Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24521 del 18/02/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 24521 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ASCONE ALESSANDRO N. IL 18/04/1972
avverso l’ordinanza n. 643/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 26/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. p. co.A.Lit e o ot cgm

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Uditi difensor Avv.; V ,

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Data Udienza: 18/02/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 27 giugno 2013 il Tribunale di Reggio Calabria,
costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. nel procedimento di riesame
introdotto da Ascone Alessandro, confermava il titolo cautelare rappresentato
dall’ordinanza emessa dal GIP di Reggio Calabria in data 30 maggio 2013 .
Giova precisare che Ascone Alessandro risulta raggiunto da contestazione
cautelare per la seguente ipotesi di reato:

rappresentata dalla cosca Bellocco- Ascone, articolazione della ‘ndrangheta
operante nel territorio di Rosarno dalla fine degli anni ’90 a tutt’oggi, meglio
descritta al capo A del titolo genetico.
Il ruolo descritto nella contestazione provvisoria di partecipazione alla
associazione indica, per l’attuale ricorrente, le funzioni di vettore di messaggi e
informazioni ad altri membri del clan detenuti, nonché l’attività svolta nel settore
di spaccio di stupefacenti.
Il gruppo criminoso Ascone viene descritto, nella prima parte del provvedimento,
come una cellula operativa della ‘ndrangheta calabrese, alleato con la più nota
cosca dei Belloco, entrata in contrapposizione sul territorio di Rosarno con la
cosca dei Pesce, a sua volta federata alla famiglia Sabatino.
Le attività investigative valorizzate dal GIP prima, e dal Tribunale poi,
consentono – secondo i giudici del merito cautelare – di qualificare in tali termini
l’agire del gruppo al cui vertice viene posto Ascone Antonio che con il fratello
Salvatore e i figli Michele e Vincenzo rappresentano l’asse portante della
consorteria criminale, alleata con la potente cosca Bellocco (oggetto,
quest’ultima, di numerosi e recenti procedimenti, alcuni approdati a sentenze
definitive, puntualmente elencati nel provvedimento impugnato).
Le indagini inquadrano, in particolare, la mafiosità del gruppo in questione
attraverso l’analisi di una serie di gravi fatti di sangue che si assumono
concatenati, avvenuti tra il 2006 ed il 2007.
In particolare nell’ ottobre del 2006 si verifica l’omicidio di un affiliato alla cosca
Pesce-Sabatino, a nome Sabatino Domenico.
Tale delitto, secondo i contenuti riversati nel provvedimento e derivanti
dall’analisi di numerose captazioni di conversazioni (ambientali e telefoniche) cui
si aggiungono i contributi narrativi di alcuni collaboranti (in particolare
Facchinetti Salvatore e Marino Vincenzo) sarebbe derivato da un contrasto
insorto, per ragioni di predominio sul territorio, tra i Sabatino e gli Ascone e
sarebbe stato materialmente eseguito da Ascone Vincenzo, figlio di Ascone
Antonio.

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– partecipazione alla associazione per delinquere di stampo mafioso

Da tale episodio sarebbe derivato il risentimento dei Pesce (altra storica famiglia
appartenente alla ‘ndrangheta) nei confronti degli Ascone, con desiderio di
immediata vendetta che in un primo momento sarebbe stata frenata dalla
«mediazione» dei Bellocco, alleati proprio degli Ascone.
Tuttavia l’indebolimento del gruppo Bellocco dovuto all’arresto di Bellocco
Giuseppe – avvenuto il 16 luglio del 2007 – determina la rottura dei già fragli
equilibri mafiosi e consente la messa in opera della vendetta dei Pesce/Sabatino,
tanto che già in data 9 agosto 2007 Ascone Vincenzo resta gravemente ferito in

