Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24848 del 02/05/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 24848 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Dal Col Maria Teresa, n. a Latina, il 30/10/1946;
Chiarato Alberto, n. a Sabaudia il 14/07/1945;

avverso la ordinanza del Tribunale di Latina, in data 12/07/2012;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale M. Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv. Archidiacono, che si è riportato ai motivi;

RITENUTO IN FATTO
1. Dal Col Maria Teresa e Chiarato Alberto propongono ricorso nei confronti
dell’ordinanza del Tribunale del riesame di Latina con cui sono stati confermati il
decreto di convalida e l’ordinanza di sequestro preventivo del G.i.p. presso il
Tribunale di Latina di area sita nell’agro del comune di Sabaudia nella
disponibilità degli indagati per i reati di cui agli artt. 110 c.p. e 16, comma 5, del
cl. Igs. n. 99 del 1992 e 256, comma 3, del d. Igs. n. 152 del 2006 in relazione

Data Udienza: 02/05/2013

all’avvenuto utilizzo in loco di fanghi sul presupposto, in realtà, insussistente,
che sull’area in questione vi fossero coltivazioni e attività connesse
all’agricoltura.
2. Con un primo motivo lamentano l’inosservanza dell’art. 321 c.p.p. in relazione
all’art. 125 c.p.p. relativamente al fumus del reato. Lamentano che il Tribunale
e soprattutto di valutare gli elementi a discarico e le argomentazioni svolte dalla
difesa e ha invece valorizzato oltremodo il contenuto delle dichiarazioni rese da
soggetti proprietari di alcune particelle di terreno cedute in comodato d’uso
gratuito alla ditta Dal Col, basando su di esse l’inesistenza di attività colturali sui
terreni. Non è stato considerato infatti che Vendrame Guido (ovvero uno dei
suddetti dichiaranti) risulta aver ceduto in comodato d’uso la particella numero
227 di terreno di cui al foglio 56 del comune di Sabaudia, ovvero particella del
tutto estranea a quelle sulle quali sarebbe stata realizzata e gestita una
discarica, mentre Nava Rosa Maria, comodataria delle particelle 18 e 46, non ha
indicato le necessarie coordinate temporali o spaziali utili a corroborare le sue
dichiarazioni circa l’assenza di attività colturale sulle suddette particelle.
Deducono che del resto, poiché le attività culturali presuppongono una rotazione
di particelle sulle quali le stesse attività si svolgono, appare plausibile che in
determinati periodi dell’anno non fossero ben visibili le piantagioni di mais e
grano; né sarebbe valorizzabile l’assenza di fatture di vendita dei prodotti
ricavati in quanto questione di natura meramente fiscale. Di contro la consulenza
tecnica redatta per conto degli indagati avrebbe evidenziato gli ettari di terreno
coltivabili in base ai quantitativi di sementi acquistati in ogni singolo anno. Di qui
la motivazione meramente apparente del provvedimento impugnato.
3. Con un secondo motivo lamentano la violazione dell’articolo 321 c.p.p. in
relazione all’art. 125 c.p.p. relativamente al periculum in mora. Sul punto il
provvedimento si è infatti limitato ad affermare apoditticamente sussistere il
pericolo essendo ancora in atto autorizzazione provinciale allo spandimento di
fanghi sicché, ove gli indagati avessero nuovamente la disponibilità dei terreni,
proseguirebbero nella illegittima attività di spandimento stesso. Nella relazione
tecnica descrittiva di parte si era infatti evidenziato come sulla superficie agricola
di circa 9.00.00 ettari costituita dalle particelle n.21, 41,42, 47, 48,50 52 18,
46,74 e 75, vi fossero presenti coltivazioni di grano tenero, mais ed erbaio di
graminacee e si suggerivano le operazioni agricole di trebbiatura del grano ed
irrigazione del mais al fine di mantenere la normale rotazione colturale delle
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ha omesso di verificare in concreto la legittimità del provvedimento di sequestro

