Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24865 del 09/10/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 24865 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CHIAPPONI MASSIMILIANO, nato il 24/12/1969
avverso la sentenza n. 71/2011 CORTE APPELLO di ANCONA, del
10/06/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 09/10/2012 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito Il Procuratore Generale in persona del dott. Giovanni
D’Angelo, che ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata con
rinvio limitatamente alle attenuanti generiche, con rigetto del
ricorso nel resto.

Data Udienza: 09/10/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 dicembre 2010 il G.u.p. del Tribunale di Ancona,
all’esito del giudizio abbreviato, ha dichiarato Chiapponi Massimiliano colpevole
del reato di cui all’art. 9, comma 2, legge n. 1423 del 1956, perché, sottoposto
alla misura dl prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno

legge, e, in particolare, aveva aggredito verbalmente la sua ex compagna,
recandosi presso la sua abitazione e ingiuriandola, e aveva rotto il vetro
dell’autovettura del suocero.
Il G.u.p., ritenuta la contestata recidiva reiterata, specifica e
infraquinquennale, aveva condannato il detto imputato alla pena di anni tre e
mesi quattro di reclusione, partendo dalla pena base di anni tre di reclusione,
aumentata ad anni cinque per la recidiva e poi ridotta per il rito.

2. La Corte d’appello di Ancona con sentenza del 10 giugno 2011, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto che l’applicazione della
recidiva non era giustificata dalla offensività riferibile alla violazione contestata,
che era sintomatica di pericolosità sociale di pari grado a quella afferente alle
precedenti condotte delittuose (lesioni personali, resistenza e simulazione di
reato), risultanti dal certificato penale, e, fissando la pena base in anni uno e
mesi sei di reclusione, ha rideterminato la pena finale in anni uno di reclusione.
Secondo la Corte d’appello, che ripercorreva le censure oggetto
dell’interposto gravame, la decisione del primo Giudice era immune da censure
quanto alle questioni di rito e quanto alle valutazioni di merito, poiché nel
decreto di giudizio immediato vi era inequivoco riferimento alla imputazione che
aveva determinato la sottoposizIone dell’imputato a misura cautelare coercitiva e
al conseguente interrogatorio; era legittima la disposta integrazione istruttoria ai
sensi dell’art. 441, comma 5, cod. proc. pen., e l’attendibilità delle dichiarazioni
delle parti lese era stata obiettivamente riscontrata quanto al danneggiamento
ed era più che confortata, quanto alle ingiurie, da pregresse analoghe condotte
tenute dall’imputato in danno della stessa parte lesa.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cessazione, per mezzo del
suo difensore, l’imputato che ne chiede l’annullamento sulla base di sei motivi
3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia nullità assoluta, ex artt. 178,
comma 1, lett. c), e 179 cod. proc. pen., del decreto che ha disposto il giudizio

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nel comune di Castelfidardo, non aveva ottemperato all’obbligo di rispettare la

immediato per violazione dell’art. 429, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. e
conseguente nullità delle sentenze impugnate dei due gradi del giudizio.
La dedotta nullità consegue, secondo il ricorrente, alla omessa specificazione
nel capo di imputazione, contenuto nel decreto di giudizio immediato, dei singoli
comportamenti tenuti da esso ricorrente, che avrebbero integrato la violazione
dell’obbligo di rispettare le leggi, prescritto con il decreto di sottoposizione alla
misura di prevenzione della sorveglianza speciale, e quindi alla omessa
“enunciazione in forma chiara e precisa del fatto”.
applicazione della legge penale sotto due profili:
una prima violazione riguarda la ritenuta legittimità della integrazione
istruttoria disposta dal G.u.p., che, dopo aver accolto la richiesta di giudizio
abbreviato, formulata da esso ricorrente e subordinata all’esame dell’imputato,
ha disposto l’assunzione delle testimonianze delle persone offese, le cui querele
erano state già acquisite, nonostante non sussistesse e non fosse emersa la sua
assoluta necessità e in contrasto con la regola di economia processuale propria
del rito premiale;
la seconda violazione di legge attiene alla incorsa violazione delle regole del
contraddittorio e della formazione della prova in udienza, poiché si è pervenuti
all’affermazione della responsabilità di esso ricorrente anche sulla scorta delle
emergenze del fascicolo relativo al giudizio di decadenza dalla potestà genitoriale
sul figlio minore, pendente presso il Giudice minorile, mal formalmente acquisito.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia inosservanza o erronea
applicazione dell’art. 526, comma 1, cod. proc. pen. per essere state utilizzate,
ai fini della deliberazione, prove diverse da quelle legittimamente acquisite al
dibattimento, e rappresentate dal contenuto dell’indicato fascicolo pendente
dinanzi al Tribunale per i minorenni delle Marche e dalle deposizioni delle
persone offese, rese a seguito della disposta integrazione probatoria.
3.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia inosservanza o erronea
applicazione dell’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., per essere stata emessa la
sentenza di condanna senza la sussistenza di una dimostrazione dei fatti di causa
quasi pari alla certezza.
3.5. Il quinto motivo riguarda la censura di mancanza e/o contraddittorietà
e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine al diniego delle circostanze
attenuanti generiche, la cui concessione trova invece sicuro fondamento nella
tenuità del fatto contestato, nei modesti precedenti penali e nel comportamento
processuale tenuto, rispettoso e collaborativo con la giustizia.
3.6. Con il sesto motivo è denunciata la mancanza di motivazione in
relazione al riconoscimento della responsabilità penale, avendo la Corte
affermato la credibilità delle persone offese sulla base di un mero indizio
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3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea

