Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24342 del 14/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 24342 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIZZA CLAUDIO N. IL 28/04/1947
avverso la sentenza n. 3388/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 06/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ge4′-eks2f2e 1-(0.22_,Dttq
che ha concluso per .e’emck~~te oesi2.
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Udito, • la parte civile, l’Avv
dit i difensor Avv.

L

Data Udienza: 14/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Palermo, pronunciando nei confronti dell’odierno ri-

corrente RIZZA CLAUDIO, con sentenza del 06.11.2013, depositata in data
14.11.2013, confermava la sentenza del Tribunale di Sciacca del 27.10.2011,
condannandolo al pagamento delle spese processuali.
Il Tribunale di Sciacca aveva dichiarato l’imputato colpevole, unitamente al
coimputato Spinelli Girolamo, nella qualità di proprietario e committente il Rizza,
dei reati previsti dagli artt. 44 lett. b), 93, 94 e 95 DPR 380/01 per aver realizzametri quadri 180, con copertura a tre falde inclinate, in assenza della prescritta
concessione di legge e in violazione della normativa antisismica,fatto accertato in
Ribera il 16 luglio 2008.
Ritenuta la continuazione, il giudice di primo grado aveva condannato gli
imputati alla pena di mesi 1 giorni 10 di arresto ed C 11.000 di ammenda ciascuno, con ordine di demolizione delle opere abusive concessione ad entrambi
del beneficio della sospensione condizionale della pena.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, con

l’ausilio del proprio difensore, il Rizza, deducendo i motivi di seguito enunciati nei
limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• violazione art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.: carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione rispetto alla realtà processuale e,
in particolare, rispetto ai fatti accertati nei capi non impugnati dalla sentenza di
primo grado – violazione ex art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. inosservanza degli artt 521, 522 cod. proc. pen.
Deduce il ricorrente che la Corte di Appello non avrebbe risposto alle censure mosse alla sentenza di primo grado, fornendo una ricostruzione dei fatti diversa da quella operata dal giudice di primo grado, travisando gli atti processuali,

to nel fondo di sua proprietà un fabbricato a piano terra in conci di tufo di circa

con una motivazione apodittica e manifestamente illogica.
La sentenza impugnata pur confermando la pena della sentenza di primo
grado, non costituirebbe, in tal senso, una pronuncia conforme alla stessa.
Inoltre nel tentativo di rispondere alle censure di appello, la Corte territoriale avrebbe richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo Giudice, nella specie l’istanza di sanatoria presentata dall’imputato.
Evidenzia il ricorrente che, mentre il Giudice di primo grado avrebbe ritenuto
committente delle opere Spinelli, suocero dell’odierno imputato, il giudice di appello avrebbe, invece, ritenuto che l’effettivo committente fosse il Rizza.

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In sostanza ci si duole che la sentenza impugnata, pur dichiarando di confermare pienamente la sentenza di primo grado, in realtà confliggerebbe nettamente con il suo impianto motivazionale e con i fatti in essa accertati, che
avrebbero raggiunto l’autorità di cosa giudicata nei confronti del coimputato Spinelli.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla
Corte di Appello di Palermo.

I. il ricorso è manifestamente infondato e ne va pertanto dichiarata l’i-

nammissibilità.

2. Quello che viene rubricato, nei motivi di ricorso, alternativamente, co-

me vizio motivazionale ovvero come violazione di legge in relazione agli articoli
521 e 522 cod. proc. pen., in realtà è una sollecitazione a questa Corte Suprema
a rivalutare in maniera diversa elementi di fatto che hanno costituito oggetto del
giudizio di merito, il che non è in questa sede consentito.
I motivi dedotti, perciò, non paiono idonei a scalfire l’impianto motivazionale della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale affronta, con argomentazioni esaustive e logicamente plausibili, le questioni propostele.
Va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva
tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr.
vedasi questa Sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del
6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione
per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di

CONSIDERATO IN DIRITTO

spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità
al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti
le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che,
anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni
del convincimento (Sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del
24.11.1999, Spina, RV. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art.
606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito,

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i

ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà
della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (sez. 2, n. 21644 del
13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.

