Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24763 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 24763 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOLE’ DANILO N. IL 24/02/1986
avverso la sentenza n. 662/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
16/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS
Udito il Procuratore Genwale in persona del Dott. ,i /~-4 )0
”che ha concluso per GY

Udito, per la p e civile, l’Avv

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Udit i difensor Avv.

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Data Udienza: 17/04/2013

RITENUTO IN FATTO

1. In data 7 agosto 2007 Molè Danilo procedeva alla guida della sua vettura Fiat Punto
quando, giunto in corrispondenza di un incrocio, urtava il ciclomotore di Carnemolla
Giuseppe che stava svoltando a sinistra omettendo di fermarsi al segnale di stop; lo scontro
tra i due mezzi avveniva nella corsia di marcia di pertinenza della Fiat ed il punto d’urto
veniva poi individuato fra la parte anteriore sinistra dell’auto e la parte anteriore sinistra
della moto; prima dell’impatto la Flat Punto aveva lasciato tracce di frenata lievi per circa
proiettato indietro ed era ricaduto ad una distanza di circa metri 29,70 dal punto d’urto in
prossimità del centro della strada; il motociclista a seguito dell’impatto dapprima era stato
sbalzato sul cofano dell’auto, poi sul parabrezza e, infine, era rovinato a terra decedendo
immediatamente.
Sulla base dei rilievi della Polizia Municipale si accertava che al momento dell’incidente il
Molè procedeva alla velocità di 42 KM/h mentre il Carnemolla a quella di 28 KM/h. Il perito
appurava che il Molè avrebbe potuto frenare in un spazio di 26 metri, mentre invece aveva
frenato in ben 20 metri in più senza nemmeno tentare di sterzare.
Per tale fatto il Molè veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di omicidio colposo

commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale nonché di quello di guida
sotto l’influenza di sostanze stupefacenti previsto dall’art. 187 del codice stradale.
1.1 Con sentenza del 10.11.2010 il GUP presso il Tribunale di Ragusa, all’esito di giudizio
celebrato con il rito abbreviato, dichiarava il Molè colpevole del reato di omicidio colposo
conseguente ad infortunio stradale e lo condannava – riconosciute le attenuanti generiche
equivalenti alla contestata aggravante ed applicata la diminuente per la scelta del rito – alla
pena, sospesa, di mesi 4 di reclusione, condannandolo altresì al risarcimento dei danni in
favore delle tre parti civili costituite liquidati in euro 10.000,00 per ciascuna di esse; il
giudicante assolveva l’imputato dal reato di cui all’art. 187 D.Lvo n. 285/92 (guida in stato
di alterazione ‘per assunzione di stupefacenti).
Avverso la sentenza presentavano impugnazione nei termini sia l’Imputato sia, in via
incidentale, la parte civile. Il Molè con il primo motivo censurava la legittimità dell’ordinanza
emessa dal GUP ex art. 441 c.p.p. con la quale aveva disposto integrazione probatoria
senza che ne ricorressero i presupposti e senza consentire l’esame orale del perito nominato
che si era limitato a depositare la perizia scritta senza essere mal stato escusso; censurava
poi il giudizio di colpevolezza in quanto fondato su erronee valutazioni del perito il quale
aveva trascurato l’assoluta imprevedibilità della manovra della vittima, che aveva
attraversato senza rispettare lo stop, e non aveva accertato se la visibilità fosse ridotta;
censurava poi la mancata quantificazione della colpa ascrivibile alla vittima, che lo stesso
GUP aveva definito “preponderante”; sosteneva che nessuna responsabilità poteva essergli
ascritta per assenza del nesso di causalità e che non era stata in alcun modo motivata la
liquidazione del danno in favore delle parti civili; In via subordinata invocava la diminuzione