costituito dalla presunta omogeneità delle condotte del ricorrente rispetto a
precedenti addebiti, neppure definiti con sentenza irrevocabile.
La Corte, inoltre, è incorsa in evidente travisamento della prova
nell’affermare che il ricorrente ha tenuto precedenti condotte di sopraffazione in
danno della persona offesa, mai vissuta nel terrore del comportamento dello
stesso.

1. Il primo motivo, che attiene alla dedotta violazione dell’art. 429, comma
1, lett. c), cod proc. pen. in dipendenza della omessa “enunciazione in forma
chiara e precisa del fatto” nel capo di imputazione, contenuto nel decreto di
giudizio immediato, è manifestamente infondato.
1.1. La Corte di merito, nel rigettare l’analoga censura svolta con il primo
motivo di appello, ha rilevato che a carico del ricorrente è stata elevata
l’imputazione, a norma dell’art. 9 legge n. 1423 del 1956, di avere violato le
leggi nelle date e nella località dei fatti documentati dalle indagini, posti a
fondamento del provvedimento cautelare e contestati in sede di interrogatorio, e
ha rimarcato che, per tale ragione, non si è verificata alcuna violazione del diritto
di difesa rispetto alla stessa imputazione, riportata nel decreto di giudizio
immediato.
1.2. Tali rilievi, dei quali il ricorrente non si è fatto alcun carico, trovano
decisivo conforto nel dato fattuale, emergente dalla sentenza impugnata, che
l’imputato ha contravvenuto l’obbligo di rispettare le leggi tenendo condotte di
aggressione verbale, ingiuria e danneggiamento; nella intervenuta richiesta del
giudizio abbreviato da parte del ricorrente sulla base della imputazione come
contestata e all’esito dell’acquisizione di tutti gli atti del procedimento; nel
consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale è configurabile il
“concorso formale tra ogni specifico titolo di reato – commesso dal sorvegliato – e
la simultanea violazione, prevista della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 9,
della prescrizione di vivere onestamente e di rispettare le leggi” a ragione della
diversità dei beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici (tra le altre, Sez. 4,
n. 32915 del 12/05/2004, dep. 29/07/2004, Lippolis, Rv. 229077; Sez. 1, n.
39909 del 18/10/2007, dep. 29/10/2007, Greco, Rv. 237910; Sez. 1, n. 4893
del 15/01/2009, dep. 04/02/2009 P.G. in proc. Rullo, Rv. 243350; Sez. 1, n.
26161 del 20/06/2012, dep. 05/07/2012, P.G. in proc. Albini, Rv. 253090), e nei
principi indicati dalla giurisprudenza costituzionale (sent. n. 282 del 2010),
secondo la quale la norma di cui al citato art. 9, laddove appresta sanzione
penale all’infrazione dell’obbligo, imposto dall’art. 5 della stessa legge, di “vivere
onestamente, di rispettare le leggi, di non dare ragione di sospetti”, non viola il
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CONSIDERATO IN DIRITTO

principio di tassatività della fattispecie penale nonostante la portata generale e
l’assenza di un contenuto precettivo tipico e dettagliato di tale obbligo, che, al
fine di assicurare la collettività dal pericolo della commissione di fatti illeciti, va
correlato sistematicamente alla complessiva disciplina delle

misure

di

prevenzione, ponendosi l’inosservanza di tutte le norme a contenuto precettivo
quale ulteriore indice della pericolosità sociale, già accertata con le garanzie
proprie della giurisdizione.
profili di

