Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24764 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 24764 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: ROMIS VINCENZO

Data Udienza: 17/04/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BONDIELLI GIULIO N. IL 16/05/1952
avverso la sentenza n. 2980/2011 CORTE APPELLO di GENOVA, del
19/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS
Udito il Procuratore Genqrale in persona del Dott.
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 19/11/2010 il Tribunale di Massa – Sezione distaccata di Carrara affermava la penale responsabilità di MONTEFIORI Davide e BONDIELLI Giulio in ordine alla
seguente imputazione: reato di cui agli artt. 113 e 590 terzo e ultimo comma c. p., in
relazione agli artt. 160 D.P.R. n. 128/1959, 21 comma 1 lett. C) e 22 comma 2 lett. A) D.L.vo
n. 626/1994, 8 D.P.R. n. 547/1955 e 39 D. L.vo n. 624/1996 perché, in qualità il
loro, cagionavano a PENNONI Simone lo schiacciamento della gamba sinistra dal quale
derivava l’amputazione di tale arto; in particolare presso l’ingresso sotterraneo della cava
Fiordichiara, consentivano alla persona offesa di assistere alle operazioni di movimentazione
di blocchi di marmo cosicché una scaglia dì marmo cadeva sulla persona offesa schiacciandole
la gamba sinistra; colpa consistita in negligenza, imperizia, imprudenza e nell’inosservanza
delle sopra indicate norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, per non aver adibito
due lavoratori alle predette operazioni; non avere informato la persona offesa dei rischi
specifici cui era esposta; non avere segnalato alla persona offesa la zona di pericolo. In
Carrara il 24/9/07.In fatto, osservava il primo giudice che il giorno 22 settembre 2007,
PENNONI Simone era stato assunto dalla FIORDICHIARA s.r.l. (di cui il Montefiori era
amministratore unico, mentre il Bondielli rivestiva il ruolo di sorvegliante-capo cava), come
operaio generico di cava (giusta la deposizione della persona offesa e del perito Dumas). Alla
luce della deposizione del teste Cappè doveva poi ritenersi che la vittima era stata invitata ad
acquistare dimestichezza con la ruspa, dato che successivamente avrebbe dovuto prendere il
posto dello stesso Cappè, gruista In forza alla società, prossimo alla cessazione da tale
incarico, e proprio il precedente sabato mattina, in effetti, la persona offesa aveva condotto in
prova tale mezzo. Il lunedì successivo, sempre a detta del Cappè, il Pennoni (su disposizione
del Bondielli, a detta della persona offesa medesima) si era recato, insieme al Cappè stesso,
in cantiere, per assistere all’operazione di “sfornamento”, vale a dire di rimozione di un
blocco di marmo del fronte superiore di avanzamento, oggetto di taglio nei giorni
precedenti. Il Cappè, sempre secondo la sua deposizione, a bordo della pala meccanica,
aveva iniziato la predetta operazione di “sfornamento”, indicando al Pennoni (a terra) un
punto di sicurezza, ove collocarsi, per osservare l’attività del mezzo da lui condotto.
Peraltro, aveva aggiunto il gruista, mentre si trovava a circa 10 metri dalla “bancata” (dopo
aver estratto il blocco di marmo per circa 20 cm.), al fine di effettuare lo scambio tra “le
forche” e la “benna” della pala meccanica, aveva notato la persona offesa che si stava
avvicinando troppo alla bancata, nell’atto di raccogliere i cunei caduti da sotto il blocco
(destinati a facilitarne l’estrazione dalla parete rocciosa che lo circondava), al momento della
parziale estrazione dello stesso. Aveva riferito ulteriormente il Cappè che, accortosi di tale
imprudente comportamento del Pennoni, aveva incominciato a suonare il clacson della pala,
che peraltro non era stato percepito dall’altro, presumibilmente per il rumore del motore del

