Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24544 del 06/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 24544 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: VITELLI CASELLA LUCA

SENTENZA

sud ricorse’ proposti da:
CHOURABI MOHAMED RAHIM N. IL 24/06/1990
JOSEPH EMMA N. IL 20/08/1980
avverso la sentenza n. 8885/2013 GIP TRIBUNALE di PADOVA, del
29/11/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI
CASELLA;
lettel.seetite-le conclusioni del PG Dott. 6 ■ `0–,-.k.A,-.:pk. ek,0-/e-64Ck
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Data Udienza: 06/05/2014

Ricorrenti JOSEPH EMMA – CHOURABI MOHAMED RAHIM –

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 29 novembre 2013, il GIP del Tribunale di PADOVA
applicava, ex art. 444 codice di rito, a:
1. JOSEPH EMMA, quale responsabile dei delitti

sub capi M, M1 e N, di

cui agli artt. 110 e 73 d.P.R. n. 309/1990, di detenzione e trasporto a

– fatti commessi in Padova, Perugia e Palermo fino al 25 marzo 2012 la pena di anni TRE, mesi QUATTRO di reclusione ed euro 16.000,00 di
multa, concesse le attenuanti generiche e ritenuta la continuazione;
2. CHOURABI MOHAMED RAHIM, quale responsabile del delitto sub
capo P, di cui agli artt. 110, 81 cod. pen.,73 d.P.R. n. 309/1990 di
detenzione a fini di spaccio e di cessione a numerose persone, di diversi
quantitativi di sostanze stupefacenti tipo eroina, cocaina ed hashish fatti commessi in Padova fino al marzo 2012 – la pena di UN anno,mesi
OTTO di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, concessa la speciale
attenuante prevista dall’art. 75, comma V° d.P.R. n. 309/1990,
dichiarata prevalente sulla recidiva contestata ex art. 99, comma 40
cod.pen. e ritenuta la continuazione interna.
Entrambi gli imputati propongono personalmente distinti ricorsi per cassazione,
sostanzialmente di identico contenuto, dolendosi di vizi di violazione di legge e di
vizi motivazionali in ordine al mancato proscioglimento ex art. 129 cod.proc.
pen.
Con requisitoria scritta in atti, il Procuratore Generale presso questa Corte ha
concluso per la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.

Considerato in diritto

Entrambi i ricorsi vanno giudicati inammissibili.
Per ciò che attiene alle censure dedotte dall’imputato JOSEPH EMMA, deve
osservarsi che questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo cui
l’obbligo della motivazione non può non essere conformato alla particolare
natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee
argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con
cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica, tra l’altro, che il giudizio negativo circa la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod. proc. pen. deve
essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti

fini di spaccio di quantitativi diversi di sostanza stupefacente tipo cocaina

o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile
applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in
caso contrario, una motivazione che enunci, anche implicitamente, che è stata
compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la
pronunzia di proscioglimento ex art. 129 codice di rito (S.U. 27 marzo 1992, Di
Benedetto; S.U. 27 dicembre 1995, Serafino). Né l’imputato può avere interesse
a dolersi di siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone
una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide

Nel caso di specie,deve

osservarsi che il Tribunale, facendo ineccepibile

applicazione della norma di legge di riferimento e dandone poi atto con
ineccepibile motivazione, ha escluso sussistessero evidenze probatorie atte a
giustificare il proscioglimento, richiamando gli

“univoci e convergenti dati

desumibili dalle indagini ” quali: “intercettazioni telefoniche, arresti e sequestri”.
Per esigenze di completezza espositiva, osserva il Collegio che, in riferimento
alla posizione del predetto ricorrente, non ricorre alcuna ipotesi di sopravvenuta
incongruità od illegittimità della pena, oggetto della pattuizione intervenuta tra le
parti anteriormente alla pronunzia della sentenza n. 32 del 2014 (pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 5 marzo 2014 e quindi con effetti

ex art. 136

Cost., a far tempo dal giorno successivo ) con la quale la Corte costituzionale ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies del decreto
legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1 della legge 21 febbraio 2006 n. 46 con cui venne introdotta (per usare
le stesse parole del Giudice delle leggi ) ” una innovazione sistematica alla
disciplina dei reati in materia di stupefacenti sia sotto il profilo delle
incriminazioni che sotto quello sanzionatorio”, significativamente imperniato nella
parificazione quoad poenam

dei delitti riguardanti le c.d. “droghe leggere” con

quelli aventi ad oggetto le c.d. “droghe pesanti”. Per l’effetto, acclarata
l’illegittimità della valenza modificativa/abrogativa della novella del 2006, si è
automaticamente determinata la ” reviviscenza ” delle disposizioni originarie
dettate – sub art. 73 – dal d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 – Testo unico delle
leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza,con
specifico riferimento alle specifiche fattispecie incriminatrici ed al relativo
trattamento sanzionatorio. Come peraltro sottolineato dalla stessa Corte
costituzionale,si pone, in relazione ai processi pendenti nei quali non sia
intervenuta sentenza definitiva, la necessità, a mente del chiaro disposto dell’art.
2, comma 4 0 cod.pen., dell’applicazione della disposizione più favorevole al reo,
attesochè ( com’è pacifico ) le disposizioni penali in vigore all’epoca del
commesso reato ( nel caso di specie: fino al 25 marzo 2102 ) risultano diverse

