Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24765 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 24765 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: ROMIS VINCENZO

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SENTENZA

su,gricorsspropost3f da:
ALOISIO GIOVANNINO N. IL 01/04/1950
SCORPINITI PAOLO N. IL 17/02/1958
avverso la sentenza n. 374/2004 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
07/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per

Udito, per la part iie, l’Avv

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Data Udienza: 17/04/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 17 dicembre 2002 il Tribunale di Rimini condannava Scorpiniti
Paolo e Aloisio Giovannino alle rispettive pene ritenute di giustizia per violazione della
legge sugli stupefacenti, in relazione ad un episodio di cessione di cocaina pari ad una
quantità netta di circa 300 grammi con principio attivo di grammi 76,050.
2. A seguito di gravame ritualmente proposto, la Corte d’Appello di Bologna, con la
pena inflitta agli imputati in primo grado).
In risposta alle deduzioni degli appellanti, per la parte che in questa sede rileva, la Corte
di merito rigettava preliminarmente l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata in
tutte le fasi di merito dalla difesa ed osservava al riguardo che i contatti iniziali – finalizzati
alla cessione della partita di droga oggetto dell’imputazione – erano avvenuti in Rimini con
il Maresciallo Mauro Del Monte il quale agiva come agente sotto copertura: di tal che, in
Rimini era quindi avvenuta l’offerta in vendita, a nulla rilevando – ai fini della competenza
per territorio – i successivi ed ulteriori approcci anche in altri luoghi, posto che l’offerta in
vendita presentava il requisito della concretezza stante la disponibilità effettiva della
sostanza stupefacente da parte dei proponenti. Nel merito, la Corte stessa evocava le
acquisizioni probatorie a carico dei due imputati, definite plurime e convergenti, costituite
dalle dichiarazioni testimoniali e dal contenuto di conversazioni intercettate, nonché dal
rinvenimento della droga; le stesse testimonianze “de relato” avevano piena valenza
probatoria essendo stata citata la fonte ed escussa quest’ultima in senso confermativo alla
“propalazione derivata”.
3. Ricorrono per cassazione i due imputati predetti, deducendo censure che possono
riassumersi come segue: ALOISIO – a) viene dedotta, peraltro con argomentazioni
alquanto generiche, l’ eccezione di incompetenza territoriale: i fatti contestati con il capo
di imputazione si sarebbero svolti in territorio di Racconigi; b) vizio di motivazione in
ordine all’affermazione di colpevolezza: egli si sarebbe limitato a fare da autista all’agente
infiltrato, e quindi sarebbe al più ravvisabile una connivenza non punibile;
SCORPINITI – a) anche lo Scorpiniti reitera l’eccezione di incompetenza territoriale: i
contatti con l’agente infiltrato in Rimini sarebbero stati irrilevanti, e comunque la Corte
territoriale non avrebbe reso adeguata motivazione in ordine ai requisiti della concretezza
dell’offerta e disponibilità della droga; la consegna dello stupefacente si materializzò in
territorio di Carmagnola, ed a sostegno di tale tesi difensiva è stata allegata un’ordinanza
del Tribunale del riesame di Bologna in cui risulta descritto il percorso delle indagini; b) si
deduce poi vizio motivazionale in ordine alle valutazioni probatorie, con particolare
riferimento alla informatrice del Maresciallo Del Monte, Conti Anna, mai escussa come
fonte.

sentenza indicata in epigrafe, confermava l’affermazione di colpevolezza (riducendo la

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Per il suo evidente carattere pregiudiziale deve essere preliminarmente vagliata
l’eccezione di incompetenza territoriale, sollevata da entrambi i ricorrenti.
La censura è infondata.
Come ripetutamente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, le condotte tipiche
previste dall’art. 73 (acquisto, detenzione, raffinazione, trasporto, cessione, etc.),
ponendosi tra loro in rapporto di alternatività formale, perdono la loro individualità quando