secondo agguato armato Ascone Domenico, figlio di Ascone Salvatore e ritenuto
anch’egli coinvolto nell’omicidio di Sabatino Domenico.
Le captazioni ambientali, favorite dal regime detentivo di molti degli affiliati di
vertice della cosca Ascone (tra cui lo stesso Ascone Vincenzo che quando viene
ferito era in condizione di latitanza) sono ampiamente illustrate nel
provvedimento impugnato e – nella lettura offerta dall’ordinanza – consentono di
comprendere che il conflitto insorto tra gli Ascone ed i Sabatino era una vera e
propria «guerra di mafia» che coinvolgeva i Bellocco (da un lato) e i Pesce
(dall’altro) ed era, pertanto, espressione in modo inequivoco del tipo di attività
posta in essere dagli Ascone.
I numerosi riferimenti captativi, realizzati in contemporaneità con alcuni degli
episodi criminosi del 2007 e successivamente agli stessi – non riproducibili in
questa sede – vengono uniti alle dichiarazioni dei suindicati collaboranti e
consentono di ritenere sussistenti, ad avviso del Tribunale, copiosi indici
rivelatori circa la caratura mafiosa del sodalizio in esame.
In particolare risulterebbe provato, almeno nella misura richiesta dall’art. 273
cod.proc.pen., il solido legame tra gli Ascone ed i Bellocco, la disponibilità di armi
(vi è un sequestro di un vero e proprio deposito di armi nei pressi della
abitazione di Fiumara Francesco in data 21.9.2007), l’esistenza di nascondigli per
sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine (il bunker collegato alla abitazione di
Ascone Antonio viene rinvenuto il 31 marzo 2007), la capacità intimidatoria della
cosca, l’esistenza di meccanismi solidaristici espressivi

dell’affectio societatis,

l’attività svolta dal gruppo nel settore dell’acquisto e rivendita delle sostanze
stupefacenti (sequestro del 25 ottobre 2007) nonchè le capacità di
reinvestimento nel settore dei trasporti su gomma anche tramite prestanome.
Quanto alla posizione di Ascone Alessandro, si ritiene integrato il quadro
indiziario in ragione dei seguenti dati conoscitivi :
– la condanna per attività di spaccio già passata in giudicato per fatti
risalenti al 2007 ;

un agguato in Nicotera Marina ed in data 14 agosto 2007 trova la morte in un

alcuni stralci delle dichiarazioni captate dopo l’arresto del nipote,
Consiglio Damiano, avvenuto il 25 ottobre del 2007 per detenzione a fini
di spaccio di un consistente quantitativo di sostanza stupefacente.
In particolare si osserva che Consiglio Damiano nel riferirsi ai rapporti
intrattenuti per svolgere l’attività di spaccio fa più volte riferimento – nei colloqui
con i familiari – a Ascone Alessandro.
Inoltre, in un colloquio cui prende parte lo stesso Ascone Alessandro, sempre con
il Consiglio Damiano, del 20 novembre 2007, si fa riferimento agli equilibri

mese di agosto dello stesso anno.
Il passaggio a ciò relativo riguarda le seguenti battute tra i due.
Damiano chiede allo zio Alessandro ‘com’è la faccenda critica ?’ e ne ottiene
risposta ‘ si è aggiustata ‘.
Ad ulteriori domande, Ascone Alessandro precisa che non può succedere più
nulla e che sono rimasti così.. loro camminano, noi camminiamo per i cazzi

nostri.. .
Che si parli degli omicidi ed in particolare di quello di Ascone Domenico sarebbe
confermato dal fatto che i due fanno riferimento, durante la conversazione alla
presenza di Domenico Ascone sulla scena dell’omicidio realizzato ai danni del
Mirabella, che era stata posta – evidentemente – dal gruppo avverso come
giustificazione dell’agguato costato la vita a Domenico Ascone.
Tale dato dimostrerebbe l’intraneità al clan di Ascone Alessandro, che informa il
nipote (recluso) della mediazione raggiunta.
Le esigenze cautelari sono rapportate alla gravità della contestazione e alla
raggiunta gravità indiziaria sul ruolo svolto.
La presunzione di sussistenza in rapporto al reato associativo non risulta
incrinata da alcuna circostanza acquisita e l’adeguatezza della misura carceraria
risulta imposta dalla legge.