MONTEFIORI di datore di lavoro e BONDIELLI di sorvegliante di cava, in cooperazione tra

mezzo meccanico, e successivamente aveva sentito un tonfo ed aveva visto per terra il
Pennoni (colpito da una grossa scaglia di marmo caduta da dietro il masso da una altezza di
circa 3 metri, che aveva causato lo schiacciamento della gamba sinistra dell’uomo, con
necessaria successiva amputazione chirurgica di parte dell’arto stesso).
Così descritti i fatti all’origine del sinistro, riteneva il Tribunale la penale responsabilità di
entrambi gli imputati, sulla base innanzitutto del disposto dell’art. 160 D.P.R. 128/1959,
affermante il divieto di impiegare in lavori sotterranei operai in prima assunzione o non
di sufficiente pratica da parte del neo assunto. Ancora, il primo giudice richiamava il
disposto degli artt. 21 e 22 D.P.R. 626/1994, relativamente alle informazioni da fornire, da
parte del datore di lavoro, ai lavoratori, in ordine a rischi e sicurezza del lavoro, ed
all’obbligo, riguardante sempre il datore di lavoro, ma anche dirigenti e preposti, di fornire
sufficiente ed adeguata formazione in materia di sicurezza e salute, a ciascun lavoratore:
il giudicante precisava che dall’istruttoria dibattimentale era emerso che il Pennoni (di anni
30), aveva dichiarato che, prima di essere assunto dalla FIORDICHIARA, aveva lavorato
solo saltuariamente in una cava a cielo aperto, utilizzando una pala meccanica,
di non essere assolutamente a conoscenza del lavoro in galleria per cui non aveva
ricevuto alcuna specifica istruzione, ma solo la generica raccomandazione: “stai attento, sii
prudente, fai attenzione”, e che il giorno del sinistro doveva seguire l’operazione di
sbancamento e recuperare, se possibile, i cunei di ferro. Riteneva il Tribunale la veridicità
delle dichiarazioni della persona offesa, in quanto non contraddittorie (il teste
aveva invero precisato di nulla ricordare al momento dell’incidente) e suffragate da quanto
rilevato dal perito (che aveva accertato, tramite la A.S.L., l’assenza, nel cantiere in
questione, dei necessari corsi di formazione e approfondimento all’atto dell’assunzione di
nuovi lavoratori, indipendentemente dalla loro precedente formazione). Riteneva
quindi il primo giudice che l’affermazione di penale responsabilità di entrambi gli
imputati derivasse dalla circostanza che il Pennoni era stato inviato, un solo giorno dopo
la sua assunzione, senza alcuna preventiva formazione ed informazione, in un
cantiere, sito in galleria, ove in precedenza non era mai stato, per assistere all’estrazione di
un blocco di marmo, senza essere in compagnia di una persona esperta. Quanto alla
presenza del Cappè, il perito Dumas aveva affermato che la stessa non era certo sufficiente,
in quanto il palista era impegnato nella manovra con la macchina operatrice, talché di fatto
la vittima era rimasta senza sorveglianza. In ordine alla responsabilità del Bondielli, il
Tribunale la faceva discendere dal fatto che destinatari delle prescrizioni antinfortunistiche in
argomento vi sarebbe anche il “preposti”, mentre le disposizioni relative alle “escavazioni
sotterranee” richiamavano anch’esse la figura del sorvegliante. Quanto al trattamento
sanzionatorio, veniva inflitta a ciascun imputato la pena della multa di euro 1.000,00.
Relativamente infine alle statuizioni civili, gli imputati ed il responsabile civile (citato in
manleva dalla Difesa dei primi) società FIORDICHIARA, venivano condannati, in solido tra

pratici del cantiere, se non in compagnia di altra persona esperta, fino al raggiungimento

