Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24427 del 09/05/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 24427 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CASUCCI GIULIANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI BELLA ANTONINO N. IL 13/11/1959
avverso la sentenza n. 1310/2007 CORTE APPELLO di CATANIA, del
23/09/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIULIANO CASUCCI
Udito il Procuratore Geperale in persona del Dott.
-GAVOA2^
che ha concluso per it tem idu,„4.4,1;„ 14:. h:14

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 09/05/2013

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 23 settembre 2011, la Corte di appello di Catania, 2^ sezione
penale, in parziale riforma della sentenza del GIP del Tribunale di Caltagirone
appellata da Di Bella Antonino e Calatello Francesco rideterminava la pena nella
misura di un mese quindici giorni di reclusione e cinquanta euro di multa a titolo di
continuazione con quella inflitta dalla medesima Corte di appello con sentenza del
erano stati dichiarati colpevoli di concorso nel delitto di rapina aggravata in danno
di Scirè Calabrisotto Salvatore e Diamante Giuseppe
La Corte territoriale confermava il giudizio di responsabilità in ragione della certezza
del riconoscimento operato in udienza dalla persona offesa Scirè Calabrisotto e della
identità delle modalità di consumazione della rapina in esame con quelle dell’ altra
rapina commessa in Palagonia. La pena doveva essere rimodulata per adeguarla a
quella già inflitta in continuazione dalla stessa Corte territoriale.
Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’ imputato Di Bella,
personalmente, che ne ha chiesto l’ annullamento per erronea applicazione della
legge penale e comunque carenza di motivazione in relazione ai disattesi motivi di
gravame afferenti la mancata concessione delle attenuanti generiche, vizio
risultante dal testo della sentenza impugnata che ha omesso qualsiasi motivazione
sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato, perché la sentenza impugnata non aveva
alcun obbligo di dare risposta alla richiesta formulata con l’ appello, in quanto
inammissibile per genericità. Con lo stesso l’ imputato si era infatti limitato a
elencare una serie di principi ermeneutici e di massime giurisprudenziali, senza
alcuna indicazione specifica delle ragioni in fatto a sostegno della richiesta stessa, in
violazione dell’ art. 581 lett. c) c.p.p., che impone che ogni richiesta sia giustificata
dall’ indicazione specifica non solo delle ragioni di diritto ma anche degli elementi in
fatto a sostegno della richiesta, violazione sanzionata con l’ inammissibilità dall’ art.
591 c. 1 lett. c) c.p.p.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di somma in favore della Cassa
delle ammende che, in ragione dei profili di colpa rinvenibili nella rilevata causa di
inammissibilità, si quantifica in mille/00 euro.
P.Q.M.

24.9.2001; confermava nel resto la sentenza impugnata con la quale i predetti

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

processuali e della somma di C 1000,00 alla Cassa delle ammende.

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