Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24345 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 24345 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI BARI DANILO N. IL 22/09/1987
avverso la sentenza n. 1055/2013 CORTE APPELLO di ROMA, del
09/07/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Uiro tbWrrt»cot:o
che ha concluso per 20.” ,14,44.020~..e,,,te ce,” Stet”, n 00 OeSte

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Data Udienza: 15/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Roma, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente DI BARI DANILO, con sentenza del 09.07.2013, in parziale riforma della
sentenza emessa dal Tribunale di Roma il 13.11.2012, ritenuta la prevalenza
dell’attenuante di cui all’art. 73 co. 5 DPR 309/90 sulla contestata recidiva, riduceva la pena inflitta ad anni 3 di reclusione ed euro 20.000,00 di multa, revocava
le pene accessorie del divieto di espatrio e del ritiro della patente, applicava la
pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di

Il Giudice di primo grado aveva dichiarato, all’esito di giudizio abbreviato,
Di Bari Danilo colpevole dell’imputata detenzione a fine si spaccio di 4 involucri
contenenti grammi 41 di sostanza stupefacente del tipo cocaina, e, ritenuta
l’ipotesi attenuata di cui al comma V del DPR 30990 equivalente alla recidiva reiterata e infraquinquennale contestata, l’aveva condannato, ridotta la pena per il
rito, alla pena di anni 4 di reclusione ed euro 18.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, con confisca di quanto in sequestro e distruzione
dello stupefacente, divieto di espatrio e ritiro della patente di guida per anni 2.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, con
l’ausilio del proprio difensore, Di Bari Danilo, deducendo il motivo di seguito
enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 63, co.3, cod. pen., dell’art.
73, co. 5 D.P.R. 309/90 e dell’art. 442, co. 2 cod. proc. pen., sotto il profilo della
violazione delle norme riguardanti la corretta determinazione e quantificazione
della pena finale applicata all’imputato.
Evidenzia il ricorrente che la Corte di appello ha accolto il secondo motivo di
appello avverso la sentenza di primo grado, con cui si chiedeva il riconoscimento
della prevalenza della attenuante ad effetto speciale d cui all’art. 73, co. 5 DPR
309/90 nei confronti della recidiva reiterata.
La Cotte in accoglimento di tale motivo ha ridotto la pena originariamente
inflitta (ad anni 3 di reclusione ed euro 20.000,00 di multa), ma avrebbe operato, nella quantificazione finale tre diverse violazioni di legge che avrebbero determinato una pena ben più alta rispetto a quella che si sarebbe dovuta determinare con la rispetto delle norme vigenti.
La riduzione sarebbe stata operata partendo dalla pena base di anni 6 ed C
30.000,00 di multa, pertanto la diminuzione sarebbe stata erroneamente effettuata sulla pena ordinaria prevista dall’art. 73, co. 1 DPR 309/90 e non sulla pena stabilita per la circostanza attenuante ad effetto speciale.

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anni 5, confermava nel resto la sentenza appellata.

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Ancora deduce il ricorrente che la Corte dopo essere erroneamente partita
dalla pena base di 6 anni ed euro 30.000,00 di multa arriverebbe ad una pena
intermedia di 4 anni e 6 mesi e C 20.000,00 di multa come effetto della ritenuta
prevalenza dell’attenuante ad effetto speciale sulla recidiva reiterata.
La diminuzione di pena sarebbe stata riconosciuta, però, in misura inferiore
ad un terzo, anche se nella sentenza per mero errore materiale si legge superiore anziché inferiore. Di conseguenza la diminuzione della pena per il riconoscimento della prevalenza della attenuante ad effetto speciale sarebbe stata fatta in
misura inferiore da un terzo in violazione dell’art. 63, co. 3 cod. pen. che stabilisce come sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento
o una diminuzione della pena superiore a un terzo.
Quindi, a detta dell’imputato, la diminuzione della pena avrebbe dovuto essere quantificata dai 2 anni in su, anziché solamente in un anno e 6 mesi.
In ultimo anche il calcolo della pena pecuniaria sarebbe errato, in quanto la
riduzione di un terzo sulla pena intermedia sarebbe stato operata solo sulla pena
detentiva e non sulla pena pecuniaria.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza con rinvio ad altra sezione
della Corte di Appello di Roma, sul punto esclusivo riguardante la quantificazione
finale della pena, al fine di consentire una corretta e più contenuta determinazione della pena finale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il proposto ricorso è fondato.

