Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24346 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 24346 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

Data Udienza: 15/05/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AMELIO GREGORIO N. IL 09/12/1970
MAZZA MICHELE N. IL 13/10/1972
MANNO SAMUELE N. IL 27/02/1967
AMELIO SALVATORE N. IL 28/01/1984
avverso la sentenza n. 500/2010 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 09/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. VC:t–0 hArn}ito -kto
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RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Catanzaro, pronunciando nei confronti degli odierni
ricorrenti, AMELIO GREGORIO, MAZZA MICHELE, MANNO SAMUELE e AMELIO
SALVATORE, con sentenza del 09.05.2013, confermava la sentenza emessa dal
Tribunale di Catanzaro il 29.04.2009, condannandoli al pagamento delle ulteriori
spese processuali.
Il GIP del Tribunale di Catanzaro aveva dichiarato:
• Ameno Gregorio colpevole del reato previsto dagli artt. 81 cpv e 110

l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori delle ipotesi previste dall’art. 75, illecitamente vendeva a Fratto Gianni marijuana (in Sellia Marina e Simeri Crichi fino al

2001), unificato dal vincolo della continuazione con quello oggetto della sentenza
emessa dal GIP presso il Tribunale di Catanzaro in data 08.07.2004 (irrevocabile
dal 02.10.2004) e lo condannava alla pena aggiuntiva di mesi 3 di reclusione ed
e 1.000,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare;
• Manno Samuele responsabile dei reati previsti dagli artt. 81 cpv e 110
cod. pen. e dall’art. 73 comma 4 in relaz. al comma 1 DPR 309/90, perché senza
l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori delle ipotesi previste dall’art. 75, illecitamente vendeva a Amelio Gregorio, che illecitamente deteneva ai fini di spaccio,
un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente (in Simeri Crichi di Goiosa
ionica dal 5.9.03 al 9.9.03) e del reato previsto dagli artt. 81 cpv e 110 cod.
pen. e dall’art. 73 comma 4 in relaz. al comma 1 DPR 309/90, perché senza
l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori delle ipotesi previste dall’art. 75, illecitamente vendeva a Amelio Gregorio e Scozzafava Antonio KG. 10,865 netti di hashish, suddivisi in 46 panetti da gr. 235 ciascuno pari a complessive 24.000 dosi
da fumare (in Gioiosa ionica e Simerí Crichi dal 17.10.03 al 19.10.03) unificati
dal vincolo della continuazione e, riconosciute le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di anni 2 e mesi 3 di reclusione ed C 5.000,00 di multa, oltre
al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare;
• Amelio Salvatore del reato previsto dagli artt. 81 cpv e 110 cod. pen. e
dall’art. 73 comma 4 in relaz. al comma 1 DPR 309/90, perché senza
l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori delle ipotesi previste dall’art. 75, illecitamente vendeva a Amelio Gregorio e Scozzafava Antonio KG. 10,865 netti di hashish, suddivisi in 46 panetti da gr. 235 ciascuno pari a complessive 24.000 dosi
da fumare (in Gioiosa ionica e Símeri Crichi dal 17.10.03 al 19.10.03) e, riconosciute le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di anni 2 di reclusione ed
C 4.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia
cautelare;

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cod. pen. e dall’art. 73 comma 4 in relaz. al comma 1 DPR 309/90, perché senza

• Mazza Michele responsabile dei reati previsti dagli artt. 81 cpv e 110

cod. pen. e dall’art. 73 comma 4 in relaz. al comma 1 DPR 309/90, perché senza
l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori delle ipotesi previste dall’art. 75, illecitamente vendeva a Amelio Gregorio, che illecitamente deteneva ai fini di spaccio,
un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente (in Simeri Crichi di Goiosa
Jonica dal 5.9.03 al 9.9.03) e del reato previsto dagli artt. 81 cpv e 110 cod.
pen. e dall’ad. 73 comma 4 in relaz. al comma 1 DPR 309/90, perché senza
l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori delle ipotesi previste dall’art. 75, illecita-

shish, suddivisi in 46 panetti da gr. 235 ciascuno pari a complessive 24.000 dosi
da fumare (in Gioiosa Jonica e Simerí Crichi dal 17.10.03 al 19.10.03) unificati
dal vincolo della continuazione e, riconosciute le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di anni 2 e mesi 3 di reclusione ed C 5.000,00 di multa, oltre
al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare;