2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo
del difensore – Ascone Alessandro, articolando due motivi.
Con il primo motivo, comune ad altri ricorrenti, si denunzia vizio di motivazione

sub specie apparenza e manifesta illogicità, della parte della decisione relativa
alla riconosciuta esistenza della cosca Ascone come associazione di stampo
mafioso.
Non sarebbe in realtà motivata ma solo affermata l’esistenza di una unica
consorteria criminosa Bellocco-Ascone.

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mafiosi che sarebbero stati raggiunti dopo i drammatici episodi di sangue del

La valorizzazione di pretesi indici rivelatori non poggia su solide basi conoscitive
in quanto appare frutto di valutazioni sociologiche e relative a condotte non
significative. In particolare non è stata provata alcuna carica intimidatoria del
preteso gruppo Ascone nè appaiono riscontrate le accuse di reinvestimento di
profitti illeciti o gli altri elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice
evocata.
Con il secondo motivo di ricorso, specifico circa la posizione del ricorrente, si
deduce analogo vizio di motivazione in riferimento alla parte dell’ordinanza ove si

Il Tribunale avrebbe anche in tal caso valorizzato elementi conoscitivi poco
Significativi.
L’unico di una ipotetica consistenza risulta la conversazione del novembre 2007
ma dalla stessa non possono trarsi le conseguenze ipotizzate dal Tribunale.
Il dato non è univoco circa la partecipazione ad una associazione di stampo
mafioso potendosi prestare a letture diverse.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il secondo motivo di ricorso è fondato, per le ragioni che seguono, mentre non
risulta accoglibile il primo dei motivi esposti.
1.1 Va premessa all’esame concreto delle doglianze una precisazione di ordine
generale circa il significato dell’espressione utilizzata dal legislatore nel
descrivere il presupposto applicativo della misura cautelare di tipo cognitivo (art.
273 cod.proc.pen.) .
Il legislatore nel prevedere – all’art. 273 cod. proc. pen. – che nessuno può
essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono «gravi indizi
di colpevolezza» ha inteso utilizzare il termine «indizio» non nel suo connotato
tradizionale di «elemento di prova critico o indiretto» ma ha voluto, invece,
valorizzare il significato dell’intera locuzione (indizi. .di colpevolezza) creando un
doveroso «rapporto» tra la valutazione in materia di libertà ed il prevedibile
esito finale del giudizio (la colpevolezza intesa come affermazione di penale
responsabilità).
In ciò, come è stato più volte chiarito, gli indizi di colpevolezza altro non sono
che gli elementi di prova – siano essi di natura storica/diretta o critica/indiretta sottoposti a valutazione incidentale nell’ambito del subprocedimento cautelare e
presi in considerazione dal giudice chiamato a pronunziarsi nei modi di cui all’art.
292 comma 2 lett. c cod. proc. pen. .
La loro obbligatoria connotazione in termini di «gravità» al fine di rendere
possibile l’applicazione della misura sta a significare che l’esito di tale valutazione

s

ritiene sussistente il grave quadro indiziario circa la condotta partecipativa.

