Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24344 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 24344 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAPISARDA VINCENZO N. IL 13/05/1952
avverso la sentenza n. 2108/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del
29/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Veto aD‘Arrn1eerki0
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che ha concluso per _e `ez,v
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DEPOSITATA IN en,NCELLERLA

Ud e, per la parte civile, l’Avv

Data Udienza: 15/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Catania, pronunciando nei confronti dell’ odierno
ricorrente RAPISARDA VINCENZO, con sentenza del 29/04/2013 depositata il
08/05/2013, confermava la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Catania Sezione distaccata di Belpasso in data 19/02/2010, con condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Il giudice di prime cure aveva dichiarato l’imputato responsabile del reato
previsto dall’art. 176 D.Lvo. 42/04 (codice dei beni culturali e del paesaggio),

pen., perché, a seguito di perquisizione domiciliare, venivano rinvenuti nella sua
disponibilità, beni antichi e di interesse culturale, condannandolo alla pena di
mesi 6 di redusione e di euro 100,00 di multa, oltre al pagamento delle spese
processuali, con dissequestro dei beni e restituzione alla Sovraintendenza dei
Beni Culturali e Ambientali di Catania. In Belpasso il 14.12.2005.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, con
l’ausilio del proprio difensore, l’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati
nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Violazione dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen.:
Deduce il ricorrente che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto
infondata l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, per mancata correlazione tra accusa e decisione.
Il Giudice di merito ha riqualificato il fatto da ricettazione, come in contestazione, a impossessamento di beni culturali previsto dall’art. 146 D.L.vo 42/04,
ma tale riqualificazione avrebbe costituito una radicale trasformazione della fattispecie concreta che non consentirebbe di rinvenire, tra accusa e decisione, un
nucleo comune identificativo della condotta. E dò avrebbe seriamente compromesso il diritto di difesa.

b. Violazione dell’art.606 lett. e) cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce che per configurarsi il delitto di impossessamento di beni culturali occorrerebbe che i beni, oggetto del reato, fossero qualificati come
tali da un provvedimento amministrativo che ne attestasse la natura.
Tale provvedimento, volto ad accertare l’oggettivo interesse archeologico e
storico, non sarebbe mai stato richiesto.
La Corte di appello avrebbe posto sullo stesso piano un accertamento informale compito dal funzionario della Sovraintendenza e una relazione redatta
dal’organo preposto che avrebbe dovuto pronunciarsi sulla tipologia dei beni.

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così qualificato il fatto per il quale vi era stata l’imputazione ex art. 648 cod.

la prova beni fossero di aspetto antico e, quindi, non vi sarebbe prova che
fossero di interesse culturale o archeologico.
c. Mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Avrebbe errato la corte territoriale nell’affermare che l’imputato non ha fornito “elementi di fattidte che possano insistere sulla condotta in quanto non
spetterebbe all’imputato fornire gli elementi della propria condotta, i quali vengono tratti dall’accertamento processuale svolto e compiuto.
La lieve gravità del fatto, il corretto comportamento processuale e

cessione delle generiche.
d. Violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. in ragione dell’intervenuta
prescrizione.
Il reato avrebbe dovuto ritenersi prescritto.
Sul punto la motivazione sarebbe poco comprensibile ed ambigua perché richiederebbe, secondo l’imputato, la certificazione del tempo dell’illecito da parte
di quest’ultimo.

Chiede, pertanto, l’annullamento dellImpugnata sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I sopra illustrati motivi non sono fondati.

2. Quanto al primo motivo, più volte questa Corte Suprema ha avuto modo di ribadire che la violazione del principio di corrispondenza tra l’imputazione e
la sentenza è ravvisabile solo quando la modifica del fatto e della sua qualificazione giuridica pregiudica le possibilità di difesa dell’imputato. (sez. 2 n. 34969
del 10.5.2013, Caterino ed altri, rv. 257782).
In altra condivisibile pronuncia, che va qui ribadita, si è poi affermato che
nel caso in cui la Corte di appello derubrichi il delitto previsto dall’art. 527 cod.
pen. nella contravvenzione ex art. 726 cod. pen., non vi è alcun obbligo di preventiva informazione all’imputato per consentirgli l’esercizio del diritto al contraddittorio. (sez. 6, n. 24631 del 15.5.2012, Cusumano, rv. 253109, nella cui
motivazione, la Corte ha precisato che la sentenza della Corte EDU 11 dicembre
2007, nel procedimento Drassich c. Italia, impone l’obbligo di informazione
all’imputato solo nei caso in cui il titolo del reato ravvisato sia più grave, per cui
l’imputato venga a subire dalla modifica dell’imputazione conseguenze sfavorevoli).
Sulla scorta di tali principi correttamente il giudice di prime cure ha qualificato il fatto, per cui originariamente all’imputato era stato contestato il reato di