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tre metri e si era quindi arrestata quattro metri dopo il punto d’urto; il motociclo era stato

della pena chiedendo la prevalenza e non la mera equivalenza delle attenuanti generiche
tenuto conto che lo stesso GUP aveva definito “preponderante” la colpa della vittima. La
parte civile, con l’appello incidentale, censurava la quantificazione del danno come
determinato dal primo giudice perché basata sull’erroneo presupposto che vi fosse stato
concorso di colpa da parte del Carnemolla, posto che nessuna prova era stata raggiunta in
ordine alla circostanza che lo stesso non si fosse fermato allo stop, mentre si era trascurato
che il Molè era sotto l’effetto di stupefacenti: la parte civile sollecitava quindi la condanna

2. La Corte d’Appello di Catania, in risposta alle deduzioni degli appellanti, argomentava
come segue. Appello imputato: a) – il potere d’integrazione d’ufficio delle prove non sarebbe
in alcun modo sindacabile, tanto da poter essere esercitato anche dopo la chiusura della
discussione ove il giudice ne valuti la necessità; b) in ordine al mancato esame del perito
nominato dal GUP doveva rilevarsi quanto segue: all’udienza del 29.9.10 il perito aveva
depositato la perizia disposta dal GUP per l’accertamento della dinamica del sinistro stradale
e l’individuazione delle cause dell’incidente, e le parti avevano chiesto termine a difesa per
esaminare l’elaborato peritale, concludendo poi alla successiva udienza del 10.10.2010 come
da verbale in atti: pur assistendo le parti alla dichiarazione di utilizzabilità della perizia, non
era stata sollevata alcuna eccezione di nullità in ordine al mancato esame dibattimentale del
perito sicché il vizio, in aderenza al costante orientamento giurisprudenziale di legittimità,
doveva ritenersi sanato; c) quanto al merito, dagli accertamenti della Polizia Municipale e
dalla perizia era emerso che sebbene la vittima non avesse rispettato il segnale di STOP, il
tempo di reazione del Molè allorquando si era avveduto del pericolo era stato più lungo del
normale tanto che l’auto avrebbe potuto arrestarsi in 26 metri circa e, invece, si era
arrestata in ben 20 metri in più; ciò significava che il Molè, malgrado tenesse una velocità
inferiore a quella massima prevista su quel tratto di strada (ovvero viaggiava a 42 km/h
mentre il limite di velocità era pari a 70 km/h), non guidava prudentemente tanto da non
essere riuscito ad evitare il motociclo che era uscito dall’incrocio senza rispettare lo stop; del
resto, il perito aveva evidenziato che il motociclo era visibile ben 46 metri prima e che il
segnale di stop era segnalato 100 metri prima dell’incrocio; d) nel determinismo causale
dell’evento, doveva attribuirsi rilievo sia alla condotta di guida dell’imputato che,
avvicinatosi all’incrocio, pur vantando il diritto di precedenza, procedeva ad una andatura
certamente non adeguata in prossimità di incrocio, sia al motociclista che aveva omesso di
dare la precedenza all’automobilista non rispettando il segnale di stop: valutate
comparativamente tali condotte, ed avuto riguardo alla natura e alla gravità delle violazioni
delle norme sulla circolazione stradale addebitate a ciascun conducente dei mezzi coinvolti
nel sinistro, doveva attribuirsi all’imputato il concorso di colpa nell’eziologia dell’evento nella
misura del 50%; e) risultava infondata la richiesta di prevalenza delle circostanze attenuanti
generiche nel giudizio di comparazione non essendovi una colpa “preponderante” come

A

itiO 14/1

dell’imputato anche per detto reato.