loro, al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separata sede) a favore della parte civile
costituita, cui veniva riconosciuta una provvisionale immediatamente esecutiva di euro
150.000,00.
A seguito di rituale gravame degli imputati,la Corte d’Appello di Genova confermava
l’impugnata decisione e, in risposta alle deduzioni difensive, e per la parte che in questa
sede rileva, con specifico riferimento alla posizione del Bondielli, dava conto del proprio
convincimento richiamando integralmente le argomentazioni svolte dal primo giudice, in
dichiarato dal teste BUFFONI Arimante (ritenuto particolarmente affidabile, in
quanto citato dalla difesa Montefiori), il Pennoni aveva si lavorato in
precedenza quale palista in una cava, ma a cielo aperto, limitandosi a radunare e
caricare su un camion i detriti di marmo residui delle lavorazioni, ed escludendo
assolutamente, su domanda del difensore della parte civile, che la parte civile
avesse mai effettuato operazioni di escavazione nel cantiere in questione, aggiungendo
icasticamente: “Con l’estrazione del blocco non c’ha niente a che fare”; lo stesso perito
Dumas aveva testualmente affermato: “Ma il Pennoni era esperto in quanto lavorava in una
cava a cielo aperto su detrito, non era esperto in quanto lavorava già precedentemente
come palista all’interno di un cantiere in sotterraneo e a sfornare blocchi, sono due tipologie
di esperienze diverse, perché le posso dire avvocato che la pala la so guidare anch’io, ma
non sono mica un palista da tirare fuori un blocco a sfornare un blocco, sono due cose
diverse”, aggiungendo ancora “C’è scritto nel 160: «é vietato impiegare in lavori sotterranei
operai di prima assunzione e non pratici del cantiere»; il Pennoni sicuramente non era
pratico del cantiere, era il primo giorno che ci andava”; b) quanto all’obbligazione
gravante sul Bondielli, lo stesso perito Dumas aveva dichiarato che “il neo assunto
dev’essere affiancato da persona esperta e l’affiancamento deve rimanere finché il neo
assunto non assume l’esperienza da poter svolgere il proprio ruolo da solo, lo dice il 160,
non lo dico io” ed aveva ancora aggiunto che, sulla base della documentazione da lui
esaminata, in assenza del titolare della ditta operante nella cava, Montefiori, quantomeno
quel giorno il cantiere era “gestito” dal Bondielli, precisando che se quella mattina la vittima
fosse stata affiancata da un operaio esperto, ciò avrebbe consentito di evitare il sinistro e
sottolineando poi ulteriormente che se il Pennoni fosse stato un operaio esperto non si
sarebbe avvicinato alla bancata, “perché non ci si avvicina ad un fronte che é oggetto di
estrazione”; c) la responsabilità del Bondielli (in linea con l’imputazione di cui alla rubrica, e
dovendo correggersi quindi sul punto la motivazione dell’impugnata sentenza quanto ai
richiami normativi nella stessa contenuti) era ricollegabile alla circostanza che l’imputato,
su cui, quel giorno, nella cava, gravava, pacificamente, la responsabilità di sovrintendere
alla lavorazioni di “sfornamento” del masso di marmo, non aveva destinato almeno un
soggetto esperto, non impegnato altrimenti (come il Cappè, impiegato in prima persona
nella manovra suddetta) ad impedire che, data l’acclarata inesperienza del Pennoni,

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quanto ritenute pienamente condivisibili, e precisava ulteriormente quanto segue: a) come

quest’ultimo

potesse

tenere

appunto

il comportamento

indubbiamente

imprudente che lo contraddistinse nell’occasione; se infatti nessuno dei
testi escussi aveva confermato quanto dichiarato al dibattimento dal Pennoni – e
cioè che gli sarebbe stato espressamente ordinato dal Bondielli di recuperare i cunei caduti
da sotto al masso – era tuttavia vero che nessuno dei soggetti all’uopo espressamente
interrogati aveva dichiarato che era stato ingiunto al Pennoni di non tenere tale specifico
comportamento; d) anche ammesso che il Pennoni, di sua iniziativa, potesse
specificamente deputato) lo avesse fatto assistere al lavoro di “sfornamento”,
raccomandandogli semplicemente di non muoversi, non valeva ad escludere la di lui
responsabilità a titolo di cooperazione colposa nel sinistro, non avendo affiancato, al neo
assunto, altro soggetto idoneo che ne prevenisse eventuali comportamenti imprudenti
(da esso spettatore inesperto non potuti ravvisare come tali); e) appariva equa la non
differenziazione sanzionatoria dei due imputati, attesa la concreta diretta incidenza
del Bondielli sul sinistro; e) relativamente alle questioni civili, non si riteneva ravvisabile
alcun concorso di colpa nel comportamento della persona offesa, ed apparivano condivisibili
le conclusioni della relazione medico-legale della parte civile, e la documentazione INAIL
prodotta dalla difesa Manfroni dimostrava la congruità (rispetto al totale dovuto) della
provvisionale liquidata dal Tribunale.
Ricorre per cessazione il BONDIELLI deducendo motivi di censura che possono sintetizzarsi
come segue – 1° MOTIVO: Erronea interpretazione della normativa, perché al Bondielli
risultava affiancato un secondo lavoratore, esattamente il Cappe, e quindi in base all’assunto
dei giudici di merito sarebbe stata necessaria la presenza di una terza persona,
contrariamente a quanto previsto dalla norma di riferimento; i giudici di merito avrebbero in
sostanza addebitato al Bondlelli l’assenza di un tutor, figura introdotta dal T.U. sulla
sicurezza del 2008, non in vigore al momento del fatto; in mancanza della specifica
violazione di legge, un addebito a titolo di colpa generica avrebbe richiesto un maggiore
approfondimento ed avrebbe comunque comportato il mutamento del titolo di colpa con
violazione del diritto di difesa; 2° MOTIVO – 4° MOTIVO: con il secondo ed il quarto motivo il
ricorrente svolge argomentazioni a sostegno della denuncia di violazione di legge, con
specifico riferimento all’asserito mutamento del titolo del reato ed alla prospettata
inosservanza degli artt. 521 e 522 c.p.p., laddove la Corte territoriale ha individuato la
posizione di garanzia del Bondielli nella figura del “preposto” prevista invece dall’art. 90 della
legge 626/94 – norma non presente nel capo di imputazione ed introdotta dai giudici di
secondo grado con un’operazione di esserne correzione del capo di imputazione – figura
priva di definizione prima del T.U. sulla sicurezza del 2008; 3 0 MOTIVO: asserita idoneità
delle raccomandazioni di attenzione e prudenza rivolte dal Bondielli al Pennoni con invito a
non muoversi; la situazione di contingente pericolo avrebbe dovuto essere percepita dal
lavoratore Cappe al quale incombeva l’onere, secondo la prospettazIone del ricorrente, di

