Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24768 del 14/11/2012


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 24768 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
TEDESCO MASSIMILIANO N. IL 29.11.1974
avverso la ordinanza del TRIBUNALE DEL RIESAME DI CALTANISSETTA del 19 luglio 2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI;
lette le conclusioni del PG in persona del dott. Oscar Cedrangolo che ha concluso per la
inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO
1.

2.

3.

Con ordinanza data 19 luglio 2012, il Tribunale del riesame di Caltanissetta,
decidendo in sede di rinvio della Corte di Cassazione accoglieva l’appello proposto
dal PM presso il Tribunale di Caltanissetta avverso l’ordinanza di rigetto della
richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere a carico di
Tedesco Massimiliano, indagato per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990.
Con l’impugnato provvedimento il Tribunale del riesame riteneva che “unica
misura proporzionata alla gravità del fatto commesso ed alla pena che verrà
verosimilmente irrogata, nonché adeguata a contenere il ravvisato pericolosi
reiterazione è quella della custodia in carcere”
Avverso tale decisione propone personalmente ricorso il Tedesco deducendo la
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi
dell’art. 606 lett. e) c.p.p., con particolare riferimento alla ritenuta sussistenza
delle esigenze cautelari.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro assolutamente generico quanto ai motivi proposti,
è
manifestamente infondato e va pertanto dichiarato inammissibile . Le doglianze
attinenti alla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza o, come nella

Data Udienza: 14/11/2012

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso nella camera di consiglio del 14 novembre 2012
IL CONSIGLIERE ES ENSORE

IL PRESIDENTE

4.

specie, delle esigenze cautelar’ possono assumere rilievo solo se rientrano nella
previsione di cui all’articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., se cioè integrano il
vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Esule, quindi, dalle
funzioni della Cassazione la valutazione della sussistenza o meno dei gravi indizi e
delle esigenze cautelari, essendo questo compito primario ed esclusivo dei giudici
di merito e, in particolare, prima, del giudice al quale è richiesta l’applicazione
della misura e, poi, eventualmente, del giudice del riesame (ex pluribus, Sezione
II, 17 settembre 2008, Fabbretti ed altri).
Quanto in particolare alle esigenze cautelari, oggetto delle doglianza del
ricorrente, il Tribunale ha fatto, invero, corretta applicazione dell’articolo 274,
lettera c), c.p.p. e dei correlati principi di adeguatezza e di proporzione,
richiamando gli assidui e ripetuti contatti del Tedesco con numerosi soggetti aventi
precedenti per spaccio di sostanze stupefacenti nonché la circostanza che
l’indagato aveva dato “chiara prova di non essere in grado di auto controllo,
avendo violato numerose volte le prescrizioni del programma terapeutico, anche
perché tossicodipendente e non ha esitato a detenere ampie quantità di metadone
nella sua abitazione alla presenza della figlia minore, che ha condotto con sé
anche durante l’attività di spaccio, dimostrando dunque di non avere alcuna
remora alla perpetrazione dei delitti in esame”. Si tratta di una valutazione
rispettosa del disposto normativo, giacchè, in tema di esigenza cautelare
costituita dal pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, l’articolo 274,
lettera
c),
c.p.p. delinea un duplice parametro valutativo, costituito dalle
specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità dell’indagato o
dell’imputato, che non può essere censurata nel merito in ragione dei limiti del
giudizio di legittimità.
Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost.,
sent. 713 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente
medesimo al pagamento delle spese processuali e di una somma, che
congruamente si determina in mille euro, in favore della cassa delle ammende.

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