Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24489 del 11/12/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24489 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Nkairi Kamal, nato in Marocco il 13/09/1981

avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria emessa il
29/11/2011

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Mario Fraticelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Kamal Nkairi ricorre avverso la sentenza della Corte di appello
di Reggio Calabria del 29/11/2011, con la quale risulta essere stata confermata
la sentenza di condanna – alla pena di anni 8 di reclusione, oltre a sanzione
pecuniaria – pronunciata nei confronti dell’imputato il 03/04/2008 dal G.u.p. del

Data Udienza: 11/12/2012

Tribunale della stessa città, all’esito di giudizio abbreviato.

Lo Nkairi, cui era

stata addebitata una condotta di partecipazione ad un’associazione per
delinquere ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, aveva proposto appello rilevando la
mancanza di prove di sorta circa una sua effettiva appartenenza al presunto
sodalizio criminoso e sostenendo di avere avuto sì rapporti con uno dei vertici
della struttura anzidetta – tale Demetrio Franco – ma per finalità del tutto lecite,
da correlare a comuni interessi commerciali nell’abbigliamento, nella ristorazione
e nell’edilizia: la tesi era stata ritenuta inconsistente dalla Corte territoriale,

conversazioni intercettate, lo stabile inserimento del prevenuto nella societas
sceleris.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, lo Nkairi – che non risultava
affatto aver mai svolto attività nei settori imprenditoriali sopra ricordati – era da
intendere un sodale e uomo di fiducia del Franco, disponibile a prendere parte a
contrattazioni e accordi aventi ad oggetto cessioni di rilevanti quantità di droga:
né poteva assumere rilievo la circostanza che nella rubrica il suo ruolo apparisse
confinato a quello di mero vettore o “cavallo”, per la distribuzione degli
stupefacenti nel mercato, atteso che il capo d’imputazione faceva comunque
riferimento, in via preliminare, ad una organizzazione più complessa, tale da
prevedere anche attività di ricerca di canali di rifornimento.
Con il ricorso oggi in esame, il difensore dell’imputato deduce violazione ed
erronea applicazione degli artt. 74 T.U. stup. e 546 cod. proc. pen., attesa la
mancata correlazione fra le risultanze processuali e il tenore della rubrica in
punto di ipotizzate modalità di partecipazione dello Nkairi alla consorteria
criminale; oltre a ciò, la difesa rileva che i capi d’imputazione di cui alla sentenza
di secondo grado non fanno comunque riferimento alcuno alla posizione del
ricorrente, tanto che alla stessa Corte di Cessazione verrebbe in concreto ad
essere preclusa la possibilità di verificare la conformità delle contestazioni di
reato rispetto ai dati emersi nel processo di merito (nell’intestazione della
pronuncia si fa addirittura menzione, nell’indicare la sentenza appellata, della
data del 10/12/2007, quando invece la condanna dello Nkairi era stata dell’anno
successivo). Il ricorrente sollecita pertanto «un annullamento della sentenza,
affinché possa essere disposto l’invio corretto dei capi d’imputazione, che
consentano a questo difensore, e successivamente alla Corte, di poter vagliare
con attenzione lo specifico motivo di doglianza difensivo, che in questa sede non
può per ovvie ragioni essere riproposto».
La difesa rileva altresì violazione delle norme sostanziali e processuali sopra
ricordate (nonché carenza di motivazione in parte qua) anche in ordine alla
ritenuta responsabilità penale dell’imputato, pur risultando appurato che egli

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essendo al contrario emerso, soprattutto in base al contenuto di svariate

ebbe contatti con uno solo dei presunti associati e per un periodo assai ristretto,
dal 5 al 29 gennaio 2004, insufficiente comunque per poter comprendere quale
ruolo lo Nkairi avrebbe rivestito nell’ambito della ipotizzata organizzazione.
Segnala in particolare che allo Nkairi pur volendo prestar fede all’impianto
accusatorio – sarebbe stato chiesto in una sola occasione ed in via episodica di
presenziare ad una contrattazione in tema di droga, e parimenti una sola volta

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può meritare accoglimento.
1.1 Innegabilmente, l’epigrafe della sentenza impugnata costituisce il
risultato di un refuso: i capi di imputazione ivi riportati non si riferiscono alla
posizione dell’odierno ricorrente, bensì a tutt’altro processo; diversa è altresì la
sentenza che si assume oggetto di appello, indicata in una pronuncia del G.u.p.
del Tribunale di Reggio Calabria del 10/12/2007, quando invece lo Nkairi era
stato giudicato in primo grado da quello stesso ufficio ma il 03/04/2008.
Tuttavia, deve escludersi che si siano determinate ragioni di vizio in punto di
correlazione tra fatto contestato e quello ritenuto nella affermazione di penale
responsabilità, né si rilevano violazioni del diritto di difesa, appunto perché il
tutto deriva da un evidente errore materiale. Del resto, in atti è versata anche la
reale sentenza di condanna intervenuta in primo grado nei confronti (fra gli altri)
dell’imputato, sentenza recante la corretta rubrica: ergo, la difesa è stata ed è
ancora in grado di ben comprendere i termini della contestazione, verifica che è
agevolmente possibile anche a questa Corte, all’esito di un semplice esame del
fascicolo e senza che possano sorgere equivoci sulla natura di mero refuso da
attribuire alla impropria intestazione della sentenza oggetto di ricorso,
chiaramente conseguenza di un superficiale “copia/incolla”.
Del resto, non sarebbe comunque possibile immaginare che lo Nkairi versi in
una condizione di dubbio circa la qualificazione giuridica o la descrizione in fatto
dell’addebito che gli si muove: la sua condotta è infatti adeguatamente illustrata,
con attribuzione di uno specifico nomen juris, nell’epigrafe della sentenza del
03/04/2008, che già nell’incipit della motivazione della pronuncia emessa in
grado di appello viene esplicitamente richiamata quale oggetto di quel gravame
(v. pag. 14); nella sequela di capi d’imputazione di cui alle pagine precedenti
della sentenza di appello, invece, il nome dell’imputato non risulta affatto, come
se egli non fosse stato chiamato a rispondere per addebiti di sorta. Vi sarebbe
stata una certa confusione laddove, fra le contestazioni errate, se ne fosse

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egli avrebbe avuto l’incarico di contattare un presunto fornitore.

rinvenuta almeno una riguardante (anche) lo Nkairi, magari del tutto diversa da
quelle analizzate nella parte motiva del provvedimento, ma così non è.
Sullo specifico problema dell’essere stato lo Nkairi ritenuto un sodale del
Franco nella ricerca di canali di rifornimento per approvvigionarsi di droga,
quando invece il suo ruolo nella contestazione formalmente mossagli si limitava
a quello di vettore o “cavallo”, la sentenza impugnata offre già una più che
analitica risposta alle doglianze della difesa: i giudici di appello chiariscono fra
l’altro che la rubrica (corretta) conteneva sì l’indicazione dei presunti compiti

attribuzione a tutti gli imputati di una condotta di partecipazione ad «una
articolata e vasta organizzazione dedita alla vendita, offerta, cessione,
distribuzione, commercio, acquisto, trasporto e detenzione di sostanze
stupefacenti […], che garantisce di per sé alla rubrica un sufficiente tasso di
determinatezza».
1.2 II secondo profilo di doglianza, afferente la brevità del periodo in cui
dovrebbero collocarsi i contatti fra Io Nkairi e l’unico degli altri sodali con il quale
ebbe rapporti, tanto da doversi considerare soltanto occasionali gli incarichi
ricevuti da costui nel relazionarsi ad uno o più fornitori, afferisce ictu ocuii al
merito della vicenda, rimanendo così un aspetto non sindacabile in sede di
giudizio di legittimità.
Alla Corte di Cassazione deve ritenersi preclusa la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di
nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendo il
giudice di legittimità soltanto controllare se la motivazione della sentenza di
merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter
logico seguito. Quindi non possono avere rilevanza le censure che si limitano ad
offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la verifica della
correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una
nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti, «non deve
accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, né
deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile
opinabilità di apprezzamento» (v., ex plurimis, Cass., Sez. IV, n. 4842 del
02/12/2003, Elia).
Né i parametri di valutazione possono dirsi mutati per effetto delle modifiche
apportate all’art. 606 cod. proc. pen. con la legge n. 46 del 2006, essendo stato
affermato e più volte ribadito che anche all’esito della suddetta riforma «gli
aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del

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svolti da ciascun sodale, ma comunque con una preliminare e più ampia

significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono
rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso
giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e pertanto, restano
inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a
sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio» (Cass., Sez. V, n.
8094 dell’11/01/2007, Ienco, Rv 236540).
Tanto premesso, è senz’altro non condivisibile l’argomentazione difensiva
secondo cui dovrebbe intendersi decisiva, per escludere la sussistenza di una

l’imputato tenuto rapporti personali con uno soltanto dei presunti sodali: al
contrario, il vincolo de quo ben può risultare anche laddove un soggetto, nel
relazionarsi a quel solo appartenente al sodalizio, operi nella consapevolezza di
apportare un contributo ai programmi di un’associazione che comunque sappia
esistente. E questa Corte non può che prendere atto della lettura delle
risultanze istruttorie offerte, senza alcuna manifesta illogicità, dai giudici di
appello, che ricavano dagli elementi probatori acquisiti la dimostrazione «che
l’imputato era pronto a cooperare in varie forme – e non solo, quindi, in qualità
di trait d’union tra i fornitori e Franco – alla causa associativa».

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’imputato al pagamento
delle spese del presente giudizio.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso 1’11/12/2012.

condotta di partecipazione ad un reato associativo, la circostanza dell’avere

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