bir

essersi mosso per recuperare i cunei, la circostanza che il capo cava (all’uopo

verificare che la normativa antinfortunistica venisse attuata; 5 0 MOTIVO: omessa
valutazione delle precisazioni del perito secondo cui non vi sarebbero stati motivi per
interdire la zona di lavoro In cui era presente il Pennoni; 6° MOTIVO: erroneamente sarebbe
stato condannato il Bondielli a titolo di cooperazione colposa, non potendo ravvisarsi alcun
legame psicologico tra le condotte del Montefiori e del Bondielli il quale non aveva alcuna
consapevolezza dell’altrui condotta delittuosa; 7° MOTIVO: erronea valutazione delle
acquisizioni probatorie e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta esclusione di qualsiasi

giudici “imprudente”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.
Quanto alla prima doglianza, il ricorrente ha insistentemente posto l’accento sulla presenza
sul posto di lavoro, insieme al Pennoni, di altro lavoratore esperto, il Cappè, circostanza che
avrebbe comportato il rispetto dell’art. 160 (secondo comma) del decreto del presidente
della repubblica 9 aprile 1959, n.128 in forza del quale “è vietato impiegare in lavori
sotterranei operai di prima assunzione o non pratici del cantiere se non in compagnia di altra
persona esperta e ciò fino a quando non abbiano acquisito sufficiente pratica”.
L’assunto difensivo non può essere condiviso in relazione alle peculiari condizioni e
circostanze in cui si verificò l’infortunio che ne occupa. Vero è che insieme al Pennoni vi era
sul posto di lavoro anche un altro operaio, ed ›, e cioè il Cappè; ma è
altresì vero che quest’ultimo era impegnato alla guida del mezzo meccanico, intento alla
materiale operazione di “sfornamento” del masso di marmo, e quindi non in grado di
assistere il Pennoni da vicino onde poterne controllare azioni e movimenti ed essere in grado
di fronteggiare qualsiasi pericolo per quest’ultimo. Lo scopo preventivo della disposizione di
legge in esame – la cui “ratio” è all’evidenza quella di assicurare in concreto assistenza e
condizioni di sicurezza al lavoratore inesperto e di prima assunzione – non poteva ritenersi
quindi adeguatamente soddisfatto: prova ne sia che, accortosi del pericolo che stava
concretizzandosi per il Pennoni, il Cappè non fu in grado di intervenire tempestivamente né
riuscì ad allertare il Pennoni con il clacson del motomezzo da lui manovrato perché i rumori
dell’ambiente non consentirono al Pennoni di percepire quel suono: ed è significativo che il
perito si sia espresso proprio in tal senso. In ogni caso sarebbero ravvisabili a carico del
Bondielli per il ruolo da lui ricoperto (sorvegliante di cava) – profili di colpa generica contestata con il capo di imputazione con lo specifico riferimento a negligenza, imperizia,
imprudenza – per le evidenti contingenti condizioni di pericolo per il Pennoni, vale a dire il
secondo lavoratore impegnato in un’attività lavorativa che non consentiva di assicurare al
lavoratore Pennoni stesso un’adeguata assistenza. Né può trovare condivisione la tesi del
ricorrente secondo cui un addebito a titolo di colpa generica avrebbe richiesto un maggiore
approfondimento ed avrebbe comunque comportato il mutamento del titolo di colpa con

