Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24774 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 24774 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERRARO ANIELLO N. IL 02/01/1965
avverso l’ordinanza n. 111/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
25/11/2010
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;
lette/sotatite le conclusioni del PG Dott
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 17/04/2013

RITENUTO IN FATTO

Ferrara Aniello veniva tratto in arresto nella ritenuta flagranza di reato concernente gli
stupefacenti il 28 marzo 2002, ed il 30 marzo 2002 il G.I.P. convalidava l’arresto applicando
al Ferrarci la misura cautelare dell’obbligo di dimora. Il Ferrara veniva poi assolto con la
formula perché il fatto non sussiste con sentenza del Tribunale di Avellino in data 30 aprile
2008, passata in giudicato il 31 ottobre 2008, avendo il giudicante ritenuto credibili le
dichiarazioni dell’imputato secondo cui la droga sarebbe stata destinata ad uso personale
Con domanda presentata alla Corte di Appello di Napoli il Ferrara chiedeva quindi l’equa
riparazione per la detenzione subita, a suo avviso ingiustamente, dal 28 al 30 marzo 2002.
La Corte d’Appello adita, provvedendo con l’ordinanza indicata in epigrafe, rigettava la
domanda. In particolare la Corte territoriale riteneva ravvisabili nella condotta del Ferrara
gli estremi della colpa grave, ostativa al diritto all’equa riparazione, sulla scorta delle
seguenti specifiche circostanze fattuali che, ad avviso della Corte stessa, avevano
legittimato l’intervento dell’Autorità nei confronti del Ferrara medesimo con l’arresto: 1) il
Ferraro era alla guida di un’auto e non si era fermato al segnale di “Alt” impostogli dalla
Polizia, dandosi alla fuga e costringendo quindi gli Agenti ad un inseguimento; 2) durante la
fuga, il passeggero accanto al Ferrara – poi identificato per Ferrara Attilio – aveva gettato
dal finestrino un involucro; 3) gli Agenti, all’esito dell’inseguimento, avevano recuperato
l’involucro, al cui interno erano stati rinvenuti 5 grammi di cocaina e 5 grammi di eroina, ed
avevano arrestato i due.
Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione il Ferrarci, con atto di
impugnazione sottoscritto dal difensore, deducendo vizio motivazionale in ordine alla
ritenuta sussistenza della colpa grave, sostenendo che la Corte territoriale sarebbe incorsa
in errore di impostazione e prospettiva nel valutare le risultanze processuali ai fini che in
questa sede interessano; il ricorrente ha in particolare precisato che già al momento
dell’arresto gli investigatori avevano elementi sufficienti per ritenere che la droga rinvenuta
nella disponibilità del Ferrara fosse destinata all’uso personale dello stesso, potendo ciò
desumersi dalle conversazioni telefoniche – oggetto di attività di intercettazione in corso ed
ascoltate dalla Polizia Giudiziaria – dal cui contenuto sarebbe stato possibile desumere che
il Ferrara aveva avuto contatti e colloqui telefonici finalizzati a prendere accordi con la
persona che avrebbe dovuto fornirgli lo stupefacente per il suo personale fabbisogno.
Si è costituito il Ministero dell’Economia e delle Finanze – tramite l’Avvocatura Generale
dello Stato – depositando memoria finalizzata a contrastare la pretesa del ricorrente,
anche con il richiamo di precedenti di questa Corte.
E’ pervenuta poi memoria del difensore del Ferrara con ulteriori argomentazioni a sostegno
del proposto gravame.
Con la sua requisitoria scritta, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto il
rigetto del ricorso.

PIA /Q

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dello stesso.