incidentale (sia pure formulata allo stato degli atti) deve essere tale da far
ragionevolmente prevedere, anche in rapporto alle regole di giudizio tipiche della
futura decisione finale, la qualificata probabilità di condanna del soggetto
destinatario della misura.
In ciò è evidente che il giudice chiamato a pronunziarsi in sede cautelare
personale dovrà – per dare corretta attuazione ai contenuti del giudizio
prognostico – confrontarsi :
a)

con la natura e le caratteristiche del singolo elemento sottoposto a

natura testimoniale – la chiamata in correità o in reità) ;
b) con le regole prudenziali stabilite dal legislatore in rapporto alla natura del
singolo elemento in questione (si veda, sul punto, quanto affermato da Sez. IV
n. 40061 del 21.6.2012, Tritella, Rv 253723, in tema di elementi di prova critica,
con necessità di tener conto anche in sede cautelare della loro particolare
caratteristica ontologica) ;
c) con le regole di giudizio previste in sede di decisione finale del procedimento
di primo grado, ivi compresa quella espressa dall’art. 533 comma l cod. proc.
pen. (norma per cui l’affermazione di colpevolezza può essere pronunziata solo
se il materiale dimostrativo raccolto consente di superare ogni

ragionevole

dubbio in proposito).
Con ciò non si intende dire – ovviamente – che dette regole prudenziali e di
giudizio siano «direttamente» applicabili alla particolare decisione incidentale di
tipo cautelare (tranne i casi espressamente previsti dal legislatore all’art. 273
comma 1-bis, peraltro espressione di un principio generale) ma di certo lo sono
in via «mediata» posto che un serio giudizio prognostico di «elevata probabilità
di condanna» non può prescindere dalla necessità di proiettare il «valore» degli
elementi di prova acquisiti sulla futura decisione e sulle sue regole normative
tipizzate in tal sede (in tal senso, di recente, Sez. I n. 19759 del 17.5.2011,
Misseri, rv. 250243, ove si è con chiarezza affermato che « .. il giudizio
prognostico in tal senso – ovviamente esteso alle regole per le ipotesi di
incertezza e contraddittorietà considerate dal codice di rito all’art. 530, comma 2
e all’art. 533, comma 1, prima parte – è dunque indispensabile, pur dovendo
essere effettuato non nell’ottica della ricerca di una certezza di responsabilità già
raggiunta, ma nella prospettiva della tenuta del quadro indiziario alla luce di
possibili successive acquisizioni e all’esito del contraddittorio..») .
Da qui la necessità di identificare – da parte del giudice chiamato a pronunziarsi
sulla domanda cautelare – in modo specifico e razionale il significato incriminante
degli elementi raccolti sino al momento della decisione e sottoposti al suo esame,
con convincente attribuzione di significato a detti elementi in chiave prognostica.

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valutazione ( ad es. l’indizio in senso stretto – la narrazione rappresentativa di

In tale chiave, peraltro, il livello di persuasività richiesto dalla norma impone di
realizzare, già in sede cautelare personale, una concreta «prova di resistenza»
del contenuto rappresentativo degli elementi qualificati in termini di «gravi
indizi» circa un loro possibile, diverso significato, in particolare nel settore dei
reati associativi. La ricostruzione di tali fattispecie, in punto di ricostruzione delle
condotte partecipative, è infatti sovente basata sulla valorizzazione di «indici
rivelatori» di intraneità, tali da determinare la logica conclusione
dell’appartenenza ad un gruppo.

una qualificata prognosi di condanna, l’indizio di «appartenenza» (ossia la
condotta ricostruita tramite il primo) deve essere univoco e non può prestarsi a
plausibili spiegazioni alternative, pena la vanificazione del contenuto precettivo
dell’art. 273 cod.proc.pen. (regola di condotta per il soggetto giudicante).
1.2 Ciò premesso, va anche compiuta una considerazione – sia pur sintetica circa il significato da attribuirsi alla nozione normativa di «partecipazione» ad
una associazione avente le caratteristiche descritte dal legislatore all’art. 416-bis
cod. pen., stante la necessità di fissare alcuni concetti utili alla ricostruzione della
posizione del ricorrente.
E’ notorio, infatti, che con la particolare formulazione dell’articolo 416-bis cod.
pen. il legislatore ha adottato un modello descrittivo dell’ illecito tratto dalla
concreta esperienza criminologica, essendo stata compiuta una valorizzazione di
taluni elementi caratterizzanti della fattispecie ( in particolare l’avvalersi della
forza di intimidazione del vincolo associativo e delle correlate condizioni di
assoggettamento e di omertà ) desunti da dati «fenomenologici» riscontrati in
alcune realtà territoriali del nostro paese.
Ciò, come rilevato anche in dottrina, ha comportato una sorta di alterazione
dell’ordinario metodo di incriminazione delle fattispecie orientate alla tutela
dell’ordine pubblico (art.416 cod. pen.) e basate sul rilievo penalistico del solo
accordo finalizzato alla commissione indeterminata di delitti (cui si accompagni
un minimum