ritenuto dal GUP ma equivalente; appariva viceversa fondata la censura attinente la
quantificazione del danno da risarcire in favore delle parti civili: ed invero, non ravvisandosi
elementi concreti per riparametrare il danno morale, se ne doveva disporre la liquidazione in
separata sede; Appello incidentale della parte civile – a) la censura attinente la pronunzia
assolutoria emessa dal GUP in ordine alla violazione dell’art. 187, co.2, del codice stradale
era inammissibile; b) in ordine al censurato concorso di colpa del Carnemolla nell’infortunio
stradale nel quale lo stesso era deceduto, bastava riportarsi a quanto già esposto in ordine
guida dell’imputato sia del motociclista; c) analogamente, le censure attinenti la
quantificazione del danno da risarcire in favore delle parti civili dovevano ritenersi assorbite
dal rilievo circa la necessità che detto “quantum” venisse determinato in separata sede.
3.Ricorre per cassazione il Molè, tramite il difensore, sotto il profilo della violazione di legge
e/o del vizio motivazionale, deducendo doglianze che possono così sintetizzarsi: A) mancata
notifica dell’appello incidentale della parte civile; B) violazione dell’art. 441, comma quinto,
c.p.p. per avere il GUP esercitato i poteri di ufficio di integrazione probatoria (disponendo una
perizia), senza che ne ricorressero i presupposti: ed avrebbe errato la Corte territoriale nel
ritenere insindacabile l’esercizio di tale potere da parte del giudice; C) nullità per avere il GUP
acquisito l’elaborato peritale senza procedere all’esame del perito; ad avviso del ricorrente si
tratterebbe di nullità eccepita tempestivamente con l’impugnazione della sentenza di primo
grado, di tal che sarebbe incorsa in errore la Corte d’Appello nel ritenere tardivamente
dedotta l’eccezione stessa e quindi sanata la nullità; D) erronea valutazione delle risultanze
peritali e travisamento delle stesse; sarebbe insussistente il nesso causale tra la condotta del
Molè e l’evento, e la Corte territoriale avrebbe operato una reformatio in pejus in danno
dell’imputato ritenendo di pari grado il concorso di colpa di quest’ultimo e della vittima mentre
il primo giudice aveva considerato preponderante il contributo causale della vittima: e ciò, in
presenza dell’impugnazione del solo imputato dovendo considerarsi nullo l’appello inddentale
per quanto dedotto con il primo motivo di ricorso; la Corte territoriale non avrebbe tenuto in
debito conto il comportamento anomalo della vittima consistito nella violazione del segnale di
STOP e comunque non avrebbe adeguatamente motivato il proprio convincimento circa il
ritenuto concorso di colpa del Molè nella misura del 50%; E) vizio di motivazione in ordine al
diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche; F) violazione di legge circa la
condanna alla rifusione delle spese in favore della parte civile, posto che vi sarebbe stata in
appello una sostanziale soccombenza della parte civile (tenuto conto anche della revoca delle
statuizioni civili) che avrebbe legittimato una compensazione delle spese; comunque, i giudici
di seconda istanza avrebbero omesso qualsiasi motivazione in ordine all’ammontare delle
spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO

4.11 ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

al determinismo causale dell’evento ed alla conseguente rilevanza sia della condotta di

Per il loro evidente carattere pregiudiziale, vanno esaminate preliminarmente le doglianze in
rito.
4.1 Quanto al primo motivo di ricorso è sufficiente ricordare il principio, condivisibilmente
enunciato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’omessa notificazione alla parte
privata dell’impugnazione proposta da altra parte non dà luogo ad alcuna nullità nè
all’inammissibilità del gravame (cfr.: Sez. 6, n. 24184 del 25/03/2003 Ud. dep. 04/06/2003 – Rv. 225568; Sez. U, n. 12878 del 29/01/2003 Cc. (dep. 20/03/2003 )
4.2 Per quel che riguarda il secondo mezzo di censura, legittimamente il GUP ha esercitato i
poteri di ufficio di integrazione probatoria (disponendo una perizia), ed altrettanto
legittimamente la Corte territoriale ha ritenuto insindacabile l’esercizio di tale potere da
parte del giudice; anche in proposito, a dimostrazione della infondatezza dell’assunto
difensivo, giova il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte con specifico riferimento
all’affermazione del seguente principio: “non è sindacabile in sede di legittimità la decisione
del giudice nel giudizio abbreviato di esercitare il potere di integrazione della prova
riconosciutogli dalla legge processuale” (Sez. 6, n. 30590 del 16/06/2010
Ud. (dep. 02/08/2010) Rv. 248043).
4.3 Correttamente, poi, la Corte distrettuale ha ritenuto tardiva l’eccezione di nullità,
sollevata dalla difesa del Molè con l’impugnazione della sentenza di primo grado, per il
mancato esame dibattimentale del perito prima della lettura della relazione peritale, con
conseguente sanatoria della nullità stessa. Di tal che, Il motivo di ricorso, imperniato sulla
nullità della perizia, è infondato. E’ pacifico, in virtù della chiara disposizione dettata dall’art.
511, comma 3, cod.proc.pen. in applicazione del principio del contraddittorio nella
formazione della prova, che l’acquisizione nel giudizio dibattimentale della relazione peritale,
da effettuarsi mediante lettura o mediante specifica indicazione di utilizzabilità, deve essere
preceduta dall’esame del perito. E’ pacifico altresì che l’inosservanza della citata
disposizione, incidendo sull’esercizio del diritto di difesa, determina una nullità che ricade tra
quelle di ordine generale a regime intermedio previste dall’art. 178, lett. c), cod.proc.pen.
così come condivisibilmente precisato da questa Corte (“ex plurimis”, Cass., Sez. I,
19.3.2004 n. 20927, D’Anna, rv 228981). Il regime di rilevabilità e di deducibilità delle
nullità di ordine generale è disciplinato dagli artt. 180 e 182 cod. proc. pen.: orbene, dalla
lettura combinata delle rispettive disposizioni si rileva che le nullità verificatesi nel giudizio
“non possono essere più rilevate né dedotte dopo la deliberazione della sentenza del grado
successivo” (art. 180, ultimo periodo, cod. proc. pen.) con l’ulteriore precisazione, però, che
“quando la parte vi assiste, la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo
compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo” (art. 182, secondo
comma, primo periodo, cod. proc. pen.). La difesa del Molè, dopo l’acquisizione agli atti
della relazione peritale all’esito dell’istruzione dibattimentale, senza il previo esame del
perito, non ne eccepì subito la nullità; poichè il giudice d’appello (per il quale valeva il

Rv. 223724).

termine previsto dall’art. 180 cit.) non ha ritenuto di rilevarla d’ufficio, ne deriva che
l’eccezione di nullità, sollevata soltanto con l’atto d’appello, è stata dedotta tardivamente,
dopo il decorso del termine stabilito a pena di decadenza dall’art. 182, comma 2, primo
periodo, cit.; con l’ulteriore conseguenza che l’atto impugnato, pur viziato, deve considerarsi
intangibile in applicazione del principio di conservazione per la sanatoria ex art. 183, primo
comma, lett. a), cod. proc. pen.: “Il mancato esame dibattimentale del perito prima della
lettura della relazione peritale non comporta l’inutilizzabilità della prova, bensì integra
pen., soggetta ai limiti di deducibilità di cui all’art. 182 e alla sanatoria di cui all’art. 183,
comma primo lett. a) cod. proc. pen.” (in termini, Sez. 1, n. 20927 del 19/03/2004 Ud. dep. 04/05/2004 – Rv. 228981; conf. Sez. 6, n. 38157 del 26/09/2011 Ud. dep. 24/10/2011 – Rv. 250781).
5. Così esaminate e risolte le questioni in rito, può procedersi ora al vaglio delle censure di
vizio motivazionale, “in primis” le doglianze relative alla ricostruzione del sinistro, alla
ritenuta colpevolezza del Mole ed alla quantificazione del concorso di colpa.
Le deduzioni difensive risultano del tutto infondate, ed ai limiti della inammissibilità laddove
si risolvono per lo più, sostanzialmente, in una rivisitazione delle valutazioni probatorie e
degli apprezzamenti di merito.
5.1 Per quel che riguarda la ricostruzione del sinistro, la conseguente affermazione di
colpevolezza del Molè, ed il ritenuto concorso di colpa nella misura dei 50% per ciascuno dei
due protagonisti del sinistro, il giudice del merito ha fornito congrua motivazione indicando
gli elementi probatorl valutati ai fini del giudizio, e cioè gli accertamenti eseguiti
nell’immediatezza del fatto dalla Polizia Municipale e le conclusioni rassegnate dal perito. Ne
è dato cogliere nel percorso motivazionale seguito dalla Corte distrettuale contraddizione
alcuna, posto che la dinamica dell’incidente risulta ricostruita con argomentazioni
logicamente concatenate e del tutto aderenti al compendio probatorio acquisito. In tema di
prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se logicamente e
congruamente motivato, come nel caso di specie, l’apprezzamento, positivo o negativo che
sia, dell’elaborato peritale e delle relative conclusioni: il giudice del merito può attenersi alle
conclusioni del perito, ove le condivida, rimettendo al suo elaborato il relativo supporto
razionale. Certo, il giudice di merito ha l’obbligo di motivare il proprio convincimento con
criteri che rispondano ai principi scientifici oltreché logici. Ma è altresì certo che il giudice
stesso può fare legittimamente propria, allorché gli sia richiesto dalla natura della questione,
l’una piuttosto che l’altra tesi scientifica, purché dia congrua ragione della scelta. Entro
questi limiti, è del pari certo, in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo di questa
Corte, che non rappresenta vizio della motivazione, di per sé, l’omesso esame critico di
ogni più minuto passaggio della perizia, poiché la valutazione delle emergenze processuali è
affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente

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un’ipotesi di nullità d’ordine generale a regime intermedio ex art. 178 lett. c) cod. proc.

all’onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le
argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è sufficiente che enunci con adeguatezza e
logicità gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento
(così, “ex plurimis”, Sez. 5, n. 10835 del 08/07/1988 Ud. – dep. 11/11/1988 – Rv. 179651).
Ciò è quanto si è verificato nel caso di specie, laddove la Corte distrettuale ha raccolto, e
motivatamente condiviso, le indicazioni fornite dal perito di ufficio, ed ha disatteso quindi,
con puntuale argomentazione, la prospettazione difensiva dell’imputato.
censure che tendono ad una diversa valutazione delle risultanze processuali non consentita
nel giudizio in Cassazione. Con riguardo alla specifica materia della circolazione stradale,
nella giurisprudenza di legittimità è stato enunciato, e più volte ribadito, il principio secondo
cui “la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle
relative responsabilità, determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono
sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione” (in tal senso, tra le
tante, Sez.4, N. 87/90, imp. Bianchesi, RV. 182960).
Giova poi ricordare che la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che la
graduazione delle colpe concorrenti nella produzione dell’evento può essere apprezzata dal
giudice di merito soltanto con criteri di approssimazione e sfugge per sua natura, pertanto,
all’obbligo di un’articolata motivazione che dia conto di una percentuale invece che di
un’altra.
In particolare, l’obbligo deve ritenersi soddisfatto quando risulti che i giudici di merito, nel
quantificare il concorso di colpa, hanno tenuto presenti le modalità inerenti al sinistro e
messo sostanzialmente a confronto le condotte dei soggetti coinvolti nell’incidente (cfr.
Cass. IV 16 dicembre 1994, Buttazzoni, RV 201070; Cass. IV 11 luglio 1990, Pini, RV
185627).
La Corte territoriale ha, nel caso di specie, correttamente applicato detti principi. Il giudice
di secondo grado, come si è detto, ha ritenuto che la “colpa” concorrente della vittima
avesse comportato una riduzione pari al 50% del quantum di responsabilità colposa in
favore dell’autore del reato. Detta valutazione la Corte di merito ha compiuto richiamandosi
all’entità delle trasgressioni e comparando le condotte dei protagonisti (a fronte del
comportamento del Carnemolla – il quale si era immesso nella circolazione attraversando un
incrocio omettendo di fermarsi al segnale di “Stop” – la condotta colposa dell’imputato é
stata individuata nella circostanza che questi aveva osservato una velocità (42 km/h) non
prudenziale come richiesto nell’approssimarsi ad un incrocio presegnalato da apposita
segnaletica (anche se si trattava di velocità al di sotto del limite previsto per quel tratto di
strada) ed aveva omesso di effettuare una tempestiva frenata pur avendo avvistato ad una
distanza di 46 metri il ciclomotore condotto dal Carnemolla: secondo il perito, l’auto avrebbe

