Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24532 del 16/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 24532 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MELE DANIELE N. IL 10/10/1977
LIGATO GIUSEPPE N. IL 20/07/1963
LIGATO PIETRO N. IL 06/03/1989
avverso la sentenza n. 1522/2012 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 09/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
W Li.) e
che ha
ha concluso per i
3uì

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 16/05/2014

I

Ritenuto in fatto

MELE Daniele, Ligato Giuseppe e LIGATO Pietro ricorrono avverso la sentenza di cui in
epigrafe che, confermando quella di primo grado, li ha riconosciuti colpevoli del reato di cui agli
articoli 110 c.p. e 73 del dpr 9 ottobre 1990 n. 309, commesso in concorso con altro imputato
[non ricorrente] [detenzione illecita di grammi 947,400 di cocaina]

appello, pur prendendo atto della confessione resa, ha negato, valorizzando negativamente
“due precedenti definitivi per lesione personale”, ritenuti tali da acclarare %f una personalità
propensa a delinquere, e la gravità del fatto, ritenuta dimostrativa di una notevole capacità a
delinquere e di collegamenti con più vasti ambienti criminali; e ciò a fronte di una pena
comunque determinata partendo, quanto alla pena detentiva, dai minimi edittali.

I LIGATO con lo stesso ricorso, censurano il giudizio di responsabilità, contestando la valenza
attribuita dai giudici di merito agli elementi indiziari utilizzati per accreditare il loro
consapevole coinvolgimento. La censura è articolata principalmente mirando a svalutare la
valutazione “frazionata” delle dichiarazioni rese da tale PAVIGLIATI Fortunato [correo, non
ricorrente], che aveva cercato, nel contempo, di corroborare in ottica accusatoria il ruolo dei
LIGATO e di neutralizzare il proprio personale coinvolgimento. Ciò anche con riferimento agli
“elementi di riscontro”, di cui si contesta la valenza dimostrativa e la mancata satisfattiva
considerazione [dichiarazioni del MELE, apprezzamento diretto da parte degli operanti
dell’incontro ove si ebbe a verificare la presenza della droga, conversazioni intercettate, SMS,
missive carcerarie tra il MELE e la moglie]. Si contesta la sottovalutazione della presenza di
altro soggetto [tale EVANGELISTA Francesco], che la Corte di merito aveva attribuito alle
scelte investigative insindacabili degli inquirenti.

Considerato in fatto

I ricorsi sono manifestamente infondati.

Quanto a quello proposto dal MELE, limitato al diniego delle attenuanti generiche, perché la
doglianza è relativa all’esercizio di un potere attribuito al giudice di merito [quello relativo alla
determinazione della sanzione ed alla concessione delle generiche], che questi ha esercitato in
modo giuridicamente corretto [in linea con il disposto dell’articolo 133 c.p.] e con adeguata
motivazione, essendosi evidenziate le ragioni ostative alla concedibilità delle generiche nei
termini suddetti.

2

Con il ricorso il MELE si duole del diniego delle invocate attenuanti generiche, che la corte di

Non vi è spazio per una censura in questa sede, anche perché, come è noto, vale il principio
secondo cui il riconoscimento o il diniego delle circostanze attenuanti generiche e più in
generale l’apprezzamento sul trattamento sanzionatorio sono rimessi al potere discrezionale
del giudice di merito, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in
misura sufficiente il pensiero del decidente circa l’adeguamento della pena in concreto inflitta
alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Pertanto, nella determinazione della
sanzione ben possono essere presi in esame uno o alcuni soltanto degli elementi indicati
dall’articolo 133 c.p., purchè della scelta decisoria adottata si dia adeguatamente conto in

Qui, il giudicante, non solo non ha sottovalutato il dato della confessione, ma, per converso, ai
fini di interesse, ha spiegato in modo esaustivo e non sindacabile le ragioni del diniego del
beneficio, in una vicenda peraltro caratterizzata dall’irrogazione della pena nei minimi.

Non è inutile ricordare, allora, che la ragion d’essere delle attenuanti generiche è quella di
consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione
prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del
fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di
detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo
all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile
profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita,
essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in
positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento
sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata
alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta
all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del
rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della
contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda. In
questa prospettiva, anche uno solo degli elementi indicati nell’articolo 133 c.p., può essere
sufficiente per negare o concedere le attenuanti generiche (Sezione IV, 28 maggio 2013,
Hoxha).