di substrato organizzativo), atteso che il carattere «tipico»

dell’associazione che possa dirsi mafiosa è riscontrabile solo nella misura in cui
all’accordo tra più soggetti sia oggettivamente ricollegabile – per il metodo
operativo seguito, per la qualità soggettiva degli associati, per il radicamento
criminale sul territorio – un concreto effetto di «intimidazione ambientale», tale
da rendere possibile il perseguimento dei particolari fini (alterazione delle regole
del mercato, alterazione dei rapporti tra privati e pubbliche amministrazione
nell’aggiudicazione di appalti, o realizzazione di profitti ingiusti mediante lo
svolgimento di attività illecite) previsti dalla norma .

Se l’indizio di colpevolezza è, pertanto, condizione conoscitiva su cui articolare

Pur non richiedendo, pertanto, la norma in parola la necessaria consumazione di
delitti-scopo e prevedendo la punibilità anche per le sole condotte associative di
per sé considerate (data la natura di reato di pericolo – sia pure concreto – in
rapporto al bene protetto) , è infatti evidente (ed in tal senso si parla di reato
associativo a struttura mista) che i caratteri tipici dell’associazione in parola,
prima evidenziati, rendono necessario un minimo di operatività o comunque
postulano l’esistenza di una concreta carica intimidatoria (sul punto, di recente,
Sez. I n. 35627 del 18.4.2012, Amurri, rv 253457) derivante dal modo di

rendano con chiarezza riconoscibile all’esterno tale fondamentale caratteristica.
In altre parole, va detto che una associazione può essere qualificata in sede
giudiziaria come «di stampo mafioso» esclusivamente ove risulti che il suo

modus operandi sia fortemente caratterizzato da un uso (almeno potenziale)
della violenza o minaccia, tale da generare quel senso di timore e insicurezza per
la propria persona o i propri beni che induce la generalità dei consociati a
piegarsi alle diverse richieste di vantaggi provenienti dagli associati .
Ciò posto, e richiamando i requisiti tipici delle condotte partecipative, va
osservato che negli ormai più di trenta anni di vigenza della fattispecie in parola
la dimensione applicativa ha fortemente risentito, come sovente accade, della
particolarità delle vicende oggetto di giudizio, degli aspetti ambientali correlati
alle stesse e degli specifici materiali dimostrativi portati all’attenzione dei diversi
soggetti giudicanti.
Sul punto, occorre anzitutto ricordare che questa Corte (a partire dalla decisione
Sez. I del 13.6.’87, Altivalle) richiede per la punibilità a titolo di partecipazione la
verifica dimostrativa della ricorrenza di un duplice aspetto : sul terreno
soggettivo va riscontrata l’affectio societatis, ossia la consapevolezza e volontà
del singolo di far parte stabilmente del gruppo criminoso con piena condivisione
dei fini perseguiti e dei metodi utilizzati; sul piano oggettivo, non potendosi
ritenere sufficiente la mera ed astratta «messa a disposizione» delle proprie
energie (dato che ciò, oltre a costituire un dato di notevole evanescenza sul
piano dimostrativo, si porebbe in contrasto con il fondamentale principio di
materialità delle condotte punibili di cui all’art.25 Cost.) va riscontrato in
concreto il «fattivo inserimento» nell’organizzazione criminale, attraverso la
ricostruzione – sia pure per indizi – di un «ruolo» svolto dall’agente o comunque
di singole condotte che – per la loro particolare capacità dimostrativa – possano
essere ritenute quali «indici rivelatori» (mediante l’applicazione di ragionevoli
massime di esperienza) dell’avvenuto inserimento nella realtà dinamica ed
organizzativa del gruppo.