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l’esistenza di precedenti di basso allarme sociale, avrebbero consentito la con-

cui all’art. 648 cod. pen. in relazione al meno grave reato di cui all’art. 176
D.Ivo. 42/2014.
Sul punto aveva già risposto, con motivazione logica e coerente, e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità, la corte territoriale evidenziando come nel caso in esame non si ravvisasse alcuna trasformazione radicale, nei suoi
elementi essenziali, della fattispecie concreta con pregiudizio degli elementi di
difesa tale da pervenire ad incertezza sull’oggetto dell’imputazione.

motivo di appello, la corte territoriale aveva risposto evidenziando come nel caso
in oggetto si trattasse di “beni la cui antiquitas era palesemente di interesse archeologico, come esaustivamente accertato dal rappresentante della Sovraintendenza, indagine che non esige un’indagine tecnico peritale ai fini della loro connotazione”.
La motivazione sul punto e invero alquanto carente.
La questione proposta Mttiene, infatti, alla necessità di un accertamento
peritale, bensì a quella che, per configurarsi il delitto di impossessamento di beni
culturali, occorra o meno che i beni oggetto del reato siano qualificati come tali
da un provvedimento amministrativo che ne attesti tale natura.
Tuttavia, dopo un’iniziale affermazione, ormai risalente nel tempo, secondo cui sussisteva tale necessità (vedasi questa sez. 3, n. 28929 del 27.5.2004,
Mugnaini, rv. 229491), oggi la giurisprudenza di questa Corte Suprema è pacificamente orientata nel ritenere che il reato di impossessamento illecito di beni
culturali (art. 176 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) non richiede, quando si
tratti di beni appartenenti allo Stato, l’accertamento del cosiddetto interesse culturale, né che i medesimi siano qualificati come culturali da un provvedimento
amministrativo, essendo sufficiente che la “culturalità” sia desumibile dalle caratteristiche del bene (sez. 3, n. 41070 dei 7.7.2011, Saccone ed altro, rv. 251295,
fattispecie relativa all’illecito impossessamento di due unguentari, riconosciuti di
interesse archeologico (conf. n. 45814/2001 rv. 220742, n. 47922/2003 rv.
226870, n. 39109/2006 rv. 235410, n. 32198/2007 rv. 237128, n. 35226/2007
rv. 237403).

5. Infondati appaiono il terzo e quarto motivo di ricorso.
Quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche la
corte territoriale, seppure in maniera alquanto scarna, motiva compiutamente.
Va rilevato in proposito che ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, come
più volte ribadito da questa Corte, non è necessario che il giudice prenda in con4

3. Sul secondo motivo di ricorso, che costituisce la riproposizione di un

siderazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o
comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione. (così questa sez. 3, n. 23055 del 23.4.2013, Banic e altro, rv. 256172,
fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti
dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
Quanto alla prescrizione, la stessa non era maturata all’atto della pronun-

Il delitto di cui all’art. 176 D.L. 42/2004 sanziona, infatti, chiunque si impossessa di beni culturali indicati nell’articolo 10 appartenenti allo Stato ai sensi
dell’articolo 91 con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 31 a euro
516,50.
Si tratta, dunque, di un delitto la cui prescrizione massima, a seguito degli intervenuti atti interruttivi, interviene dopo sette anni e mezzo dai fatti che
sono stati accertati il 14.12.2005.
Ai fini del computo della prescrizione, tuttavia, occorre computare anche
un periodo complessivo di mesi 5 e gg. 1 di sospensione della stessa in ragione
dei seguenti rinvii, avvenuti in secondo grado, su istanza della difesa:
• dal 23.11.2012 al 28.1.2013 per legittimo impedimento del difensore
per motivi di salute (60 gg.)
• dal 28.1.2013 al 29.4.2013 (3 mesi e 1 gg)
Il reato, in contestazione, dunque, alla data in cui è stata pronunciata la
sentenza di appello (29.4.2013) non era prescritto in quanto la prescrizione sarebbe maturata il 15.11.2013.

6. In ragione della non manifesta infondatezza dei motivi di ricorso questa
Corte di legittimità deve, però, prendere atto che il termine massimo di prescrizione ad oggi è decorso.
S’impone pertanto l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza per
essersi il reato ascritto all’odierno ricorrenti estinto per intervenuta prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la impugnata sentenza perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma il 15 maggio 2014.

cia di secondo grado.

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