Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24438 del 10/05/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 24438 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da Finizio Vincenzo nato a Napoli il 6/2/1949
avverso la sentenza del 12/6/2012 della Corte d’appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott. Aldo Policastro, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga
dichiarato inammissibile;
udito per l’imputato l’avv. Fabrizio Peverini che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso con annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza in data 12/6/2012, la Corte di appello di Roma

confermava la sentenza del 9/12/2009 del Tribunale di Roma con la quale
Finizio Vincenzo era stato condannato alla pena di anni due di reclusione ed
€ 900,00 di multa per i reati di cui agli artt. a) 9 legge 1423/1956 b) 99,
648 cod. pen.
1.1.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello,
1

Data Udienza: 10/05/2013

in punto di qualificazione giuridica del fatto non essendo stata riconosciuta
l’integrazione del delitto di furto, nonché in punto di trattamento
sanzionatorio con riconoscimento delle attenuanti generiche.
2.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando i seguenti motivi di gravame:
2.1. inosservanza o erronea applicazione della legge nonché mancanza e
ed e) cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 624 e 648 cod. pen.. Si
duole in particolare della mancata qualificazione giuridica del fatto come
furto aggravato.
2.2. illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione delle
attenuanti generiche con conseguente riduzione della pena irrogata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi manifestamente
infondati.
3.1.

Quanto al primo motivo, trattasi di valutazioni di merito che sono

insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle
prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da
vizi logici, come nel caso di specie. (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Spina,
Rv. 214794; Sez. U., n. 12 del 31.5.2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U. n.
47289 del 24.9.2003, Petrella, Rv. 226074 ). Inoltre la doglianza riproduce
pedissequamente gli argomenti prospettati nel gravame, ai quali la Corte
d’appello, attraverso una lettura critica delle risultanze dell’istruttoria
dibattimentale per come interpretate dal giudice di prime cure, ha dato
adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che
il ricorrente non considera e si limita a censurare genericamente. Invero la
Corte territoriale ha adeguatamente considerato la circostanza, prospettata
nei motivi di appello, che fosse stato l’imputato stesso a sottrarre
l’autovettura, ma è pervenuta ad escludere tale ipotesi sulla base di una
valutazione in fatto priva di illogicità manifesta e, pertanto, incensurabile in
questa sede; in tal senso si è, evidentemente, ritenuto di non potere
valorizzare la circostanza dedotta nel ricorso in ordine a quanto l’imputato
stesso avrebbe riferito all’operante nell’immediatezza del fatto; trattasi

2

ket,

manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b)

difatti, per quanto risulta dallo stesso ricorso, di affermazione generica ed
inattendibile, in quanto carente di qualsiasi indicazione spaziale e temporale
in ordine alla commissione del furto.
3.2. Passando al secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata
contiene un’esaustiva motivazione in ordine al diniego delle circostanze
attenuanti generiche ed alla determinazione del trattamento sanzionatorio,
facendosi riferimento ai precedenti penali già riportati dall’imputato anche
destinatario di una misura di prevenzione. E sul punto, conformemente
all’orientamento espresso più volte da questa Corte, deve rilevarsi che la
sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod.
pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con
motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione,
di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non
può essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico
apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati
nell’interesse dell’imputato (Sez. VI n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv.
242419; sez. H n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163). Ed ancora,
nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è
necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi
favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è
sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione
(Sez.VI n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
Infine rileva il Collegio che non risulta ravvisabile alcun vizio di
contraddittorietà della motivazione nella parte in cui viene ritenuto, con le
argomentazioni sopra riportate, che l’imputato non fosse meritevole delle
attenuanti generiche e nello stesso tempo era stata esclusa dal giudice di
prime cure l’applicazione della recidiva. Trattasi di valutazioni che, come già
affermato da questa Corte (sez. 2 n. 106 del 4/11/2009, Rv. 246045), non
differenti e non necessariamente collegate agli stessi presupposti: in tal
senso il giudice di primo grado, prendendo in considerazione il reato
commesso, di non particolare gravità ed allarme sociale, ha ritenuto di non
dovere applicare l’aumento di pena previsto dall’art. 99 cod. pen; ciò non
imponeva affatto di dovere concedere le attenuanti generiche proprio per le
considerazioni sopra svolte circa i presupposti di fatto a cui il giudice deve
collegare la mitigazione della pena prevista nell’art. 62 bis cod. pen.

3

specifici ed alla circostanza che l’imputato al momento del fatto fosse

4.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi

dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dell’imputato che lo ha
proposto al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla
luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000,

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 ciascuno alla Cassa delle
ammende.
Così deciso, il 10 maggio 2013
Il

liere estensore

Il President

sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in C 1.000,00 .

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA