Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24428 del 09/05/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 24428 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COLELLA CAMILLO N. IL 28/01/1959
PERNOLINO FRANCESCO N. IL 10/09/1959
TANDA GIOVANNI N. IL 31/07/1947
avverso la sentenza n. 474/2011 CORTE APPELLO di
CAMPOBASSO, del 19/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO PRESTIPINO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Kike.41.
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che ha concluso per ,( 144~ ; 44:-1 t•re

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 09/05/2013

Ritenuto in fatto
1. Hanno proposto ricorso per cassazione Colella Camillo, Pernolio Francesco e Tanda
Giovanni, awerso la sentenza della Corte di Appello di Campobasso del 19.6.2012, che in
riforma della sentenza di condanna pronunciata nei loro confronti dal Tribunale di Isernia
per il reato di cui all’art. 640 bis c.p., riqualificò il fatto ex art. 640 co 2nr. 1 c.p. e ridusse le
pene.
2. Secondo l’accusa i ricorrenti, agendo nelle qualità per ciascuno di essi indicate nel capo
di imputazione all’interno delle società interessate dai fatti, avrebbero fittiziamente
dichiarato il licenziamento e la mobilità di alcuni lavoratori della soc. Castellina spa, la loro
successiva assunzione presso le società I.C.C. srl, Como s.r.I., Alpitrans s.r.I., e finalmente,
presso la soc. Qualità Molisana s.r.I., per consentire a quest’utlima società, riconducibile allo
stesso gruppo di interessi, di godere indebitamente delle agevolazioni contributive previste
dall’art. 8 L. 223/1991,
3. Con motivi sostanzialmente sovrapponibili, tutti i ricorrenti deducono il vizio di mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza impugnata in ordine alla valutazione
delle risultanze istruttorie. Gli stessi giudici di merito avrebbero infatti riconosciuto che
l’attività della soc. “Castellina” era stata ripetutamente interrotta per lavori di manutenzione
e ristrutturazione degli impianti,talché le mobilità dei lavoratori sarebbero state giustificate
da esigenze effettive, tanto risultando, in particolare, dalle dichiarazioni dei testi citati nei
ricorsi. I punti di criticità logica della sentenza sotto il profilo dell’apprezzamento dei dati di
prova, sono sviluppati poi in riferimento alla configurabilità del reato di truffa, con specifica
attenzione all’aspetto della presunta unità gestionale delle varie società interessate, che
corrisponderebbe ad un’affermazione soltanto apodittica dei giudici di appello.
3.1. Altri motivi fanno riferimento al trattamento sanzionatorio.
Considerato in diritto
I ricorsi sono generici e manifestamente infondati.
1. Il presunto appiattimento dei giudici di appello sulle motivazioni della sentenza di primo
grado, è in un certa misura inevitabile in qualunque giudizio di conferma di una precedente
decisione, salvo il caso che l’impugnazione imponga al giudice che ne sia investito, autonome
valutazioni su questioni specifiche (cfr. Cass. Sez. IV Pen, n. 6980/1997 secondo cui deve
ritenersi legittimo, nella piena coincidenza di due giudizi di merito, anche un rinvio del
giudice sovraordinato agli argomenti esposti dalla pronuncia di prime cure, a meno che con i
motivi di appello non siano state poste specifiche questioni per le quali l’apparato
argomentativo della sentenza del giudice dell’impugnazione deve essere autonomo ed
autosufficiente). Peraltro, gli stessi giudici territoriali si impegnano nella consapevole e
meditata valutazione del rapporto tra due conformi pronunciamenti di merito in gradi
processuali differenti, applicando correttamente il principio secondo cui che le motivazioni
delle sentenze di due gradi di merito costituiscono una sola entità logico-giuridica, per cui
non vi è necessità di ulteriore motivazione quando il giudice di appello, effettuata la
ricognizione del materiale probatorio, confermi la valutazioni del giudice di primo grado
limitandosi a farvi riferimento (vedi Cass. 7.11.2002; 5.12.2002 nr. 1362; 23.1.2003 n. 3162,
citate dalla Corte territoriale).
2. Il confronto tra la sentenza di appello e quello di primo grado evidenzia poi che i ricorrenti
hanno sostanzialmente riproposto le stesse questioni già dedotte davanti al Tribunale, e che
la Corte di Appello si è incaricata di rivederle criticamente per verificare la congruità logicogiuridica delle conclusioni del giudice di prime cure alla luce dei motivi di gravame.
2.1. In particolare, nella sentenza di primo grado sono analiticamente indicate, con
argomentazione complete e diffuse su tutti gli aspetti organizzativi della truffa, le numerose
fonti di prova sulle modalità della messa in mobilità dei lavoratori della “Castellina” alle
stregua di indicazioni non validamente confutate dalla difesa, che non ha provato (né poteva
provare, attese le inequivocabili risultanze istruttorie complessivamente analizzate dai giudici
territoriali) l’ esatta coincidenza temporale e la integrale sovrapposizione delle messe in
mobilità con i periodi di ristrutturazione del capannone aziendale, a tanto non valendo la