s

atteggiarsi o di comportarsi (anche pregresso) da parte di quei soggetti che

Così, ben può dirsi che tale «inserimento» prescinde da formalità o riti che lo
ufficializzano, potendo risultare per

facta condudentía, attraverso cioè un

comportamento che sul piano sintomatico sottolinei la partecipazione, nel senso
della norma, alla vita dell’associazione (Sez. I n. 1470 del 11.12.2007, Addante,
rv 238839 ove si ribadisce che la partecipazione alla associazione di stampo
mafioso può essere desunta da indicatori fattuali dai quali – sulla base di
attendibili regole di esperienza – possa logicamente inferirsi l’appartenenza del
soggetto al sodalizio, purchè si tratti di indizi gravi e precisi) .

giudiziaria di «appartenenza» ad un gruppo avente le caratteristiche prima
illustrate non è la mera indicazione circa la qualità formale di affiliato (pur se tale
dato costituisce uno dei possibili indizi a carico) quanto la possibilità di attribuire
al soggetto in questione, mediante l’apprezzamento delle specifiche risultanze
probatorie, la realizzazione di un qualsivoglia «apporto» alla vita dell’
associazione, tale da far ritenere avvenuto il suo inserimento con carattere di
stabilità e consapevolezza soggettiva ( tra le molte, già Sez. VI, 5.10.2000, Di
Carlo, ove si richiede espressamente l’individuazione, da parte del giudice di
merito, di puntuali e pertinenti elementi di fatto, logicamente indicativi di un
perdurante_inserimento dell’imputato nella organizzazione mafiosa, atteso che al
fine della affermazione di penale responsabilità non rilevano mere situazioni di

status, ma la fattiva partecipazione del soggetto ad un sodalizio, nonchè la
compiuta definizione espressa da Sez. U. n. 33748 del 12.7.2005, Mannino, rv
231670, per cui la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in
rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del
sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo
dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato «prende parte» al
fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento
dei comuni fini criminosi).
Ciò tuttavia, è bene ribadirlo, non comporta certo l’adesione ad un pieno modello
«causale» di definizione della partecipazione, analogo a quello elaborato in sede
di definizione della punibilità del concorso esterno nel reato associativo.
In effetti va precisato che il comportamento – di volta in volta – elevato ad
«indice rivelatore» del fatto punibile, che qui resta l’ avvenuto inserimento del
soggetto nel gruppo criminoso in modo stabile, non deve necessariamente
possedere – di per sé – una elevata carica di apporto causale alla vita dell’intera
associazione (potendo consistere anche in un contributo di carattere morale e
psichico, se oggettivamente apprezzabile, come ritenuto da Sez. I n. 6819 del
31.1.2013, Fusco, rv 254503) atteso che lo stesso funge – a ben vedere – da

5

In altre parole, ciò che va ritenuto decisivo ai fini della valutazione in sede

elemento «visibile» della esistenza del rapporto posto a monte, intercorso tra il
soggetto e il gruppo, che resta l’oggetto specifico della dimostrazione.
In tal senso, risulta condivisibile l’approdo cui è di recente pervenuta, sul tema,
la decisione emessa da Sez. VI n. 38117 del 9.7.2013, rv 256334 che richiede in
sede cautelare – ed al fine di ritenere integrato il presupposto della gravità
indiziaria, di cui sopra – l’esistenza tra plurime dichiarazioni rese da collaboratori
di giustizia, di almeno una che tra esse risulti indicativa di atti o comportamenti
che, seppure non necessariamente forniti di autonoma rilevanza penale, risultino