Illegittimità denunciati.
2.1. Quanto al primo profilo, che attiene alla contestata integrazione
istruttoria disposta nel corso del giudizio abbreviato, deve rilevarsi che il potere
attribuito al giudice dall’art. 441, comma 5, cod. proc. pen. di assumere, anche
d’ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione quando ritiene di non potere
decidere allo stato degli atti, è preordinato, come più volte affermato da questa
Corte, alla tutela dei valori costituzionali che devono presiedere, anche nei
giudizi a prova contratta, all’esercizio della funzione giurisdizionale e risponde,
pertanto, alle medesime finalità cui è preordinato il potere previsto dall’art. 507
cod. proc. pen. in dibattimento (tra le altre, Sez. 5, n. 4648 del 19/12/2005,
dep. 03/02/2006, Simoncelli e altro, Rv. 233632; Sez. 6, n. 22196 del
24/10/2006, deo. 07/06/2007, Autunno e altri, Rv. 236761; Sez. 5, n. 21693 del
18/02/2009, dep. 26/05/2009, Ait Taleb, Rv. 244638).
Rientrando la decisione di integrare il materiale probatorio nella
discrezionalità del giudice preposto al giudizio abbreviato, non è in alcun modo
sindacabile in questa sede, secondo il condiviso costante orientamento di
legittimità (tra le altre, Sez. 5, n. 19388 del 09/05/2006, dep. 06/06/2006,
Biondo e altri, Rv. 234157; Sez. 6, n.30590 del 16/06/2010, dep. 02/08/2010,
C., Rv. 248043), l’avvenuto esercizio, nel caso di specie, dell’indicato potere
disponendo l’assunzione delle persone offese, Burani Romina

e Burani

Nazzareno.
2.2. L’infondatezza della censura, che attiene alla dedotta incorsa violazione
delle regole del contraddittorio per l’utilizzo da parte del Giudice di primo grado
“inaudita altera parte” degli atti relativi al procedimento pendente dinanzi al
Tribunale per i minorenni, discende dal rilievo, in rito, che la disposta
acquisizione in visione del fascicolo con ordinanza del 20 dicembre 2010 “al fine
della verifica dell’attendibilità dei testi” è stata revocata con ordinanza in pari
data per impossibilità di adempimento, come risulta dal verbale della udienza del
20 dicembre 2010, facente parte degli atti trasmessi a questa Corte e visionabile
In questa sede in relazione alla natura della eccezione proposta, e dal rilievo, in
fatto, che la sentenza impugnata non ha fatto riferimento a emergenze tratte

2. Il secondo motivo è infondato con riguardo a entrambi i

dall’indicato fascicolo, né il ricorrente ha indicato in quale parte della decisione,
Incidente sulla sua tenuta logica, vi siano elementi comunque riferibili al dedotto
utilizzo di atti non acquisiti.

3. Alle considerazioni concernenti l’insussistenza delle violazioni dedotte con
il secondo motivo consegue l’infondatezza anche delle violazioni dell’art. 526,
comma 1, cod. proc. pen. e dell’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., dedotte,
rispettivamente, con il terzo motivo per l’utilizzo di prove non legittimamente

ragionevole dubbio in stretta relazione con l’assunta, infondata, incertezza del
quadro probatorio per prove illegittimamente acquisite.

4. è destituito di fondamento il successivo quinto motivo che attiene al
diniego, che si deduce immotivato, delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente, infatti, ha ottenuto con la sentenza impugnata il risultato
perseguito con la richiesta, rivolta al Giudice d’appello, di paralizzare la recidiva
attraverso la concessione delle dette circostanze con giudizio a essa equivalente.
A fronte della disapplicazione della recidiva, perché ritenuta non giustificata,
il ricorrente non può, pertanto, fondatamente dolersi della decisione
corrispondente all’oggetto della sua doglianza.

5. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente, omettendo di correlarsi con le ragioni argomentate della
decisione impugnata, che ha plausibilmente e logicamente tratto elementi di
convincimento dalle dichiarazioni delle persone offese, ritenute intrinsecamente
attendibili e riscontrate oggettivamente, quanto al danneggiamento, e da
precedenti condotte di coercizione e intimidazioni tenute nei confronti della parte
lesa Buroni, quanto alle ingiurie verso di essa, si è limitato a rilevare che per
detti precedenti addebiti la sua condanna non è definitiva e a contrapporre
l’insussistenza di una sua condotta prevaricatrice verso la stessa parte lesa.
Tali deduzioni, che si risolvono in una contestazione parziale del quadro
probatorio e in rilievi assertivi di carattere generico, si pongono al limite
dell’ammissibilità per la loro inidoneità a rappresentare una effettiva
compromissione della coerenza del discorso giustificativo della decisione.

6. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Al rigetto del ricorso segue per legge, In forza del disposto dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

6

acquisite e con il quarto motivo per l’inosservanza della regola dell’oltre ogni

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso In Roma, il 9 ottobre 2012

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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