Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24523 del 18/02/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 24523 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAMPANALE RICCARDO N. IL 22/12/1961
avverso l’ordinanza n. 1033/2013 TRIB. LIBERTA’ di BARI, del
09/08/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. p. cizt: ou

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Data Udienza: 18/02/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 9 agosto 2013 il Tribunale di Bari, costituito ai
sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. nel procedimento di riesame introdotto da
Campanale Riccardo, confermava il titolo cautelare rappresentato dall’ordinanza
emessa dal GIP di Bari in data 19 luglio 2013 con la sola esclusione dal quadro di
gravità indiziaria della circostanza aggravante di cui all’art. 7 legge n.203 del
1991.
La contestazione provvisoria elevata a carico del Campanale concerne, nella

risultata rubata in Bisceglie il 23 aprile 2012 e successivamente consegnata, con
l’intermediazione del Campanale, a Piarulli Riccardo e Cafieri Giuseppe che la
utilizzarono – insieme a Griner Filippo – per commettere una rapina con uso di
armi in data 30 maggio 2012.
All’odierno ricorrente viene attribuito, sin dalla richiesta, il delitto di ricettazione
e non già il concorso nel più grave delitto di rapina, posto che le stesse fonti
dimostrative utilizzate escludono che il Campanale, pur conscio di un generico
uso illecito del mezzo, fosse stato messo al corrente della concreta e specifica
finalità perseguita da Piarulli, Cafieri e Griner.
I dati indiziari, diffusamente riportati nell’ordinanza, sono tratti da un più vasto
accertamento investigativo avente ad oggetto le azioni di una consorteria
criminosa operante in Andria e nei territori limitrofi e capeggiata da Griner
Filippo.
Le indagini muovono dal rinvenimento, su segnalazione confidenziale, di un
rilevante numero di armi e munizioni ritenute nella disponibilità del Griner e dei
suoi accoliti, avvenuto nell’ottobre del 2012 e si alimentano tramite dichiarazioni
confessorie e accusatorie rese, in particolare da Piarulli Riccardo – a partire dal
mese di maggio dell’anno 2013 – e da Cafieri Giuseppe, a partire dal successivo
mese di luglio.
Costoro, ritenuti portatori di esperienze realmente vissute all’interno del gruppo
in questione – tramite l’analisi dei contenuti narrativi e delle altre emergenze
disponibili – oltre a illustrare la composizione del gruppo riferivano circa
l’episodio di rapina avvenuto il 30 maggio 2012 in danno di un rappresentante di
gioielli, tal De Carne Giovanni.
Costui, a seguito di un dettagliato piano di azione, che coinvolgeva anche altre
persone, venne quel giorno inseguito – mentre realizzava il giro dei clienti a
bordo della sua auto – da Griner Filippo, Piarulli Riccardo e Cafieri Giuseppe che a
loro volta viaggiavano, armati, a bordo di una Alfa Romeo Giulietta.

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parte confermata, l’addebito di ricettazione di una autovettura Alfa Romeo

Al di là del buon esito criminale dell’azione di rapina, diffusamente indicato nel
provvedimento anche in rapporto alle condotte susseguenti al reato, ciò che
rileva in questa sede è la narrazione degli antecedenti causali della rapina, tra
cui rientra il reperimento del mezzo utilizzato.
Il Tribunale, sul punto, nel riprendere i contenuti del titolo genetico – reputato
pienamente valido, pur se adottato con tecnica di massiva importazione dei
contenuti della richiesta cautelare, perchè contenente nel suo complesso
autonome valutazioni da parte del GIP – ritiene pienamente attendibili e

ruolo svolto da Campanale Riccardo.
Il Campanale viene concordemente indicato – dai due – come il soggetto che su
richiesta del Piarulli ebbe a procurare – anche tramite una persona a lui
collegata, tal Merra Antonio – la vettura oggetto di furto da utilizzare per
l’ulteriore attività illecita.
Dopo la consumazione della rapina il Campanale sarebbe stato ricompensato con
la cifra di 1.000,00 euro.
L’ampiezza dei dettagli forniti da ciascun collaborante sull’intero episodio, la
quantità e qualità dei riscontri in fatto circa la consumazione della rapina e circa
il coinvolgimento degli ulteriori chiamati, la precisione e la sostanziale
convergenza delle narrazioni conducono il Tribunale a ritenere sussistente la
gravità indiziaria per il delitto di ricettazione contestato a carico del Campanale.
In particolare il Tribunale chiarisce che l’intermediazione del Campanale nel
reperimento della vettura da usare per scopi illeciti emerge pienamente già dalle
dichiarazioni del Piarulli e viene confermato da quelle del Cafieri.
Entrambi narrano vicende cui affermano di aver preso parte e si tratta dunque di
percezioni dirette.
A nulla rileva il fatto che la materiale consegna dell’auto sarebbe stata posta in
essere – il giorno antecedente la rapina – dal Merra, perchè tale soggetto agiva
su indicazione del Campanale, che aveva assicurato il buon esito della richiesta
al Piarulli e che, peraltro, riceverà il compenso.
Nè possono – ad avviso del Tribunale – avanzarsi dubbi sul fatto che trattasi di
ricettazione dato che la vettura era stata sottratta al prorietario circa un mese
prima della consegna al Piarulli.
Piuttosto il Tribunale, con articolate considerazioni esclude la ricorrenza della
circostanza aggravante di cui all’art. 7 della legge n.203 del ’91, posto che la
condotta del Campanale si era limitata alla ricettazione della vettura e non
poteva dirsi nè commessa con metodo mafioso nè finalizzata ad agevolare le
attività del gruppo capeggiato dal Griner, non avendo l’odierno ricorrente
specifica conoscenza dell’uso che sarebbe stato fatto del mezzo.
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convergenti le narrazioni accusatorie dei due collaboranti Piarulli e Cafieri circa il

