattispecie contravvenzionale prevista
dall’art. 10-bis d.lgs n. 286 del 1998, che punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel
territorio dello Stato, non viola la c.d. direttiva europea sui rimpatri (direttiva
Commissione CEE 16 dicembre 2008, n. 115), non comportando alcun intralcio alla
finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di agevolare ed assecondare
l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi di valido titolo di
permanenza e non è in contrasto con l’art. 7, par. 1 della medesima, che, nel porre

quella, cioè, di straniero «clandestino» (o, più propriamente, «irregolare») – e non

un termine compreso tra i 7 e 30 giorni per la partenza volontaria del cittadino di
paese terzo, non per questo trasforma da irregolare a regolare la permanenza dello
straniero nel territorio dello Stato» – Sez. 1, n. 951 del 22/11/2011 (dep.
13/1/2012), Gueye, Rv. 251671 -.
Nel caso di specie quindi il giudice di pace che ha inflitta sanzione pecuniaria ,
senza neppure disporre espulsione, ha applicato correttamente la normativa vigente,
in relazione a condotta che è ancora prevista come reato. Le richieste subordinate del

la Corte di Giustizia europea, come sopra ricordato, si sono espresse sulla legitti mità
di tale ipotesi di reato.

p.q.m.

Rigetta il ricorso .
Così deciso in Roma, addì 10 maggio 2013.

Pg ricorrente non possono essere accolte , atteso che sia la Corte Costituzionale che

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