2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, con
l’ausilio dei propri difensori gli imputati, deducendo i motivi di seguito enunciati
nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Ameno Gregario con proprio ricorso deduce:
a. art. 606 cod. proc. pen. lett. b) in relazione agli artt. 157 e ss. cod. pen.
La pena applicabile ex art. 2 co. 4 cod. pen., in quanto più favorevole, sarebbe quella prevista dall’art.73 co. 4 in relaz. al co. 1 DPR 309/90 del vecchio
testo. Pertanto, considerata la pena massima di 6 anni e avuto riguardo alla sua
consumazione (5.09.2003) alla data del 9.03.2011 sarebbe decorso il termine di
prescrizione di anni 7 e mesi 6 previsto ex lege.
b. art. 606 lett. e) cod. proc. pen. mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione
La motivazione della sentenza sarebbe assolutamente carente ed illogica

mente vendeva a Amelio Gregorio e Scozzafava Antonio KG. 10,865 netti di ha-

nella parte in cui ritiene provata la responsabilità penale sulla scorta di un raffronto tra diverse conservazioni telefoniche.
L’imputato avrebbe già evidenziato in appello come le conservazioni si prestassero a qualsivoglia interpretazione. La Corte di Appello ripercorrerebbe la
sentenza di primo grado senza apportare alcun vaglio critico.
Nulla direbbe, poi, la sentenza su due circostanze specifiche, quali un appuntamento davanti ad una caserma dei Carabinieri ed un mancato passaggio di
proprietà di autovettura.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con ogni consequenziale statuizione.

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Mazza Michele, con proprio ricorso, deduce:
a. violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 129
cod. proc. pen.
I reati contestati si sarebbero estinti per intervenuta prescrizione, prima della pronuncia sul gravame.
Nel caso di specie, essendo intervenuta l’apertura del dibattimento di primo
grado in data 17.12.2007, alla fattispecie sarebbe stato applicabile il termine
prescrizionale più breve previsto dalla legge Cirielli.

stessi sono estinti per prescrizione a distanza di sette anni e mezzo dalla loro
commissione e cioè, rispettivamente a marzo ed aprile 2011 e quindi primi della
sentenza impugnata.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con ogni consequenziale statuizione.

Amelio Salvatore e Hanno Samuele, con unico ricorso, deducono:
a. violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art. 129
cod. proc. pen. e 157 cod. pen.
I ricorrenti deducono l’avvenuta prescrizione dei reati prima della pronuncia
sull’impugnazione.
Entrambi i ricorrenti invocano l’applicazione della normativa sulla prescrizione più favorevole, prevista dalla L.25112005.
Il termine per la prescrizione decorrerebbe, pur in presenza di reati avvinti
dal vincolo della continuazione, dal momento della concreta realizzazione di ciascun reato.
Nel caso in esame, quindi, decorrerebbe dal settembre 2003 e dall’ottobre
2003.
Pertanto entrambi i reati si sono prescritti a marzo e aprile 2011.

Chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con ogni conseguenza di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Fondati sono tutti i motivi con cui ci si duole dell’avvenuta prescrizione
dei reati, conseguendone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

2. Infondato è, invece, il secondo motivo di ricorso, su cui ha insistito in via
principale il difensore di Amelio Gregorio, in quanto, ancorché lo si rubrichi come
vizio motivazionale, con lo stesso il ricorrente sollecita a questa Suprema Corte
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Pertanto, risalendo i reati contestati al settembre 2003 e all’ottobre 2003, gli

una diversa lettura dei dati processuali non consentita in questa sede di legittimità.
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della
motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando predusa la rilettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr.
vedasi questa Sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).

essere apprezzabile come vizio denundabile, deve essere evidente, doè di spessore tale da risultare percepibile ictu muli, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le
minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche
se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina,
RV. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art. 606
c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né
alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo
rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative
che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al
fine giustificativo del provvedimento. (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca
e altri, rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di
andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E
ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen.
come modificato dalla I. 20.2.2006 n. 46. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto
delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esdusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una
versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto,
da cosa tale illogicità vada desunta.
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Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per

Il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve essere evincibile dal
testo del provvedimento impugnato. Com’è stato rilevato nella citata sentenza
21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”,
cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la noveilata previsione secondo
cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento
impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei
motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte,
che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo

Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo” costituisce invero il riconoscimento normativo della
possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della prova”
che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad
una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in
esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno della decisione.
In altri termini, vi sarà stato “travisamento della prova’ qualora il giudice di
merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste) o su un risultato di
prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato
che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse
dell’imputato). Oppure dovrà essere valutato se c’erano altri elementi di prova
inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma -occorrerà ancora ribadirlo- non spetta comunque a questa Corte Suprema “rivalutare” il modo con cui
quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacché
attraverso la verifica del travisamento della prova.
Per esserci stato “travisamento della prova” occorre che sia stata inserita
nel processo un’informazione rilevante che invece non esiste nel processo oppure
si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia.
In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l’atto che
contiene la prova travisata o omessa.
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere carattere di dedsività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimità
una rivalutazione complessiva delle prove che, come più volte detto, sconfinerebbe nel merito.

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giudice del fatto.

Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Corte,
le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della
Corte d’Appello di Catanzaro alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva
e nemmeno l’assenza di vaglio critico da parte dei giudici di secondo grado denunciata dal ricorrente.

3. Fondati sono, come detto, i motivi di ricorso che assumono

condo grado.
Ed invero, si tratta di tutti fatti contestati con riferimento all’art. 73 co. IV
Dpr. 309/90, norma previgente più favorevole applicabile non solo perché vigente all’epoca del fatto, ma anche perché la Corte Costituzionale con la sentenza n.
32/2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vides ter,
del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 , convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49.
Pacifica è l’applicabilità al caso de quo della più favorevole disciplina in
termine di prescrizione introdotta dalla I. 251.2005 (c.d. legge ex arie»).
Ai sensi dell’art. 10 co. 3 I. 251.2005 se, per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più brevi, come nel caso che ci occupa,
gli stessi si applicano ai procedimenti e ai processi pendenti alla data di entrata
in vigore della presente legge, ad esclusione dei processi già pendenti in primo
grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonché dei
processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di Cassazione.
Nel caso in esame la prima udienza dibattimentale, a seguito del decreto
di citazione dell’11.6.2007, è stata celebrata il 30.10.2007.
La prescrizione massima, pari dunque a sette anni e mezzo, in virtù delle
intervenute interruzioni, va computata a far tempo dalla data di commissione dei
fatti, e cioè dal 3.5.2003 (capo B), 31.12.2001 (capo E), 9.9.2003 (capo l) e
19.10.2003 (capo L).
Non risultando intervenute nel corso del giudizio sospensioni della prescrizione, il termine di prescrizione dei reati de quo è, pertanto, spirato il 3.11.2010
(capo B), il 30.6.2009 (capo E), il 9.3.2011 (capo J) e il 19.4.2011 (capo L), in
ogni caso prima della data (9.5.2013) in cui è intervenuta la sentenza di secondo
grado.

4 Va aggiunto che non appare rilevante la verifica ex adis circa il fatto che
la questione – come sembra evincersi dalla sentenza impugnata- non sia stata
dedotta in appello.
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l’intervenuta prescrizione dei reati in contestazione prima della pronuncia di se-

In proposito si ritiene di condividere l’orientamento ormai maggioritario teso a superare un ormai risalente dictum delle Sezioni unite (Sez. U. n. 23428
del 22.3.2005, Bracale, rv. 231164) – più favorevole all’imputato, per il quale Il
giudice di legittimità può rilevare d’ufficio la prescrizione del reato maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata e non rilevata dal giudice d’appello, pur se non dedotta con il ricorso e nonostante i motivi dello stesso vengano
ritenuti inammissibili (sez. 5, n. 42950 del 17.9.2012, Xhini, rv. 254633; conf.
sez. 4, n. 49817 del 6.11.2012, Cursio ed altri, rv. 254092; sez. 2 n. 38704 del

recente secondo cui tale rilievo può essere operato solo se, a tal fine, non occorra alcuna attività di apprezzamento delle prove finalizzata all’individuazione di un
“dies a quo” diverso da quello indicato nell’imputazione contestata e ritenuto nella sentenza di primo grado (Sez. 2, n. 34891 del 16.5.2013, Vecchia, rv.
256096).
Si ritiene anche che sia ammissibile il ricorso per cassazione proposto
all’esclusivo fine di dedurre la prescrizione dei reato maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata e non rilevata dal giudice d’appello. (sez. 5, n.
47024 dell’11.7.2011, Varone, rv. 251209, fattispecie in cui la prescrizione si era
compiuta oltre sei anni prima dell’inizio del giudizio d’appello; conf. sez. 6, n.
11739 del 21.3.2012, Mazzaro, rv. 252319).
In tal caso, infatti, il giudice di merito, indipendentemente dalla predetta
eccezione della parte, aveva l’obbligo di rilevare d’ufficio l’estinzione del reato
per prescrizione, con la conseguenza che l’omessa declaratoria della predetta
causa estintiva determinerebbe, ove non se ne consentisse l’azionabilità in sede
di legittimità, l’assoggettamento dell’imputato alla condanna e alla correlativa
esecuzione di pena, laddove in presenza della medesima situazione di fatto e di
diritto, l’immediata dichiarazione dell’estinzione del reato comporterebbe che altro imputato si avvalga della prescrizione, con conseguente disparità di trattamento, che determina la violazione del principio costituzionale di uguaglianza
(sez. 5, n. 595 del 16.11.2011 dep. 12.1.2012, Rimauro ed altri, rv. 252666).

Annulla senza rinvio la impugnata sentenza perché i reati sono estinti per
prescrizione.
Così deciso in Roma il 15 maggio 2014
Il bnsigliere estensore

7.7.2009, Ioime, rv. 244809). Condivisibile è anche la precisazione espressa di

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