Il ricorrente con atto pervenuto il 2/2/2013 ha manifestato rinuncia ad eventuale pubblica
trattazione, nonostante la pendenza di questione di costituzionalità a riguardo del rito,
sollevata dalle S.U. di questa Corte con ordinanza del 18/10/2012.
RITENUTO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato per la infondatezza delle censure dedotte.
Secondo i princìpi elaborati ed affermati nell’ambito della giurisprudenza di questa Suprema
Corte, nei procedimenti per la riparazione per l’ingiusta detenzione, in forza della norma di
contenuto nel terzo comma dell’art. 315 c.p.p. – la cognizione della Corte di Cassazione
deve intendersi limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, ovviamente
anche sotto l’aspetto della congruità e logicità della motivazione, e non al merito. E, per
quel che concerne la verifica dei presupposti e delle condizioni richieste perchè sussista in
concreto il diritto all’equa riparazione – in particolare, l’assenza del dolo o della colpa grave
dell’interessato nella produzione dell’evento restrittivo della libertà personale – le Sezioni
Unite della Corte di Cessazione, con la sentenza N. 43 del 13/12/1995-9/2/1996, hanno
enunciato il principio di diritto secondo cui la Corte territoriale deve procedere ad autonoma
valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale. Ed in epoca ancor più
recente, le stesse Sezioni Unite (SU 26.6.2002, De Benedictis, RV 222263) hanno
ulteriormente precisato quanto segue: “in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il
giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con
dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi
probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino
eclatante o macroscopica negligenza, Imprudenza o violazione di leggi o regolamenti,
fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è
incensurabile in sede di legittimità (Nell’occasione, la Corte ha affermato che il giudice deve
fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni,
esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima, sia dopo la perdita della libertà
personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza, che quest’ultimo abbia avuto,
dell’inizio dell’attività di indagine, al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se tale
condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato,
ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua
configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad
effetto)”.
Nella fattispecie in esame, la Corte d’Appello di Napoli, per quanto si evince dall’impugnata
ordinanza, ha motivato il proprio convincimento attraverso un adeguato percorso
argomentativo con le considerazioni sopra sinteticamente ricordate; orbene appare
all’evidenza che trattasi di un “iter” motivazionale assolutamente incensurabile in quanto
caratterizzato da argomentazioni pienamente rispondenti a criteri di logicità ed adeguatezza,
nonchè in sintonia con i princìpi enunciati da questa Corte in tema di dolo e colpa grave

cui all’art. 646, secondo capoverso, c.p.p. – da ritenersi applicabile per il richiamo

quali condizioni ostative al diritto all’equa riparazione: si ha colpa grave allorquando il
soggetto sia venuto meno all’osservanza di un dovere obiettivo di diligenza, con possibilità
di prevedere che, non rispettando una regola precauzionale, venendo meno all’osservanza
del dovere di diligenza, si sarebbe verificato l’evento “detenzione” (cfr., fra le tante: Sez. 4,
n. 3912/96 – cc. 29/11/95 RV. 204286; Sez. 4, n. 596/96, RV. 204624); la sinergia, sulla
custodia cautelare, del comportamento dell’istante può riguardare “sia il momento genetico

che duello del permanere della misura restrittive ( così, “ex plurimis”, Sez. 4, n. 963/92,
Giova evidenziare, ancora, che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 43 del
1995 già sopra ricordata, hanno sottolineato che: a) “deve intendersi dolosa non solo la
condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini
fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta
consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il
parametro dell’ «id quod plerumque accidit» secondo le regole di esperienza
comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso
intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in
pericolo”; b) “polche inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data
dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla
riparazione quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per
evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi,
regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma
prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un
provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso”.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
Sussistono giusti motivi per ritenere compensate tra le parti le spese di lite relative a questo
giudizio, tenuto conto che la memoria di costituzione dell’Avvocatura Generale dello Stato
risulta caratterizzata prevalentemente dal richiamo a precedenti della giurisprudenza di
legittimità, e che nella fase di merito dinanzi alla Corte territoriale l’Avvocatura dello Stato,
come risulta dall’impugnata ordinanza, con la memoria di costituzione non si era opposta
alla liquidazione dell’indennizzo e si era limitata a chiedere solo la determinazione del
quantum a norma di legge e secondo equità.
P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 17 aprile 2013
Il C nsigliere estensore

Il Presidente

RV. 191834).

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