2. Sussistono, infatti, i lamentati errori nel computo della pena.
La Corte territoriale, infatti, nel caso che ci occupa ha ritenuto i fatti riconducibili all’ipotesi attenuata – che tal era, pacificamente, al momento
dell’emissione della sentenza (dr. ex plurimis Sez. Unite n. 9148 del 31.5.1991,

IP

Parisi, rv. 187930; conf. sez. 1, n. 496 del 3.2.1992, confl. comp. Pret. e Trib.
Palermo in proc. Di Gaetano, rv. 191131; e, anche dopo le modifiche introdotte
dall’art. 4-bis I. 49/2006, ancora Sez. Unite n. 35737 del 24.6.2010, P.G. in
proc. Rico, rv. 247910; conf. sez. 6 n. 458 del 28.9.2011 dep. 11.1.2012, Khadhraoui Farouk e altro, rv. 251557; sez. 6, n. 13523 del 22.10.2008 deo.
26.3.2009, De Lucia e altri, rv. 243827) – di cui al quinto comma dell’art. 73
Dpr. 309/90.
In riforma della pronuncia del giudice di prime cure, i giudici del gravame
hanno ritenuto la circostanza attenuante di cui al V co. dell’art. 73 Dpr 309/90
prevalente sulla contestata recidiva (il che era legittimo, dopo la pronuncia della

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Corte Costituzionale n. 251/2012 che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3
della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui prevedeva il divieto di
prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, co. 5 Dpr. 309/90, sulla
recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, del codice penale).
Dalla lettura della sentenza si evince che i giudici romani sono partiti da
una pena base di anni 6 di reclusione ed euro 30.000 di multa, che hanno ridotto

“per la prevalenza dell’attenuante ex art. 73 co. 5 citato

° alla pena di anni 4 e

Pare chiaro, in ragione della quantificazione della pena pecuniaria in euro
30.000, che la pena base sopra indicata sia quella dell’allora vigente primo
comma dell’articolo 73 (che prevedeva, senza differenziazione tra droghe “pesanti” e droghe “leggere” la pena da 6 a 20 anni di reclusione e da 26.000 a
260.000 euro di multa) su cui poi è stata operata una diminuzione in virtù del riconosciuto quinto comma prevalente.
Un meccanismo di computo siffatto, è, però, errato.
Il riconoscimento della prevalenza dell’ipotesi attenuata di cui al quinto
comma dell’art. 73 Dpr. 309/90 sulla contestata recidiva avrebbe dovuto comportare l’applicazione di quella che era la pena vigente per il V comma (da 1 a 6
anni di reclusione e da 3000 a 26.000 euro di multa) senza operare ulteriori riduzioni.
E’ proprio la ritenuta prevalenza sulla recidiva, infatti, che consentiva di
irrogare la pena del quinto comma.
Se, invece, la riconosciuta ipotesi attenuata fosse stata ritenuta equivalente alla contestata recidiva si sarebbe dovuto avere come riferimento la pena
del primo comma.
La valutazione che erroneamente i giudici del gravame del merito indicano
di “riduzione superiore ad un terzo”,

laddove la operavano in realtà inferiore, in

relazione alla “tipologia ed entità dello stupefacente”

(41 grammi di cocaina) an-

dava operata per individuare la pena in concreto da irrogare nella “forbice” edittale del quinto comma.

3. L’impugnata sentenza va, dunque, annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma limitatamente alla quantificazione della pena.
E naturalmente il giudice del rinvio dovrà tenere conto, ai fini della valutazione della norma in concreto più favorevole da applicare, oltre che del divieto
di reformatio in peius, dello ius superveniens costituito dalla modifica legislativa
riguardante il quinto comma dell’art. 73 dpr. 309/90 operata con l’articolo 2,
comma 1 lett. a) del D.L. 23.12.2013 n. 146, convertito, senza modifiche sul

mesi sei di reclusione ed euro 20.000 di multa”.

punto, dalla legge 21.2.2014 n. 10 (in G.U. Serie generale n. 43 del 21.2.2014),
dell’intervenuta sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vides ter, del decreto-legge 30
dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 21 febbraio 2006, n. 49 e della nuova legge in materia di stupefacenti in
corso di approvazione allorquando la presente sentenza è stata deliberata e divenuta poi, nelle more della stesura della presente motivazione legge 20 maggio

P.Q.M•
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma limitatamente alla quantificazione della pena.
Così deciso in Roma il 15 maggio 2014
Il n igliere

ensore

Il Presidente

2014, n. 79 (in G.U. 21 maggio 2014, n. 115).

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