Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24528 del 16/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 24528 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: BLAIOTTA ROCCO MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BALISTRERI GIUSEPPE ANTONIO N. IL 10/06/1955
avverso la sentenza n. 432/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del
11/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA
Udito il Procuratore Genewle in persona del Dott.
che ha concluso per
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/

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 16/05/2014

3

Balistreri

Motivi della decisione

1.11 Tribunale di Palermo ha affermato la responsabilità dell’imputato in epigrafe
in ordine al reato di omicidio colposo in danno di Calderone Roberto e lo ha altresì
condannato al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili. La sentenza è
stata confermata dalla Corte d’appello di Palermo.

presso un’ambulanza del servizio 118, di fronte a paziente in stato di c9ma per
assunzione di psicofarmaci ed alcool, ometteva di effettuare toilette del cavo orale ed
intubazione orotracheale; e somministrava un farmaco emetizzante, cagionando la
morte dell’assistito per asfissia da occlusione della via respiratoria.

2. Ricorre per cassazione l’imputato.
Si espone che la prima sentenza è affetta da errori in fatto. Non è vero che
l’imputato fosse al corrente della consumazione di un pasto. Tutti i testi, eccezion fatta
per il figlio della vittima, e gli atti di polizia parlano dell’assunzione di alcol e
psicofarmaci. La difesa lo ha rappresentato. La Corte d’appello non ha motivato al
riguardo.
Inoltre il consulente dell’accusa ha riferito in dibattimento che la
somministrazione di Anexate era corretta, dovendosi contrastare gli effetti dei
sedativi. Pure al riguardo la Corte d’appello ha taciuto, ignorando le deduzioni
difensive in ordine all’utilità di tale farmaco. Dunque pure qui vi è mancanza di
motivazione
La mancata considerazione di tali decisive acquisizioni ha radicalmente
vulnerato la valutazione della Corte d’appello. Si è teorizzato un inesistente rischio ab
ingestis e la necessità di toilette orale ed intubazione. Si è pure trascurato che
l’intubazione richiede anestesia t che nella fattispecie era decisamente controindicata.
La pronunzia si è limitata a richiamare acriticamente la prima sentenza senza valutare,
come dovuto, le deduzioni difensive.
Pure carente ed assiomatica è la sentenza quanto all’effetto salvifico delle
condotte omesse. La consulente del pubblico ministero aveva evidenziato le gravi
criticità del paziente, etilista cronico. Nulla di concreto viene dimostrato al riguardo. La
sentenza ha pure trascurato le valutazioni espresse dai consulenti della difesa a
dimostrazione della correttezza della condotta terapeutica del ricorrente; ed in
particolare sulle controindicazioni all’intubazione domiciliare in via d’urgenza.
Alla stregua di tali considerazioni si censura pure l’incongruità del rifiuto di
disporre perizia in appello.

Secondo quanto ritenuto dai giudici di merito l’imputato, medico in servizio

Pure incongruamente e con motivazione apparente sono state escluse le
attenuanti generiche, tra l’altro trascurando la condizione di emergenza che
caratterizzò l’intervento dell’imputato.

3. Il ricorso è fondato. La sentenza d’appello reca enunciazioni vaghe e non
consonanti quanto all’esistenza ed alla conoscenza del rischio ab ingestis, connesso
all’assunzione di cibo da parte della vittima. La pronunzia non risolve i dubbi al
riguardo, proponendo enunciazioni che non si rapportano ad una compiuta valutazione
del discordante materiale probatorio, così come prospettato dalla difesa.

esistenza di condotta colposa per la mancata effettuazione di intubazione
orotracheale. Non si spiega in cosa e>st(esattamente tale intervento consistesse, quali
fossero i suoi rischi reali, rapportati alla situazione di emergenza nella quale il sanitario
si trovava. Soprattutto non si spiega se un intervento che, per quanto pare
d’intendere, è connotato da una certa complessità, fosse concretamente pratiabile ed
esigibile nei confronti del ricorrente. Non si chiarisce quale fosse il livello di
competenza professionale del sanitario e non si raffronta la sua condotta con la figura
corrispondente di agente modello. Soprattutto non si considera la particole temperie
nella quale l’intervento sanitario fu praticato, conducendo, tra l’altro ad un certo
miglioramento della drammatica situazione complessiva del paziente. Si trascura cioè
che si era in una pressante emergenza; condizione segnalata dalla difesa e degna di
particolare considerazione.
Sul tema questa Corte si è ripetutamente espressa (Da ultimo sez.IV,
29/01/2013, Cantore, Rv. 255105). A proposito della disciplina di cui all’art. 2236, si
è considerato che essa, indipendentemente dalla sua discussa, diretta applicabilità
all’ambito penale, esprime un criterio di razionalità del giudizio. Si è così affermato
(Sez. 4, n. 39592 del 21 giugno 2007, Buggè, Rv. 237875) che la norma civilistica può
trovare considerazione anche in tema di colpa professionale del medico, quando il caso
specifico sottoposto al suo esame impone la soluzione di problemi di specifica
difficoltà, non per effetto di diretta applicazione nel campo penale, ma come regola di
esperienza cui il giudice può attenersi nel valutare l’addebito di imperizia sia quando si
versa in una situazione emergenziale, sia quando il caso implica la soluzione di
problemi tecnici di speciale difficoltà. Questa rivisitazione della normativa civilistica
appare importante, non solo perché recupera le ragioni profonde che stanno alla base
del tradizionale criterio normativo di attenuazione dell’imputazione soggettiva, ma
anche perché, in un breve passaggio, la sentenza pone in luce i contesti che per la loro
difficoltà possono giustificare una valutazione benevola del comportamento del
sanitario: da un lato le contingenze in cui si sia in presenza di difficoltà o novità
tecnico-scientifiche; e dall’altro (aspetto mai prima enucleato esplicitamente) le