P.Q. M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle
spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle
Ammen e.
Così d; i o in onja, nella camera di consiglio, il 9.5.2013.
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citazione “per sintesi” di alcune soltanto delle fonti dichiarative rispetto al ben più ampio
materiale probatorio esaminato dal Tribunale, e senza nemmeno la produzione dei verbali di
assunzione dei testi selezionati . Di più, la sentenza di primo grado sottolinea che gli
accertamenti ispettivi consentirono di verificare che in coincidenza con le “mobilità”, il
capannone risultò interessato solo parzialmente da lavori di ristrutturazione e che le
maestranze continuarono ad operare in un’ala adiacente a quella in cui si svolgevano i lavori,
circostanza questa nemmeno specificamente contestata nei ricorsi.
3. Quanto alle valutazioni sugli intrecci societari di supporto alla truffa, è di tutta evidenza
che le motivazioni dei giudici di merito procedano anzitutto dalla considerazione che i
lavoratori della “Castellina” non si spostarono mai dalla sede della stessa società, con la
conseguente assoluta evidenza della falsità dei loro rapporti lavorativi con le altre società; e
tutt’altro che illogicamente, poi, a fronte di tali emergenze di prova, rilevano il concorrente
significato di prova dell’intreccio di interessenze familiari e societarie nelle società in cui
figuravano “trasferiti” i lavoratori della “Castellina”, essendo ovvio che il coinvolgimento di
familiari meglio offrisse le necessarie garanzie ai fini dell’organizzazione della truffa e del
conseguimento del relativo profitto.
4. Tutte le deduzioni difensive in punto di trattamento sanzionatorio sono infine alquanto
generiche, non andando molto al di là della sottolineatura della risalenza nel tempo delle
condotte di reato o delrincensuratezza dei ricorrenti, mentre è del tutto condivisibile, in
contrario, e comunque esente da qualunque censura di legittimità, il rilievo soprattutto
attribuito dai giudici dì merito alla particolare complessità organizzativa della truffa e alla
accurata predisposizione delle condotte di reato anche attraverso un’ articolata concertazione
plurisoggettiva.
In definitiva, appare soltanto formalistico il rilievo difensivo della mancata risposta della
Corte territoriale ai motivi di appello, tanto più in assenza di una puntuale confutazione delle
argomentazioni del giudici di primo grado, in quanto legittimamente “trasfuse” nella sentenza
di appello con l’ampio ricorso alla tecnica di motivazione per relationem, mentre la scelta di
una più esplicita condivisione avrebbe comportato soltanto la pedissequa ripetizione degli
stessi argomenti con una diversa cifra stilistica.
Alla stregua delle precedenti considerazioni, i ricorsi vanno pertanto dichiarati inammissibili,
con la conseguente preclusione della declaratoria d’estinzione del reato per prescrizione
(giurisprudenza pacifica, nell’ipotesi in cui la prescrizione sia maturata in data successiva
alla pronunzia della sentenza d’appello; cfr., da ultimo, Cass. Sez. 1, n. bfiaa del
04/06/2008 Rayyan). Alla dichiarazione di inammissibilità deve seguire la condanna dei
ricorrenti ricorrente al pagamento delle spese processuali, e al versamento della somma di
euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende commisurata all’effettivo grado di colpa degli stessi
ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità.

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