Peraltro la rapina, per come ritenuto dal Tribunale, non pare essere ricompresa
nelle finalità tipiche di un sodalizio mafioso ma risulta commessa per scopo
esclusivo di profitto dei suoi autori.
Non di meno, il Tribunale riteneva sussistente – oltre ai gravi indizi di
colpevolezza – il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274 comma 1 lett. c
cod.proc.pen. e adeguata la misura carceraria.
Ciò in rapporto, essenzialmente, alle modalità del fatto (il Campanale era
comunque al corrente del fatto che la sua attività era prodromica alla

dell’imputato, gravato da numerosi precedenti anche specifici.
L’esistenza di precedenti anche in tema di violazione della misura di prevenzione
viene esposta quale dato ulteriormente accrescitivo della pericolosità.

2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo
del difensore – Campanale Riccardo, articolando due motivi.
Con il primo si deduce violazione di norme processuali poste a pena di nullità.
Il titolo genetico era da ritenersi nullo perchè il GIP, senza compiere autonome
valutazioni, aveva integralmente riprodotto i contenuti della richiesta del
Pubblico Ministero (a sua volta riproduttiva degli atti di polizia giudiziaria).
A fronte di tale dato non poteva il Tribunale evitare la declaratoria di nullità
attraverso una attività di integrazione motivazionale, essendo tale integrazione
consentita solo in presenza di una prima decisione non affetta dal vizio di totale
carenza motivazionale.
Con il secondo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza
impugnata.
Il Tribunale non avrebbe correttamente applicato le regole normative in punto di
valenza indiziante della chiamata in correità. Difetterebbe l’analisi dettagliata
della personalità dei dichiaranti e non sarebbe presente il requisito della
precisione delle dichiarazioni in rapporto al fatto contestato. Il ricorrente
evidenzia che il Piarulli ha attribuito al Campanale il furto e non la ricettazione
del mezzo utilizzato per la consumazione della rapina. Circa il possesso della
vettura rubata in capo al Campanale mancherebbero, pertanto, precisi riscontri.
Inoltre si contesta la motivazione resa in punto di sussistenza delle esigenze
cautelari e di adeguatezza della misura.

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commissione di un ulteriore reato) e al negativo giudizio sulla personalità

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi
addotti, nonchè per la tendenza (al secondo motivo) a porre questioni di merito,
non esaminabili in sede di legittimità.
1.1 Quanto al primo motivo, la manifesta infondatezza va così argomentata.
L’oggetto della verifica di legittimità non è rappresentato dal provvedimento
emesso dal GIP ma dall’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 309 cod.proc.pen. dal

Da ciò deriva la impossibilità di operare diretta verifica sul fatto – affermato dal
ricorrente – rappresentato dalla mera «riproduzione» da parte del GIP nel titolo
genetico dei contenuti investigativi, senza alcuna valutazione critica.
In ogni caso, se ciò fosse – in ipotesi – avvenuto, il Tribunale avrebbe dovuto
comunque esercitare i suoi poteri valutativi di merito (e non limitarsi a dichiarare
la nullità dell’ordinanza) come di recente affermato da Sez. Il n. 30696 del
20.4.2012, rv 253326, decisione da ritenersi del tutto condivisibile.
In tale arresto, questa Corte di legittimità ha valorizzato la natura autonoma del
giudizio spettante al Tribunale del Riesame in un contesto normativo (art. 309
cod.proc.pen.) che da un lato ‘svincola’ la peculiare impugnazione de qua dalla
necessaria indicazione dei motivi (effetto integralmente devolutivo) dall’altro
trasferisce sull’istante anche il rischio di una diversa argomentazione posta a
sostegno del titolo genetico (il Tribunale può confermare il provvedimento anche
per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del medesimo).
Dunque in presenza di una ordinanza cautelare che, seppur recependo in modo
acritico l’impostazione di accusa, riporti i dati oggetto di valutazione ed esprima
le conseguenze di tale ‘adesione’, non risulta possibile per il Tribunale emettere
un provvedimento di ‘annullamento’ (che residua per i soli casi di totale
mancanza dell’iter argomentativo) del titolo cautelare, proprio in virtù
dell’ampiezza dei poteri/doveri che a tale organo sono attribuiti.
Del resto, tale orientamento – oltre a tradurre in realtà applicativa i contenuti
precettivi dell’art. 309 cod.proc.pen. – risulta condivisibile anche sul piano della
logica dimostrativa, non apparendo possibile individuare in concreto, in presenza
di una ‘ampia condivisione’ da parte del GIP dei contenuti di un atto di parte
(quale è la richiesta cautelare) se tale condivisione sia espressiva di un maturato
convincimento (espresso in termini sintetici e adesivi alle opzione dell’accusa) o
di una trascuratezza comportamentale ed etica (che si ipotizza lì dove si afferma
che la scelta di adesione del GIP sia ascrivibile a mera comodità e risparmio di
tempi) .