L’impugnazione è pure nel complesso fondata quando censura la ritenuta

situazioni nelle quali il medico si trovi ad operare in emergenza e quindi in quella
temperie intossicata dall’impellenza che rende quasi sempre difficili anche le cose
facili. Quest’ultima notazione, valorizzata come si deve, apre alla considerazione delle
contingenze del caso concreto che dischiudono le valutazioni sul profilo soggettivo
della colpa, sulla concreta esigibilità della condotta astrattamente doverosa. Il
principio enunciato da tale sentenza è stato recentemente ribadito e chiarito più volte.
In una pronunzia (Sez. 4, n. 16328 del 5 aprile 2011, Montalto, rv. 251941) si è posta
in luce la connessione tra colpa grave ed urgenza terapeutica; e si è rimarcato che una

contingenze nelle quali vi è una particolare difficoltà della diagnosi, sovente
accresciuta dall’urgenza; e di distinguere tale situazione da quelle in cui, invece, il
medico è malaccorto, non si adopera per fronteggiare adeguatamente l’urgenza o
tiene comportamenti semplicemente omissivi, tanto più quando la sua specializzazione
gli impone di agire tempestivamente proprio in emergenza. È stata quindi confermata
la sentenza assolutoria di merito che aveva compiuto una ponderazione basata
sull’ambiguità della sintomatologia e dell’esito degli esami ematochimici, nonché sulla
necessità di avviare con prontezza il paziente alla struttura sanitaria che, nella
situazione data, appariva ragionevolmente dotata delle competenze ed attrezzature
più adeguate in relazione alla prospettata patologia neurologica. In altra sentenza
(Sez. 4, n. 4391/12 del 22 novembre 2011, Di Leila, rv. 251941) si è affermato che il
rimprovero personale che fonda la colpa personalizzata, spostata cioè sul versante
squisitamente soggettivo, richiede di ponderare le difficoltà con cui il professionista ha
dovuto confrontarsi; di considerare che le condotte che si esaminano non sono
accadute in un laboratorio o sotto una campana di vetro e vanno quindi analizzate
tenendo conto del contesto in cui si sono manifestate. Da questo punto di vista, si è
concluso, l’art. 2236 cod. civ. non è che la traduzione normativa di una regola logica
ed esperienziale che sta nell’ordine stesso delle cose. In breve, quindi, la colpa del
terapeuta ed in genere dell’esercente una professione di elevata qualificazione va
parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell’intervento richiestogli ed al contesto
in cui esso si è svolto.
La Corte d’appello non si è attenuta a tali principi, né ha compiuto
approfondimenti peritali finalizzati ad una più atPefonclita ed imparziale disamina del
caso; con la conseguenza che la sentenza va annullata con rinvio. Naturalmente, ove
siano ravvisate condotte colpose i se ne valuterà pure l’idoneità ad evitare l’evento,
come correttamente dedotto dalla difesa.
Pure censurabile per carenza di appropriata motivazione è l’apprezzamento in
ordine al diniego delle attenuanti generiche. Si afferma, infatti che non si riscontrano
elementi positivi da valutare, trascurando completamente l’analisi della personalità
(anche con riguardo ad eventuali precedenti condanne) e le già indicate particolarità e

attenta e prudente analisi della realtà di ciascun caso può consentire di cogliere le

difficoltà del caso. Pure sotto tale riguardo, dunque, la sentenza va annullata con
rinvio.

P qm

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello
di Palermo.

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENTE

(Rocco Marco BLAIOTTA)

sa BIANC

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

CANCELLERIA

Roma 16 maggio 2014

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