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esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.

da quelle posteriori ed attualmente applicabili, in particolare per quanto attiene
alla previsione della misura delle sanzioni penali. E’ peraltro da rilevare per
incidens

che, quanto alle droghe c.d. pesanti ( tra le quali va annoverata la

cocaina della cui illecita detenzione è stato riconosciuto responsabile il
ricorrente), l’effetto “ripristinatorio” della normativa originariamente introdotta
dal T.U. sugli stupefacenti provocato dalla dichiarazione di incostituzionalità della
novella del 2006 ha comportato che i delitti previsti dall’art.73 comma 1° di
detto d.P.R. risultino ora puniti con la pena da OTTO a VENTI anni di reclusione e

superiore, nel minimo, a quella di anni SEI di reclusione, anteriormente
preveduta. Secondo quindi lo statuto della legge più favorevole al reo,è evidente
che, in caso di irrogazione o di applicazione pattizia di pena detentiva pari al
minimo edittale di anni SEI di reclusione ( quale pena base),resta precluso il
riferimento alle ” parallele ” disposizioni sanzionatorie “ripristinate”, chiaramente
più svantaggiose per l’imputato. In tal senso si è peraltro espresso il Giudice
delle leggi nella citata sentenza,sottolineando che ” quanto agli effetti sui singoli
imputati, rientra nei compiti del giudice comune, quale interprete delle leggi,
impedire che la dichiarazione di illegittimità costituzionale vada a detrimento
della loro posizione giuridica. ”

Nel caso di specie, avendo le parti

concordato la misura della pena base di genere detentivo, in anni SEI di
reclusione ed in euro 27.000 di multa,per quella di genere pecuniario, l’effetto
ripristinatorio della originaria disciplina in punto al trattamento
sanzionatorio,trattandosi di delitti aventi ad oggetto la cocaina, provocherebbe
effetti in malam partem, quanto alla pena della reclusione. Neppure potrebbe
formularsi un giudizio di incongruità della pena di genere pecuniario, fissata
pattiziamente in misura superiore (ancorchè di poco) al minimo edittale previsto
dalla normativa vigente all’epoca del fatto ed a quello originariamente stabilito e
ripristinato dalla pronunzia della Corte costituzionale (rispettivamente pari ad
euro 26.000 ed euro 25.822 ), tanto trovando tuttavia ragionevole giustificazione
nella valutazione del condotta integrante il reato più grave agli effetti dell’art. 81
cpv. cod. pen. (capo M) di detenzione a fini di spaccio di trenta ovuli di cocaina.
Il ricorso proposto da

CHOURABI MOHAMED RAHIM va giudicato in primo

luogo inammissibile per tardività.
Invero:pronunziata dal GIP del Tribunale di Padova sentenza ex art. 444 cod,
proc. pen. con motivazione contestuale,all’udienza del 29 novembre 2013 (alla
quale aveva presenziato l’imputato in stato di detenzione ), come emerge dal
relativo verbale ( cui non risulta allegato il dispositivo della sentenza in originale
in quanto non pronunziato ) e come attestato in epigrafe del ricorso
proposto,avverso la stessa sentenza, dall’altro imputato Joseph Emma, il
ricorso per cassazione veniva depositato in data 10 gennaio 2014 ( come

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con quella della multa da 25.822 a 258.228 euro e quindi con pena detentiva

accertato in atti ) e quindi ben oltre il termine di giorni QUINDICI previsto
dall’art. 585, comma 1° lett. a) codice di rito e decorrente, a’ sensi del comma
2° lett. b) dello stesso articolo, dalla stessa data di pronunzia della sentenza
“per tutte le parti che sono state o debbono considerarsi presenti nel giudizio,
anche se non sono presenti alla lettura della sentenza”.
In subordine, deve osservarsi che siffatta causa di inammissibilità originaria del
ricorso preclude tuttavia, in questa sede, di sottoporre a riesame d’ufficio ex
art.609, comma 2° cod. proc. pen., l’eventuale, sopravvenuta illegalità della

della pattuizione intervenuta tra le parti, anteriormente alla pronunzia della
sentenza n. 32 del 2014 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 5 marzo
2014 e quindi con effetti ex art. 136 Cost., a far tempo dal giorno successivo )
con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 4-bis e
4-vicies del decreto legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1 della legge 21 febbraio 2006 n. 46, di cui
testè si è riferito.
Rileverebbe in particolare in questa sede l’effetto “ripristinatorio ” dell’art. 73
comma V° del citato T.U. che, nel testo originario concernente le droghe c.d.
pesanti, fissava la pena t4a uno e sei anni di reclusione e tra 2582 e 25822 euro
di multa, avendo trovato applicazione, nel caso concreto, tale attenuante
speciale, dichiarata prevalente sulla recidiva contestata all’imputato