violazione del diritto di difesa. Come detto, con il capo di imputazione erano stati addebitati

frA2p0,11)

concorso di colpa da parte del Pennoni, la cui condotta è stata peraltro definita dagli stessi

al Bondielli anche profili di colpa generica; orbene, è sufficiente evocare il consolidato
orientamento affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte che risulta efficacemente
compendiato e sintetizzato nel seguente principio così enunciato: “Nei procedimenti per reati
colposi, quando nel capo d’imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di
colpa, la sostituzione o l’aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili
originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con
sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa
considerata in riferimento all’evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi
relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui
è chiamato a rispondere” (in termini, Sez. 4, n. 38818 del 04/05/2005 Ud.
dep. 21/10/2005 – Rv. 232427). Del pari inconferente è il richiamo del ricorrente alla
sentenza CEDU Drassich contro Italia: la situazione oggetto di detta pronuncia – quanto alla
correlazione tra imputazione e sentenza – era del tutto diversa posto che vi era stata
condanna per un reato, la corruzione in atti giudiziari, che non risultava menzionato nel
rinvio a giudizio dell’imputato ed a questi non era stato comunicato in nessuna fase del
procedimento.Ma vi è di più. E’ emersa palese dall’istruzione dibattimentale – come
evidenziato dalla Corte territoriale – la mancanza di qualsiasi formazione ed adeguata
Informazione nei confronti del Pennoni circa le modalità del lavoro al quale era stato
chiamato a partecipare ed i rischi connessi: violazione ancor più grave – ed eziologicamente
legata all’infortunio in maniera rilevante – ove si consideri che il Pennoni era stato assunto
appena il giorno prima dell’infortunio e non aveva mai lavorato in una cava sotterranea. Non
può certo ritenersi esaustivo l’invito generico rivolto dal Bondielli al Pennoni a “stare attento”
e “non muoversi”, in mancanza di una previa adeguata e puntuale informazione sui rischi in
concreti collegati a quella specifica attività lavorativa.
Le censure di cui al secondo e quarto motivo di ricorso riguardano la posizione di garanzia
del Bondielli, negata da quest’ultimo muovendo dal rilievo che non potrebbero ravvisarsi in
relazione al ruolo da lui ricoperto i requisiti ed i presupposti richiesti per assumere la figura
del “preposto”, prevista dall’art. 90 della legge 626/94, norma non presente nel capo di
imputazione ed introdotta dai giudici di secondo grado con un’operazione di asserita
correzione del capo di imputazione che avrebbe invece comportato la modifica del capo di
imputazione con conseguente violazione degli artt. 521 e 522 del codice di rito.
La tesi difensiva non può trovare accoglimento. E’ dato incontrovertibile che il Bondielli
svolgeva il ruolo di “sorvegliante di cava” e che fu lui, il giorno dell’infortunio, a dare le
disposizioni di lavoro al Pennoni raccomandandogli anche di “stare attento”. Orbene, è jus
receptum nella giurisprudenza di questa Corte che “in materia di prevenzione degli infortuni
sul lavoro, il conferimento della qualifica di preposto deve essere attribuita, più che in base a
formali qualificazioni giuridiche, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte
nell’impresa. Ne consegue che chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di

é

Gtul)

generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente

preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o
direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato, per ciò stesso, tenuto a norma
dell’art.4 D.P.R. 27 aprile 1955, n.547, all’osservanza ed all’attuazione delle prescritte
misure di sicurezza ed al controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori” (in termini,
“ex plurimis”, Sez. 3, n. 11406 del 06/07/1999 Ud. (dep. 07/10/1999) Rv. 215065); ed è
stato ulteriormente precisato che “in tema di infortuni sul lavoro, l’esatta individuazione del
preposto, più che attraverso la formale qualificazione giuridica, va fatta con riferimento alle
Ud. (dep. 13/12/1990 ) Rv. 186001). Non vi è chi non veda poi che il ruolo di “sorvegliante
di cava” ben può essere equiparato – avuto riguardo alle funzioni in concreto svolte dal
Bondielli – al “capo cantiere”; di tal che, anche sotto tale aspetto appare evidente la funzione
di garanzia assunta dal Bondielli alla luce del principio secondo cui “in tema di prevenzione
degli infortuni, il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume
la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende
alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla
l’esecuzione sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti. (Fattispecie nella quale è
stata ritenuta la responsabilità del capo-cantiere in ordine al reato di omicidio colposo per
non aver impedito l’uso di un escavatore ribaltatosi per l’elevata pendenza dei luoghi)” [Sez.
4, n. 9491 del 10/01/2013 Ud. (dep. 27/02/2013) Rv. 254403].
Continuando il vaglio delle doglianze racchiuse complessivamente nel secondo e quarto
motivo di ricorso, va rilevata la insussistenza della denunciata violazione degli artt. 521 e
522 c. p. p., laddove i giudici del merito hanno riconosciuto al Bondielli il ruolo di “preposto”.
La decisione impugnata ha fatto corretto impiego del reiterato insegnamento di questa
Corte, anche a Sezioni Unite (Sent. N. 16, Di Francesco, del 22.10.1996),e quindi sempre
ripetuto dalla giurisprudenza successiva in tema di difetto di correlazione, circa la differenza
tra fatto ritenuto in sentenza e contestazione, e di valutazione della reale sussistenza di
lesione del diritto di difesa; basti al riguardo citare, tra le tante, Sez. 3, n. 35225 del
28/06/2007 Ud. (dep. 21/09/2007 ) Rv. 237517 (Imputato: Dimartino) secondo cui “il
principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta violato quando nei fatti,
rispettivamente descritti e ritenuti, non sia possibile individuare un nucleo comune, con la
conseguenza che essi si pongono, tra loro, non in rapporto di continenza, ma di
eterogeneità. (Fattispecie in cui l’imputato, citato a giudizio per avere ammesso al lavoro un
minore di anni quindici, era stato ritenuto responsabile, in assenza di modifica
dell’imputazione, del reato di assunzione di adolescente di età superiore ai quindici anni, ma
inferiore ai diciotto, che non aveva adempiuto all’obbligo scolastico)”; nello stesso senso si
pone Sez. 5, n. 7583 del 11/06/1999 (Ud. 06/05/1999 n.01019 ) Rv. 213645 (Imputato:
Grossi L ed altri), che così si è espressa: “la mancata correlazione tra contestazione e fatto
ritenuto in sentenza si verifica solo quando si manifesti radicale difformità tra i due dati, in
modo che possa derivarne assoluta incertezza sull’oggetto della imputazione, con
A/0 P/0

mansioni effettivamente svolte nell’ambito dell’impresa” (Sez. 4, n. 16409 del 26/10/1990