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Le critiche mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata si risolvono dunque, all’evidenza, in

potuto arrestarsi in 26 metri circa e, invece, si era arrestata in ben 20 metri in più. In altre
parole, dovendo “commisurare” l’entità del “contributo colposo” dei protagonisti
dell’incidente, la Corte ha correttamente proceduto ad una sorta di “valutazione
comparativa” dei rispettivi comportamenti, operando un raffronto tra gli stessi, finalizzato a
valutarne la rispettiva gravità ed a determinarne l’entità nel rapporto eziologico con
l’evento.
E tale giudizio sulla “misura del concorso di colpa” non é censurabile in sede di legittimità
RV 187056).
Quanto alla ritenuta responsabilità dell’imputato nell’eziologia del sinistro, la Corte
territoriale ha correttamente applicato i princìpi enunciati in materia da questa Corte che
appare opportuno esplicitamente ricordare: “In tema di reati commessi con violazione delle
norme sulla circolazione stradale, costituisce di per sè condotta negligente l’aver riposto
fiducia nel fatto che gli altri utenti della strada si attengano alla prescrizioni del legislatore,
poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza
proprio per far fronte a situazioni di pericolo, determinate anche da comportamenti
irresponsabili altrui, se prevedibili. (In applicazione del principio, si è ritenuto che il
conducente avente diritto di precedenza, nonostante ciò, conservi, nell’approssimarsi ad
intersezioni ove possano sopraggiungere altri veicoli, l’obbligo di tenere una condotta
adeguatamente prudente, e non può, pertanto, limitarsi ad invocare il comportamento
imprudente del conducente sfavorito dal diritto di precedenza, se ordinariamente
prevedibile)”[Sez. 4, n. 32202 del 15/07/2010 Ud. (deo. 20/08/2010) Rv. 248354]; “L’art.
105, comma primo, di:1.R. 15 giugno 1959, n. 393, corrispondente all’art. 145, comma
primo, DIgs. 30 aprile 1992, n. 285, impone a tutti i conducenti che si approssimano ad un
crocevia un obbligo di prudenza massima, che è qualcosa di più di quello di non costituire
pericolo per la circolazione, previsto dall’art. 101 d.P.R. 393 del 1959 e dall’art. 140, comma
primo, del nuovo codice della strada. L’obbligo di prudenza è soddisfatto solo dai conducenti
che, in zona di crocevia, fanno uso di un altissimo grado di attenzione e cautela, giustificato
dalla particolarissima pericolosità della situazione topografica” (Sez. 4, n. 6939 del
20/04/1994 Ud. – dep. 15/06/1994 – Rv. 198672).
5.2 Nemmeno può parlarsi, come invece sostenuto dal ricorrente, di “reformatio in pejus”,
per aver la Corte distrettuale quantificato nel 50% il concorso di colpa del ciclomotorista che
il primo giudice aveva invece definito “preponderante”. Mette conto sottolineare al riguardo
che vi era stato appello incidentale della parte civile – anche sullo specifico punto della
quantificazione del concorso di colpa – e che detto appello incidentale non era affetto da
inammissibilità né da nullità, tenuto conto di quanto si è avuto modo di osservare in
proposito in precedenza al paragrafo 4.1 cui si rimanda; orbene, nella giurisprudenza di
legittimità è stato condivisibilmente enunciato il seguente principio che appare
particolarmente puntuale in relazione alla concreta fattispecie: “poiché l’impugnazione