degli interessi della consorteria.
La ricostruzione indiziaria, infatti, al di là delle generiche indicazioni di
«appartenenza» provenienti da soggetti ritenuti inclusi nel gruppo – che pure
possono svolgere funzione ausiliaria di riscontro, lì dove convergenti nel loro
nucleo essenziale – si alimenta necessariamente di un dato cognitivo capace di
illustrare almeno una condotta specifica, rivelatrice (sul piano logico) della
esistenza dello stabile rapporto tra il soggetto ed il gruppo di riferimento.
2. Operate tali precisazioni in diritto, va affermata l’infondatezza del primo
motivo di ricorso.
Il ricorrente, infatti, non si confronta – nella espressione delle critiche – con il
reale contenuto della motivazione del provvedimento impugnato.
Il Tribunale ha infatti valorizzato numerosi e coerenti indici rivelatori della
«caratura mafiosa» della cosca Ascone, sia in quanto tale (disponibilità di armi,
utilizzo di un nascondiglio protetto, rapporti solidaristici tra gli affiliati, capacità di
reinvestimento in attività ad oggetto lecito) che in rapporto al consolidato
rapporto intrattenuto nel corso del tempo con la cosca Bellocco (già oggetto di
ampia verifica giudiziaria approdata a decisioni definitive).
Non si tratta, pertanto, di suggestioni prive di contenuto dimostrativo o di
riflessioni sociologiche.
In particolare, appaiono corrette le deduzioni operate dal Tribunale (sulla base
dei copiosi elementi dimostrativi riportati) circa la «connotazione mafiosa» del
conflitto armato sorto, nel corso del tempo, tra i membri del gruppo Ascone e la
cosca dei Pesce (omicidio del 1999 di Cannizzaro Maurizio, soggetto legato agli
Ascone / omicidio del 2006 di Sabatino Domenico, uomo dei Pesce / reazione dei
Pesce nel 2007 con attentato ai danni di Ascone Vincenzo del 9 agosto e
successivo omicidio di Ascone Domenico del 14 agosto).
Le evidenti interrelazioni tra gli episodi – ricostruite non solo tramite apporti
dichiarativi di collaboranti ma anche in virtù di analisi dei colloqui intercettati autorizzano ampiamente l’utilizzo di massime di esperienza tese ad inquadrare la

X.0

comunque indicativi del consapevole apporto dell’accusato al perseguimento

genesi dello scontro armato non certo sulla base di semplici rivalità personali ma
in un’ottica di contrapposizione tra gruppi.
Contrapposizione che vede coinvolti gli Ascone, a vario titolo, come soggetti
protagonisti (ed in parte vittime) dello scontro, con piena autonomia decisionale
anche rispetto alloro alleati Bellocco.
Da qui, pertanto, è del tutto congruo – sul piano logico – dedurre che :
a) il conflitto trae origine da necessità di radicare e mantenere il controllo delle
attività economiche di ben individuate fasce di territorio, con modalità

b) l’essere uno dei poli del conflitto è di per sè indicativo, in una con le altre
risultanze investigative, della finalità mafiosa perseguita dal gruppo.
Tali aspetti, del tutto evidenti nel percorso motivazionale, non vengono affrontati
in modo adeguato nel ricorso, che pecca pertanto di estrema astrattezza.
2.1 Appare invece fondato il secondo motivo di ricorso.
Premesso che Ascone Alessandro è uno dei fratelli di Ascone Antonio
(quest’ultimo risulta il ‘fondatore’ del gruppo, nonchè padre di Vincenzo, Michele
e Maria Lucia) non può ragionevolmente escludersi che il suo interessamento alle
vicende successive agli episodi dell’agosto 2007 (l’agguato al nipote Vincenzo e
l’eliminazione di Domenico, figlio di un ulteriore fratello) sia dipeso da una
esigenza di protezione non tanto del «gruppo criminoso» quanto dei singoli
soggetti componenti il nucleo familiare allargato (includente sè medesimo), per
ragioni indipendenti da una compartecipazione associativa.
Se infatti è vero che nel corso della conversazione registrata presso la casa di
reclusione di Palmi in data 20.11.2007 Ascone Alessandro informa il nipote (figlio
della sorella Angelina) Consiglio Damiano (a richiesta di quest’ultimo) che .. la