ex art. 99,

comma 4° cod. pen. Come resta del pari preclusa una siffatta verifica che abbia,
quali termini di comparazione, agli effetti del disposto dell’art. 2, comma 4° cod.
pen., le disposizioni previgenti ed il

novum normativo introdotto dall’art. 2 del

decreto legge 23 dicembre 2013 n.146 convertito, con modificazioni, nella legge
21 febbraio 2014 n. 10, che ha ridisegnato, come fattispecie autonoma di reato,
I’ attenuante ad effetto speciale del fatto di “lieve entità ” di cui all’ art. 73,
comma 5° d.P.R. n. 309/1990, con previsione della pena da uno a sei anni di
reclusione e da euro 3.000 a 26.000 di multa.
Osserva invero il Collegio che le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito,
con la sentenza n. 15 del 30 giugno 1999 ric. Piepoli, con affermazione di
principio costantemente ribadita in seguito da altre pronunzie (S.U. n.32 del
2000; n.33542 del 2001; n.23428 del 2005 ) ai fini di statuire l’ esclusione della
prevalenza di eventuali cause di non punibilità previste dall’art. 129
cod.proc.pen., che ha natura di causa di inammissibilità originaria ex art. 591
codice di rito l’impugnazione proposta fuori termine (al pari delle altre ipotesi
contemplate al comma 1° lett. c dello stesso articolo), trattandosi

di un

caso in cui fa difetto un presupposto essenziale, legislativamente
previsto, per la stessa configurabilità di un atto di impugnazione
e quindi di atto ”

inidoneo ad introdurre il giudizio di

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pena – ‘ottica dello statuto del jus superveniens, più favorevole al reo – oggetto

impugnazione”
processuale.”
che

ed alla

“instaurazione di un valido rapporto

Le Sezioni Unite hanno altresì significativamente sottolineato

“nelle predette ipotesi, pertanto, si è in presenza di un

simulacro di gravame che il provvedimento giudiziale di
inammissibilità, per la sua natura dichiarativa, rimuove dalla
realtà giuridica fin dal momento della sua origine. ” La declaratoria
di inammissibilità si risolve quindi nella constatazione che

“si è ormai

formato un giudicato ” in senso sostanziale fin dall’insorgenza della causa

l’impugnazione. La pronunzia è quindi finalizzata ”

ad impedire l’inutile

prosecuzione di una attività comunque destinata a sfociare, a norma
dell’art. 591 c. 4 c.p.p., anche “a posteriori”, in un accertamento
negativo di pendenza del processo”.
tale insegnamento sia

Nè può fondatamente dubitarsi che

a fortiori da estendere nel caso in cui l’inammissibilità

per tardività dell’impugnazione si ponga quale causa preclusiva di un’eventuale
rimodulazione del trattamento sanzionatorio, alla luce dello jus superveniens
ovvero della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità di norme di legge
precedentemente in vigore.
Giova pertanto conclusivamente rilevare che,in ogni caso,la valutazione
comparativa delle suddette disposizioni di legge succedutesi nel tempo – dalla
data del commesso reato ad oggi – imposta dal chiaro disposto dell’art. 2,
comma 4 0 cod. pen. agli effetti della individuazione di quella più favorevole al
reo induce a non giudicare incongruo od illegittimo a tale stregua,i1 trattamento
sanzionatorio pattiziamente applicato nel caso di specie. Ed invero ( esclusa ogni
eventuale concreta prospettabilità del termine massimo di prescrizione di anni
sette e mesi sei di cui agli artt. 157, comma 2° e 161 cod.pen.,nel testo
vigente,applicabile al reato autonomo, risalendo i fatti al marzo 2012 ) non
può non giudicarsi immune da profili di illegalità o di incongruità ( alla luce del
novum normativo ) la pena base di UN anno, mesi SEI di reclusione ed euro
4.500,00 di multa, determinata in esito al giudizio di prevalenza sulla recidiva
contestata, della speciale attenuante di cui all’art. 73, comma V° d.P.R. n.
309/1990, tenuto conto della preponderante e prevalente detenzione di
quantitativi di eroina e di cocaina, rispetto a quelli di hashish, giusta la
contestazione, trattandosi, anche alla stregua degli attuali parametri normativi,
di misura della pena di poco superiore ai minimi edittali di UN anno di reclusione
ed euro 3.0009di multa,da ritenersi quindi frutto di
discrezionale

una determinazione

del tutto plausibile a fronte della tipologia delle sostanze

stupefacenti detenute e poi cedute al terzi.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue, per legge, la condanna di
entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché ( trattandosi

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stessa di inammissibilità, concretizzatosi alla scadenza dei termini per proporre

di cause di inammissibilità riconducibill alla volontà, e quindi a colpa, dei
ricorrenti stessi:cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7 – 13 giugno 2000 )
al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene
equo e congruo determinare in euro 1.000,00, ciascuno.

PQM

Dichiara

inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle

della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma,lì 6 maggio 2014.

spese processuali e ciascuno a quello della somma di euro 1.000,00 in favore

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