consegue che, per determinare, in tal caso, la competenza per territorio, occorre fare
riferimento al luogo di compimento della prima delle condotte addebitate e, laddove tale
luogo non sia identificato o identificabile, la competenza deve essere individuata facendo
richiamo ai criteri suppletivi stabiliti dall’art. 9 c.p.p. (cfr.: Sez. 4^, 16 aprile 2004, Valeri,
RV, 228181: Sez. 6^, 7.4.2003, Angeletti, RV 225628; Sez. 6^, 30.6.1998, Contini, RV
211264; Sez. 6^, 13.11.1992, De Vitis, RV 192490). Poiché il reato di acquisto (o
cessione) di droga si consuma (come più volte precisato nella giurisprudenza di
legittimità) con il solo accordo (senza bisogno della “traditio” dello stupefacente), ai fini
della determinazione della competenza territoriale, nella concreta fattispecie, occorre
verificare se è possibile individuare il luogo in cui è avvenuto l’accordo: orbene, come
precisato dal Tribunale di Rimini e confermato dalla Corte d’Appello di Bologna, l’accordo
tra i venditori e l’acquirente (il Mar. Dal Monte che agiva sotto copertura) in territorio di
Rimini. Non rileva, dunque, che successivamente all’accordo intervenuto in Rimini vi siano
stati ulteriori contatti tra i protagonisti della vicenda e la consegna dello stupefacente si
sia poi materializzata in territorio di Carmagnola. E’ “ius receptum” che “le condotte
criminose di offerta e messa in vendita di sostanze stupefacenti si perfezionano al
momento della manifestazione del soggetto agente di procurare ad altri la sostanza,
sempre che ne abbia la disponibilità, anche se non immediatamente” (in termini, “ex
plurimis”, Sez. 6, n. 36818 del 22/05/2012 Ud. – dep. 25/09/2012 – Rv. 253348); ed è
stato altresì precisato che “l’offerta di sostanza stupefacente non richiede l’attuale
disponibilità della “merce” da parte dell’offerente ne’ la sua immediata messa a
disposizione a favore dell’altro soggetto, essendo sufficiente che, in base alle circostanze e
modalità del fatto, essa si presenti realizzabile e non priva di serietà” (Sez. 6, n. 11129
del 01/06/1989 Ud. – dep. 17/08/1989 – Rv. 181940; conf. Sez. 4, n. 3083 del
11/01/1994 Ud. dep. 14/03/1994 – Rv. 197926). Orbene, le doglianze dei ricorrenti circa
la ritenuta serietà dell’offerta in vendita della droga, rivolta al Mar. Dal Monte in quel di
Rimini, non colgono nel segno. La Corte d’Appello ha sottolineato la disponibilità effettiva
della droga da parte dei proponenti, ed il Giudice di primo grado aveva ricordato al
riguardo il contenuto delle conversazioni tra presenti e di quelle telefoniche oggetto di
intercettazioni ambientali e telefoniche (pag. 14 della sentenza di primo grado) ed aveva
altresì specificamente evidenziato – ad inequivocabile conferma della serietà e della

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si riferiscano alla stessa sostanza stupefacente e siano indirizzate a un unico fine; ne

concretezza dell’offerta della droga già in occasione dell’accordo intercorso tra le parti in
Rimini – che i primi tentativi di consegna non erano andati a buon fine solo per gli ostacoli
frapposti dall’agente infiltrato il quale non era riuscito ad organizzare nei dettagli
l’operazione di P.G. che avrebbe dovuto portare all’arresto degli imputati dopo la consegna
della droga (pag. 5 della sentenza di primo grado): è principio pacifico in giurisprudenza
quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo
grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico
della motivazione (in termini, “ex plurimis”, Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994
Ud. – dep. 23/04/1994 – Rv. 197497; conf. Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997
Ud. – dep. 05/12/1997 – Rv. 209145).
4.1. Non può poi valere a corroborare la tesi difensiva, in ordine alla questione della
competenza territoriale, la documentazione allegata al ricorso dello Scorpiniti ed evocata
espressamente nel ricorso stesso, pur sottoposta al vaglio secondo i criteri interpretativi
elaborati nella giurisprudenza di legittimità in conseguenza delle modifiche apportate dalla
legge n. 46/2006 (cd. Legge Pecorella) all’art. 606 del codice di rito.
A fronte dei motivi di ricorso formulati dal ricorrente, compito di questa Corte non è quello
di ripetere l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il
ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza
strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dal non aver
tenuto presente, la Corte distrettuale, fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio
della decisione impugnata. In realtà, le deduzioni del ricorrente non risultano in sintonia
con il senso dell’indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui (Sez. 6, Sentenza n.
38698 del 26/09/2006, Rv. 234989, imp. Moschetti ed altri) la Corte di Cassazione deve
circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione
impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori
di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della
realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili
incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con “atti del processo”, specificamente
indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o
dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto,
determinando al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere
manifestamente incongrua la motivazione. Ciò posto, se la denuncia del ricorrente va letta
alla stregua dei contenuti concettuali dell’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come
modificato dalla legge 46/2006, occorre allora tener conto che la legge citata non ha
normativamente riconosciuto il travisamento del fatto, anzi lo ha escluso: semmai, può
parlarsi di “travisamento della prova”, che, nel rinnovato indirizzo interpretativo di questa
Corte, ha un duplice contenuto, con riguardo a motivazione del Giudice di merito o
difettosa per commissione o difettosa per omissione, a seconda che il Giudice di merito,