faccenda critica si è aggiustata

e se è vero che tale faccenda può essere

individuata agevolmente nei fatti del precedente mese di agosto (per lo stesso
tenore della conversazione) è anche vero che :
– Ascone Alessandro, nel riferire l’esito della mediazione non include se stesso tra
i protagonisti della stessa (.. come sono rimasti ? ..). Dunque ne conosce gli esiti
ma non ha preso parte alla determinazione del patto ;
– le restanti parti della conversazione, ove si fa riferimento a un credito del
Consiglio Damiano del cui recupero doveva occuparsi lo zio Ascone Alessandro
non risultano con la necessaria chiarezza relative ad una attività di cessione di
sostanze stupefacenti.
Il Tribunale, nel suo percorso motivazionale, attribuisce invece con certezza alla
attività di commercio degli stupefacenti i contenuti del dialogo tra zio e nipote
senza chiarire le ragioni effettive di tale attribuzione (restando, tra la l’altro, sullo
sfondo il riferimento ad una decisione di condanna in danno di Ascone Alessandro

.(4

rispondenti al contenuto descrittivo della norma incriminatrice (art. 416 bis) ;

per cessione di stupefacenti – per fatti del 2007 – di cui non vengono citati nè
analizzati gli effettivi contenuti in fatto e la riferibilità al contesto criminoso qui
evidenziato).
Inoltre, lo stesso Tribunale non sviiluppa in modo adeguato – sia pure per
confutarla – l’ipotesi alternativa, circa la conoscenza dell’accordo preso con i
Pesce (manifestata da Ascone Alessandro) non già nella qualità di componente
effettivo del gruppo criminoso ma in una diversa veste di soggetto comunque
interessato alla notizia.

– in data 20 novembre 2007, dunque ad una consistente distanza temporale dai
fatti di agosto ed il Tribunale non chiarisce se – in tale momento – la conoscenza
dell’intervenuto accordo era ormai divenuta un patrimonio comune dei soggetti
liberi appartenenti al nucleo familiare o era ancora riservata (il che potrebbe
valorizzarne la portata indiziante), nè affronta alcun tema ricostruttivo circa i
comportamenti tenuti dall’attuale ricorrente in epoca successiva e sino all’anno
2013 (anche in tal caso il non breve periodo trascorso appare rilevante, posto
che un soggetto realmente incluso nel gruppo criminoso potrebbe aver lasciato
ulteriori tracce di tale appartenenza).
Da ciò deriva, in aderenza ai criteri esposti in apertura, la considerazione per cui

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E’
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il significato attribuito a tali elementi indizianti (pur esistenti) appare non
assistito da una concreta prova di resistenza ad una ragionevole ipotesi
alternativa e dunque non raggiunge – in tale quadro – i caratteri di gravità
imposti dall’art. 273 cod.proc.pen. e dall’art. 416 bis cod.pen.
La presenza dei dati probatori – ancora utilmente valutabili – determina tuttavia
l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame, nel
cui ambito dovranno trovare applicazione i criteri di metodo indicati al punto 1
della presente decisione.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio
Calabria.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p. comma 1
ter.
Così deciso il 18 febbraio 2014

Il Consigliere estensore

I • sidente

Non appare inutile evidenziare che detta conversazione è avvenuta – in ogni caso

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