se, come nel caso in esame, adeguatamente motivato (cfr. Cass. IV 30 gennaio 1991, Paita,

dell’imputato contro la pronuncia di condanna penale, giusta la precisazione delimitativa
dell’art. 574, comma quarto, cod. proc. pen., estende oggettivamente

i suoi effetti

devolutivi alla pronuncia di condanna al risarcimento dei danni, se quest’ultima dipende dal
capo o dal punto gravato, impedendone la parziale irrevocabilità, è legittimamente
proponibile dalla persona offesa costituita parte civile l’appello incidentale contro il capo
della sentenza di condanna che riguarda l’azione civile e l’entità’ del danno risarcibile; la
parte della sentenza investita dell’appello incidentale risulta infatti logicamente collegata ai
acquiescente, subire indubbiamente dalla modifica di questi una diretta ed immediata
influenza negativa. (Fattispecie in cui l’imputato aveva proposto appello, contestando il
riconoscimento di responsabilità e la determinazione del concorso di colpa a lui ascritto ai
fini della quantificazione del danno, rinunciando in seguito a tale ultimo motivo di gravame.
La Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di appello di rideterminazione del
danno, in accoglimento dell’appello incidentale della parte civile)” (Sez. 4, n. 17560 del
02/02/2010 Ud. dep. 07/05/2010 – Rv. 247322].
6. Per quel che riguarda il diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche
sull’aggravante contestata, le ragioni addotte dalla Corte territoriale a sostegno della propria
statuizione, sopra ricordate nella parte narrativa (e da intendersi qui richiamate onde
evitare superflue ripetizioni), appaiono adeguate e congrue, e si pongono del tutto in
sintonia con i princìpi enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “ai
fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione
delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli
elementi prospettati dall’Imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del
potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla
concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo” (in tal senso, tra le tante,
Sez. 1, N. 3772/94, RV. 196880).
7. Manifestamente infondata è la censura relativa alla omessa compensazione delle spese:
basti considerare invero che in secondo grado non vi è stata soccombenza della parte civile,
in quanto l’appello incidentale era valido ed ammissibile e, in accoglimento delle deduzioni
della parte civile sul punto, è stata aumentata la percentuale di concorso di colpa
dell’imputato.
8. Infondata è infine la doglianza del ricorrente circa l’entità delle spese liquidate in favore
della parte civile, pari a 900,00 euro. Ed invero, in primo luogo è opportuno evidenziare
l’importo non certo rilevante delle spese liquidate in appello a favore della parte civile; in
secondo luogo, deve ritenersi generica la censura così come dedotta in proposito dal
ricorrente, alla luce del condivisibile principio enunciato da questa Corte secondo cui “è

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(k1/7

capi ed ai punti oggetto dell’impugnazione principale, potendo la parte civile, inizialmente

inammissibile, in quanto generico, il motivo di ricorso per cassazione che abbia censurato la
statuizione relativa alle spese del processo In favore della parte civile, omettendo di indicare
la specifica violazione di voci tabellari ipoteticamente liquidate in forma eccedente i minimi
tariffari” (Sez. 5, n. 22600 del 19/03/2010 Ud. dep. 11/06/2010 – Rv. 247357).
9. Conclusivamente, per tutto quanto precede, il ricorso proposto nell’interesse del
Molè – globalmente considerato – deve essere rigettato, con la conseguente condanna dello
rimborsare alle parti civili Carnemolla Salvatore, Carnemolla Giovanni e Carnemolla Rocca
Maria le spese sostenute per questo giudizio che si liquidano in complessivi euro 3.500,00
oltre I.V.A. e C.P.A.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla
rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Carnemolla Salvatore,
Carnemolla Giovanni e Carnemolla Rocca Maria liquidate in complessivi euro 3.500,00 oltre
I.V.A. e C.P.A.
Così deciso in Roma il 17 aprile 2013
Il Co igliere estensore

Il Presidente

stesso al pagamento delle spese processuali; il ricorrente deve essere altresì condannato a

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