Inaccoglibili anche i ricorsi dei LIGATO in punto di responsabilità.

Vi è da rilevare come i motivi, pur analiticamente sviluppati, si risolvano in una doglianza
meramente assertiva e assolutamente generica, che comunque integra una censura
inammissibile sulle modalità valutative del compendio indiziario, che il giudice di merito ha
sviluppato – in linea con quello di primo grado- in modo ampiamente convincente sull’
apprezzamento della vicenda [indagini di p.g., con verifica diretta dell’incontro incriminato;

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motivazione (cfr. Sezione II, 23 settembre 2009, Proc. gen. App. Genova in proc. Kerroum).

apprezzamento delle dichiarazioni dei correi MELE e PAVIGLIANITI; valorizzazione a ulteriore
riscontro degli esiti di intercettazioni, SMS, missive carcerarie, ecc.], da cui non
arbitrariamente si è ritenuta dimostrato il coinvolgimento pieno e consapevole nell’attività
incriminata dei LIGATO.

Si tratta di una valutazione non illogica, né carente, che qui non ammette censure, avendo i
giudici di merito fornito satisfattiva spiegazione.

Va ricordato che, in tema di ricorso per cassazione, allorquando si prospetti il difetto di
motivazione, l’articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p. non consente alla Corte di legittimità
una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è
estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai
dati probatori (Sezione VI, 6 maggio 2009, Esposito ed altro). Ciò che qui non consente di
“rileggere” le dichiarazioni dei correi o il contenuto delle intercettazioni e/o degli SMS [compito
esclusivo del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata in
conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza: Sezione VI, 25 gennaio 2013,
Barla ed altri].

Ma va anche ricordato, a fortiori, che, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova
dinanzi ad una “doppia conforme” e cioè ad una doppia pronuncia (in primo e in secondo
grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio di
travisamento può essere rilevato in sede di legittimità, ex articolo 606, comma 1, lettera e),
c.p.p., solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento
probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di
valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sezione IV, 10 febbraio
2009, Ziello ed altri). Ciò qui deve escludersi non essendo stato veicolato, a supporto della
decisione, neppure a fini di riscontro, elementi non già emersi e valutati in primo grado.

Neppure potrebbe ipotizzarsi alcuna violazione di legge nell’apprezzamento del compendio
probatorio [il tema proposto concerne qui quello della valutazione frazionata della chiamata di
correo].

La Corte di merito ha rispettato il principio secondo cui, in tema di valutazione della chiamata
in correità o in reità, il principio della cosiddetta “frazionabilità” delle dichiarazioni, secondo cui
l’attendibilità della dichiarazione accusatoria, anche se esclusa per una parte del racconto, non
coinvolge necessariamente l’attendibilità del dichiarante con riferimento a quelle parti del
racconto che reggono alla verifica del riscontro oggettivo esterno, è ammissibile, in primo
luogo, ove non sussista un’interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa e
le rimanenti parti, intrinsecamente attendibili e adeguatamente riscontrate, e, in secondo
4

luogo, ove la falsità o l’inattendibilità di una parte della dichiarazione non sia talmente
macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da
compromettere la stessa credibilità del dichiarante (per riferimenti, Sezione VI, 18 luglio 2013,
Arena ed altri). Qui risulta che l’apprezzamento del giudicante [pienamente adesivo rispetto
al ragionamento del primo giudice] è stata motivatamente attento nell’apprezzamento delle
dichiarazioni, la cui inattendibilità, a ben vedere, ha riguardato la sola parte in cui il
dichiarante ha inteso svalutare il proprio ruolo, mentre, per il resto, sulle dichiarazioni

Non si pone in questo caso il problema dell’applicabilità del novum normativo a seguito della
sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, giacchè la pena edittale che ha trovato
applicazione nel caso in esame è da 6 a 20vrì anni e cioè una pena inferiore a quella da 8 a
2092 anni di cui all’art. 73 della legge del 1990, oggi tornato in vigore.
A norma dell’art. 2 c.p. non è, infatti, possibile una applicazione della nuova normativa

in

malam partem.

Alla inammissibilità dei ricorsi, riconducibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost., sentenza 7-13
giugno 2000, n. 186), consegue la condanna dei ricorrenti medesimi al pagamento delle spese
processuali e, ciascuno, di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in
favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno a quello della somma di 1000,00 euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso nella camera di consiglio in data 16 maggio 2014

Il Consigliere estensore

ret

izia Piccia

Il Rresidente
a Bianc

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