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Tribunale.

Gli indici rivelatori circa la ricorrenza della prima o della seconda ipotesi
(presenza di un rigetto con argomentazioni necessariamente diverse, nell’ambito
di titolo cumulativo) ben possono essere in realtà fallaci (il rigetto di una delle
richieste non esclude la passiva accettazione delle altre) e pertanto, non
potendosi esplorare il percorso interiore seguito dall’estensore monocratico, ciò
che rileva – a ben vedere – è la capacità di resistenza e tenuta logica
dell’apparato motivazionale, per come espresso, di fronte alle critiche della
parte, formulate innanzi a un giudice ‘per definizione’ diverso e che alimenta la

In tal senso, lo strumento del riesame è – di per sè – sanante di qualsiasi forma
di pigrizia espressiva del primo giudice, risultando strutturato come seconda
valutazione di merito sulla valenza dimostrativa degli elementi raccolti e posti a
sostegno della limitazione di libertà.
Nel caso in esame, peraltro, il Tribunale non soltanto ha escluso l’acritica
ricezione dei contenuti della richiesta del P.M. da parte del GIP ma – ciò che più
conta – ha autonomamente rielaborato i dati dimostrativi ed ha formulato le sue
valutazioni rispondendo alle critiche mosse dall’attuale ricorrente.
In ciò si è dato luogo ad una ‘rinnovata motivazione’ che non manifesta alcun
vizio in tema di nullità, per quanto sinora detto.
2. Quanto al secondo motivo, lo stesso contiene – in realtà – una mera richiesta
di rivalutazione dei dati istruttori, a fronte di motivazione accurata, logica e
aderente ai dati investigativi. Ed invero, gli argomenti posti a fondamento della
insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza si sostanziano in censure di mero
fatto, la cui valutazione è preclusa in questa sede data la completezza e logicità
della motivazione espressa nel provvedimento impugnato .
E’ costante, infatti, l’ insegnamento di questa Corte per cui il sindacato sulla
motivazione del provvedimento impugnato va compiuto attraverso l’analisi dello
sviluppo motivazionale espresso nell’atto e della sua interna coerenza logicogiuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove»
attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati
dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura,
maggiormente esplicativa ( si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012,
Lupo, Rv 252178). Così come va ribadito che l’illogicità della motivazione, come
vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare
percepibile ictu °cuti, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere
limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime
incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del
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sua decisione dal contraddittorio (il Tribunale).

convincimento ( Sez. U., n. 24 del 24.11.1999 rv 214794; Sez. U., n. 47289 del
24/09/2003 Rv. 226074).
Ora, nel caso in esame sono state oggetto di valutazione due dichiarazioni di
accusa provenienti da soggetti portatori di esperienza diretta e ritenuti
pienamente attendibili in rapporto a numerosi indici rivelatori, riportati nel
provvedimento impugnato.
Le dichiarazioni risultano sostanzialmente convergenti nel loro nucleo essenziale,
rappresentato dalla intermediazione del Campanale nel reperimento della vettura

In ciò risultano pienamente rispettati i parametri normativi di riferimento (art.
273 e 192 cod.proc.pen.) correlati al giudizio cautelare.
Anche la valutazione operata dal Tribunale in punto di esigenze cautelari e
adeguatezza della misura è immune da vizi.
Risulta infatti pienamente rispondente ai contenuti dell’art. 274 cod.proc.pen. la
valorizzazione delle modalità del fatto in corso di accertamento quale indice di
pericolosità del suo autore e pertanto la particolare finalizzazione della condotta
(tesa a sostenere, consapevolmente, l’altrui attività illecita, ai limiti del concorso
criminoso nel delitto di rapina) è stata in modo del tutto ragionevole evidenziata
nel provvedimento impugnato.
Ciò, in unione con il valore dei precedenti, rende condivisibile e logica la

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valutazione operata anche in punto di adeguatezza della misura.

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Alla

declaratoria

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la

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ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma

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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di euro 1.000,00 a favore della cassa delle
ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p. comma 1
ter.
Così deciso il 18 febbraio 2014

Il Consigliere esten

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(già oggetto di furto) poi utilizzata per commettere il delitto di rapina.

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