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ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità

cioè, incorra in una utilizzazione di un’informazione inesistente, ovvero in una omissione
decisiva della valutazione di una prova (Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, Rv. 233460,
P.M. in proc. Napoli). In sostanza, la riforma della legge n. 46 del 2006 ha introdotto un
onere rafforzato di specificità per il ricorrente in punto di denuncia del vizio di
motivazione. Infatti, il nuovo testo dell’art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. – nel far
riferimento ad atti del processo che devono essere dal ricorrente “specificamente
indicati” – detta una previsione aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell’art.
specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”).
Con la conseguenza che sussiste a carico del ricorrente – accanto all’onere di formulare
motivi di impugnazione specifici e conformi alla previsione dell’art. 581 c.p.p – anche un
peculiare onere di inequivoca “individuazione” e di specifica “rappresentazione” degli atti
processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta, onere da assolvere nelle
forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi, e cioè integrale
esposizione e riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, precisa
identificazione della collocazione dell’atto nel fascicolo del giudice et similia (cfr. Sez. 1, n.
20370 del 20/04/2006, Rv. 233778, imp. Simonetti ed altri). In forza di tale principio
(cosiddetta autosufficienza del ricorso) si impone, inoltre, che in ricorso vengano
puntualmente ed adeguatamente illustrate le risultanze processuali considerate rilevanti e
che dalla stessa esposizione del ricorso emerga effettivamente una manifesta illogicità del
provvedimento, pena altrimenti l’impossibilità, per la Corte di Cassazione, di procedere
all’esame diretto degli atti (in tal senso, “ex plurimis”, Sez. 1 n. 16223 del 02/05/2006,
Rv. 233781 imp. Scognamiglio): manifesta illogicità motivazionale assolutamente
insussistente nel caso in esame, se si tiene conto delle argomentate risposte fornite dalle
integrative pronunce di primo e secondo grado alla questione posta dalla difesa
relativamente alla competenza territoriale. Ma v’è di più, posto che, sempre con
riferimento alla portata delle innovazioni della legge n. 46/2006 relativamente allo
specifico caso di ricorso per cassazione di cui all’art. 606, lettera e), c.p.p., non è
sufficiente: a) che gli atti del processo evocati con il ricorso siano semplicemente
“contrastanti” con particolari accertamenti e/o valutazioni del giudicante, o con la sua
ricostruzione complessiva (e finale) dei fatti e delle responsabilità; b) né che tali atti
possano essere astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella
fatta propria dal giudicante. Occorre invece che gli “atti del processo”, presi in
considerazione per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione, siano “decisivi”,
ossia autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro
rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo
Interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o
contraddittoria la motivazione. In definitiva: la nuova formulazione dell’art. 606, comma
primo, lett, e), cod. proc. pen., introdotta dall’art. 8 della legge 20 febbraio 2006 n. 46,

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/0C4’41 2

581 lett. c) c.p.p. (secondo cui i motivi di impugnazione devono contenere “l’indicazione