conseguente pregiudizio dei diritti della difesa. Pertanto, l’indagine volta ad accertare la
eventuale sussistenza di tale violazione non può esaurirsi in un’analisi comparativa,
meramente letterale, tra imputazione e sentenza, dal momento che il contrasto non sarebbe
ravvisabile se l’imputato, attraverso l’iter del processo, fosse comunque venuto in concreto a
trovarsi in condizione di difendersi in ordine all’oggetto della contestazione”. Va osservato
che, nel caso di specie, l’imputato è venuto a trovarsi nella condizione di difendersi in ordine
all’oggetto dell’imputazione. Di tal che, non può certo argomentarsi che il principio di
discutersi di assoluta incompatibilità tra due dati, tale che la pronuncia del giudice di merito
debba ritenersi relativa ad un fatto del tutto nuovo rispetto alla ipotesi di accusa.
Le doglianze esposte nel terzo e quinto motivo – quali sopra riportate nella parte narrativa e
da intendersi qui richiamate – attengono ancora alla posizione di garanzia del Bondielli, alle
raccomandazioni di attenzione rivolte da questi al Pennoni ed alla presenza sul posto di
lavoro, insieme, a quest’ultimo, di un secondo lavoratore (il Cappe); tali censire trovano
dunque risposta nelle argomentazioni già in precedenza svolte nell’esaminare i motivi
concernenti globalmente l’affermazione di colpevolezza del Bondielli: argomentazioni alle
quali si rimanda onde evitare superflue ripetizioni.
Privo di fondamento è l’assunto difensivo di cui al sesto motivo di ricorso secondo cui
erroneamente sarebbe stato condannato il Bondielli a titolo di cooperazione colposa,
muovendo dall’asserito rilievo che non potrebbe ravvisarsi alcun legame psicologico tra le
condotte del Montefiori e del Bondielli il quale non avrebbe avuto alcuna consapevolezza
dell’altrui condotta delittuosa. Ed invero, essendo stato comunque accertato il
comportamento colposo del Bondielli – e correttamente ritenuto sussistente il nesso
eziologico tra tale condotta e l’evento – è sufficiente in proposito evocare il seguente
principio condivisibilmente enunciato da questa Corte: “non costituisce violazione del
principio di correlazione tra accusa e sentenza la condanna a titolo monosoggettivo per
delitto colposo, a fronte dell’imputazione a titolo di cooperazione colposa, purché venga
comunque riconosciuta la rilevanza causale della condotta colposa dell’imputato, come
delineata nell’imputazione”(Sez. 4, n. 14505 del 14/01/2010 Ud. (dep. 15/04/2010 ) Rv.
247125. In ogni caso, quanto ai presupposti per la configurabilità della cooperazione colposa
(quale contestata al Bondielli con la formulazione del capo di imputazione) questa Corte ha
avuto modo di precisare che “ai fini del riconoscimento della cooperazione nel reato colposo
non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell’altrui condotta, né la
conoscenza dell’identità delle persone che cooperano, ma è sufficiente la coscienza dell’altrui
partecipazione nello stesso reato, intesa come consapevolezza da parte dell’agente che dello
svolgimento di una determinata attività (nella specie in una struttura sanitaria) anche altri
sono investiti” (Sez. 4, n. 6215 del 10/12/2009 Ud. (dep. 16/02/2010 ) Rv. 246420): il
Bondielli era certamente consapevole della posizione di garanzia assunta ovviamente anche
dal Monteflori Davide quale datore di lavoro.

RAF,

correlazione tra reato contestato e fatto ritenuto in sentenza risulti violato giacché non è a

Il ricorrente si duole infine (settimo motivo di ricorso) della ritenuta esclusione di qualsiasi
concorso di colpa da parte del Pennoni nonostante la condotta di questi sia stata definita dai
giudici di merito “imprudente”. Anche tale doglianza è priva di giuridico fondamento. E’
sufficiente invero ricordare il consolidato orientamento affermatosi nella giurisprudenza di
legittimità, secondo cui il destinatario delle norme antinfortunistiche è esonerato da
responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme (Sez. 4, n. 40164
del 03/06/2004 Ud. – dep. 13/10/2004 – Rv. 229564, imp. Giustiniani); dovendosi

ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte
all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro (Sez. 4, n. 2614 del
26/10/2006 Ud. (dep. 25/01/2007 ); orbene, nel caso di specie non può certo definirsi
abnorme il comportamento del Pennoni, giacché deve definirsi imprudente il comportamento
del lavoratore che sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un
ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il
datore di lavoro – oppure rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in
qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili,
imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (in tal senso, “ex plurimis”, Sez.
4, n. 25532 del 23/05/2007 Ud. (dep. 04/07/2007 ) Rv. 236991; la Corte distrettuale ha,
con congruità, motivato nel senso che la condotta tenuta dal Pennoni in occasione del
sinistro non era affatto eccentrica né disfunzionale rispetto alla normale attività lavorativa.
Se è vero, infine, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro,
sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, giova
ricordare, tuttavia, che l’inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei
dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell’operaio, la
cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti
obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza (cfr. Sez. 4, n. 10121 del
23/01/2007 Ud. – dep. 09/03/2007 – Rv. 236109 imp.: Masi e altro).
Conclusivamente, per tutto quanto precede, il ricorso proposto nell’interesse del
Bondielli – globalmente considerato – deve essere rigettato, con la conseguente condanna
dello stesso al pagamento delle spese processuali; il ricorrente deve essere altresì
condannato a rimborsare alla parte civile Pennoni Simone le spese sostenute per questo
giudizio che si liquidano in complessivi euro 2.500,00 oltre I.V.A. e C.P.A.
P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla
rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, Pennoni Simone,
liquidate in complessivi euro 2.500,00 oltre I.V.A. e C.P.A.
Così deciso in Roma il 17 aprile 2013
Il onsigliere estensore

Il Presidente

considerare “abnorme” il comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si

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