coltivazioni in oggetto. A fronte di ciò il Tribunale ha valorizzato la possibile
utilizzazione per lo spandimento dei fanghi di due particelle di terreno, ovvero
quelle contrassegnate dei numeri 45 e 56, in realtà non rientranti nella
autorizzazione provinciale del 26 ottobre 2011 né oggetto di provvedimento di
sequestro. Si ribadisce poi, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, la
attendibilità piena dell’elaborato tecnico di parte quanto all’effettiva attività di
ambientale, osservano come non sia stata espletata alcuna indagine da parte
degli organi investigativi sulle caratteristiche dei terreni e dei fanghi in questione
tesa ad accertare la presenza di inquinamento dei terreni e delle falde correlabile
all’attività di agricoltura dell’azienda Dal Col.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile.
Il Tribunale, richiamando i consolidati principi espressi da questa Corte, ha
correttamente sottolineato, in premessa, i limiti cognitivi propri della fase del
riesame non essendo demandato ai giudici il compito di verificare la sussistenza
di elementi che provino gli addebiti contestati, bensì quello di apprezzare, pur
tenendo conto delle deduzioni delle parti, ed in coerenza con uno stadio
processuale suscettibile di sviluppi, la plausibile sussistenza del fatto; si è, in
particolare, specificato che la verifica delle condizioni di legittimità della misura
cautelare reale, da parte del tribunale del riesame, non può tradursi in anticipata
decisione della questione di merito concernente la responsabilità del soggetto
indagato in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al
controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata,
mediante una valutazione prioritaria della antigiuridicità penale del fatto (per
tutte, Sez. U. n. 6 del 27/03/1992, Midolini, Rv. 191327; Sez. 5, n. 6252 del
19/11/1998, Pansini, Rv. 212511).
E a tale premessa il Tribunale ha correttamente uniformato la valutazione dei
fatti sottoposti al suo giudizio, dando della stessa, tra l’altro, una motivazione
niente affatto apparente e, come tale, posta al di fuori del perimetro cognitivo e
del sindacato di questa Corte; di contro, le argomentazioni dei ricorrenti
risentono, specie con riferimento al profilo riguardante il fumus del reato, di una
non corretta impostazione dei limiti propri, appunto, della fase delle indagini
preliminari, finendo per pretendere dai giudici una penetrante, e per quanto già
considerato, non consentita, analisi degli elementi probatori.

coltivazione effettuata. Infine, quanto al temuto pericolo di inquinamento

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Tale, dunque, il contesto metodologico da seguirsi, il Tribunale, dopo avere
premesso che l’assunto accusatorio non postula la completa assenza di
coltivazioni ma solo la sussistenza di coltivazioni in quantità molto ridotta
rispetto a quelle che giustificherebbero lo spargimento dei fanghi, ha posto in
rilievo, quanto al fumus, l’elemento rappresentato dall’assenza di fatture di
vendita o di altri documenti indicativi della destinazione dei prodotti
dell’attività esercitata dall’azienda degli indagati; né la considerazione fatta in
ricorso in ordine alla natura puramente fiscale dell’assenza di fatture appare
Idonea, prospettando una lettura meramente alternativa, ad incidere sulla
logicità dell’argomentazione del Tribunale; allo stesso tempo, e nella medesima
direzione, il Tribunale ha valorizzato le dichiarazioni dei testi – comodanti in
favore degli indagati di parte dei terreni in questione circa la constatata
inesistenza sugli stessi di coltivazioni di sorta senza che tali dichiarazioni possano
venire infirmate dalle considerazioni di segno contrario operate in ricorso stante
la loro natura puramente fattuale. Di qui, dunque, la manifesta infondatezza del
primo motivo.
5. Di analoga manifesta infondatezza soffre il secondo motivo con riferimento al

profilo del periculum.
Ultronea ogni considerazione in ordine al rischio o meno di inquinamento, stante
l’eccentricità di tale elemento rispetto ai reati addebitati nella specie, il Tribunale,
pur considerando le deduzioni difensive svolte con riferimento segnatamente
all’accertamento agrotecnico, le ha disattese in particolare logicamente fondando
il presupposto della necessità di mantenere in sequestro i terreni sulla
permanente validità dell’autorizzazione provinciale allo spargimento dei fanghi
quale ragionevole “viatico” alla possibile prosecuzione dalla condotta che, attesi
gli elementi già evidenziati quanto al fumus, verrebbe effettuata su terreni in
parte non coltivati. Tanto appare sufficiente, dunque, per ritenere non
sindacabile il provvedimento Impugnato, atteso che il periculum in mora, che, ai
sensi dell’art. 321 c. p. p., legittima il sequestro preventivo, deve essere inteso
In senso oggettivo, come probabilità di danno futuro, e presentare i caratteri
della concretezza e della attualità, ovvero come concreta possibilità – desunta
dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto – che la libera
disponibilità del bene assuma carattere strumentale rispetto alla agevolazione
della commissione di altri reati della stessa specie (tra le altre, Sez. 5, n. 12064
del 16/12/2009, Marcante, Rv. 246881).

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asseritamente coltivati, tanto più significativo ove si consideri la natura agricola

6. In definitiva, il ricorso è inammissibile, conseguendone la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese del grado, e della somma indicata in
dispositivo, ritenuta equa, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione
dell’art. 616 c.p.p.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma il 2 maggio 2013

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