nella parte in cui consente la deduzione, in sede di legittimità, del vizio di motivazione
sulla base, oltre che del “testo del provvedimento impugnato”, anche di “altri atti del
processo specificamente Indicati nel motivi di gravame”, non ha mutato la natura del
giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, per cui gli atti in
questione non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se
convenientemente valutati (non solo singolarmente, ma in relazione all’intero contesto
probatorio), avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata,
della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una
nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal
giudice di merito (Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Rv. 233775, imp. Capri ed altri).
Tenendo conto di tutti i princìpi testè ricordati, deve dunque concludersi che, nel caso di
specie, le argomentazioni poste a base della censura appena esaminata non valgono a
scalfire la congruenza logica del complesso motivazionale impugnato, alla quale il
ricorrente ha inteso piuttosto sostituire una sua perplessa visione alternativa del fatto
facendo riferimento all’art. 606 lett. e) c.p.p. Le allegazioni difensive non valgono dunque
a disarticolare l’apparato argomentativo delle integrative pronunce di primo e secondo
grado.
5. Passando all’esame delle dogllanze relative alle valutazioni probatorie, osserva il
Collegio che le stesse presentano evidenti connotazioni di inammissibilità, perché in parte
manifestamente infondate ed in parte relative ad apprezzamenti di merito e valutazioni
probatorie non deducibili in sede di legittimità.
Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta formalmente e
sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali – quali sopra riportati nella
parte narrativa in relazione alle singole posizioni, e da intendersi qui integralmente
richiamati onde evitare superflue ripetizioni – forniscono, con argomentazioni basate su
una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva
risposta ai quesiti posti dalla difesa degli imputati. Con le dedotte doglianze i ricorrenti,
per contrastare la solidità delle conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito, non
hanno fatto altro che riproporre In questa sede – attraverso considerazioni e deduzioni
svolte in chiave di puro merito – tutta la materia del giudizio, adeguatamente trattata dalla
Corte territoriale. Sicché le critiche mosse alla sentenza impugnata si risolvono in censure
che tendono sostanzialmente ad una diversa valutazione delle risultanze processuali non
consentita nel giudizio in Cassazione. Ed invero, in tema di sindacato del vizio di
motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria
valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, ma solo quello di stabilire se questi
ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, dandone una corretta e
logica interpretazione, con esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti; se
abbiano, quindi, correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle

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rimanendo comunque esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza

argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di
altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12). E
poiché il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione
normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o – a seguito della modifica
apportata all’art. 606.1, lett. e), c.p.p. dall’art. 8 della L. 20.2.2006, n. 46 – da “altri atti
del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame”, tanto comporta, quanto
al vizio di manifesta illogicità, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede
per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di
un’altra interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul
piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli
atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una
diversa lettura o interpretazione, ancorché, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr.
Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30; id., Sez. Un., 30.4.1997, n. 6402; id., Sez. Un.,
24.11.1999, n. 24; in termini sostanzialmente identici, ancorché con riferimento alla
materia cautelare, Sez. Un., 19.6.1996, n. 16; e non dissimilmente, Sez. Un., 27.9.1995,
n. 30; id., Sez. Un., 25.10.1994, n. 19/1994; e, con riguardo al giudizio, Sez. Un.,
13.12.1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12). Inoltre, l’illogicità della
motivazione, censurabile a norma dell’art. 606.1, lett. e), c.p.p., è quella evidente, cioè di
spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, proprio perché l’indagine di legittimità sul
discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di cassazione limitarsi – come s’è detto – a riscontrare l’esistenza di
un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della
motivazione alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. Un., 24.9.2003, n. 47289; id., Sez.
Un., 30.11.2000, n. 5854/2001; id., Sez. Un., 24.11.1999, n. 24).
5.1. E’ solo il caso di aggiungere ulteriormente che: a) il ricorso dell’Aloisio presenta
altresì evidenti connotazioni di genericità, essendosi il ricorrente limitato a prospettare la
configurabilità di una mera connivenza non punibile, a fronte di schiaccianti prove del suo
pieno coinvolgimento nella delittuosa vicenda, essendo stato presente in tutte le più
rilevanti fasi della vicenda stessa, dal momento dell’accordo iniziale in Rimini a quello della
consegna dello stupefacente, come peraltro affermato dal Mar. Del Monte; b) del tutto
irrilevante, ai fini probatori, è il mancato esame della confidente – oggetto di specifica
doglianza dello Scorpiniti – avuto riguardo alla molteplicità di dati probatori, anche di
natura oggettiva (“in primis”, il sequestro dello stupefacente), a carico dello Scorpiniti
stesso, da soli ampiamente sufficienti a suffragare l’affermazione di colpevolezza, quali
emergono dalle integrative pronunce di primo e secondo grado: basti pensare alle
dichiarazioni del Mar. Del Monte circa l’accordo intercorso con lo Scorpiniti nel pomeriggio
del 3 marzo 1995 nel cantiere dove quest’ultimo prestava la sua opera di direttore dei
lavori ed all’interno del quale era stato visto anche il corriere della droga il quale la sera

che l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e,

t
stessa consegnò poi materialmente la droga, nonché all’esito delle intercettazioni ed ai
risultati della complessa attività investigativa compendiati nelle relazioni di servizio e nelle
dichiarazioni testimoniali degli operanti.
6. Conclusivamente, per quanto precede, i ricorsi – globalmente considerati – devono
essere rigettati, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Il Ccyislgliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma il 17 aprile 2013

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