di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali.
E ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc.
pen. come modificato dalla I. 20.2.2006 n. 46. Il giudice di legittimità non può
procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del
contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via
esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una
versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto
della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
Il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve essere evincibile
dal testo del provvedimento impugnato. Com’è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione
secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché specificamente
indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di
questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in
un ennesimo giudice del fatto.
Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo” costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della
prova” che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove),
prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno
della decisione.
In altri termini, vi sarà stato “travisamento della prova” qualora il giudice
di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad
esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste) o su un risulta4

Non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità

to di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse
dell’imputato). Oppure dovrà essere valutato se c’erano altri elementi di prova
inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma -occorrerà ancora ribadirlo- non spetta comunque a questa Corte Suprema “rivalutare” il modo con
cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacché attraverso la verifica del travisamento della prova.
Per esserci stato “travisamento della prova” occorre che sia stata inserita
si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia.
In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l’atto
che contiene la prova travisata o omessa.
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere
carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che, come più volte detto, sconfinerebbe nel merito.
3. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa
Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Palermo alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
Invero, non si rileva la lamentata contraddittorietà tra la sentenza di secondo grado e quella di primo.
Il primo giudice ha condannato il ricorrente proprio sul presupposto che lo
stesso era direttamente responsabile della realizzazione del fabbricato e che la
dichiarazione che il committente sarebbe stato il suocero coimputato sarebbe
avvenuta al solo fine di esonerarsi di responsabilità.
È pur vero infatti che nella sentenza di primo grado si legge che il committente dell’opera era Spinelli Girolamo, suocero di Rizza Claudio proprietario
del fondo, come emerge dalla dichiarazione dello stesso.
Tuttavia lo stesso giudice di primo grado, dopo avere ricordato la giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo cui la mera qualità di proprietario
non è da sola sufficiente per ritenere la responsabilità dello stesso in ordine ai
reati edilizi dal momento che l’autore degli stessi è colui che realizza le opere
edilizie in assenza di concessione edilizia e di autorizzazione a fini sismici, perveniva all’affermazione di responsabilità del Rizza sulla considerazione che egli non
era estraneo all’attività edificatoria posta in essere in quanto abitava nei pressi
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nel processo un’informazione rilevante che invece non esiste nel processo oppure

del fondo sul quale è stato realizzato il manufatto abusivo e quindi era a conoscenza dell’intervenuta edificazione dello stesso, avendo la disponibilità giuridica
e di fatto del terreno, tant’è che proprio lui era intervenuto all’atto del controllo
della polizia municipale.
Già si evidenziava, dunque, da parte dl giudice di prime cure, che non vi
erano elementi contrari che deponessero per una sua estraneità alla condotta
criminosa, atteso che tali elementi non potevano rinvenirsi nella dichiarazione
che lui stesso aveva fatto, evidentemente per discolparsi, indicando il suocero

Nel solco di tale pronuncia la Corte d’appello, a pag.4 del provvedimento
impugnato, offre una motivazione che appare logica, congrua e coerente,e quindi
immune dai denunciati vizi di legittimità.
Va solo aggiunto che la valutazione dell’istanza di sanatoria competeva
evidentemente al giudice di secondo grado che, nel momento in cui è stato sollecitato alla rivalutazione nel merito dei gatti, con la richiesta assoluzione da parte
dell’imputato, ben poteva valutare l’intero compendio probatorio, indipendentemente dal fatto che il giudice di primo grado avesse dato conto di questo o di
quell’elemento in sentenza, con l’unico limite, evidentemente, del divieto di “reformati° in peius”, sancito dall’art. 597, comma terzo cod. proc. pen..

4. Va rilevato che i fatti risalgono al 16/7/2008 e il termine di prescrizione
massimo dei reati in contestazione, in virtù delle intervenute interruzioni, era di
cinque anni, scadenti il 16/7/2013.
Occorre computare, tuttavia, i seguenti periodi di sospensione della prescrizione:
In primo grado:
• dal 16/11/2010 alla 25/1/2011 (mesi due e giorni nove per rinvio a seguito di istanza del difensore del Rizza).
• dal 26/5/ 2011 al 27/10/2011 per impedimento dell’imputato (gg. 3 di
prognosi + gg. 60 = gg. 63).
In secondo grado:
• dal 17/7/2013 al 6/11/2013 per impedimento per concomitante impegno professionale (mesi 3 e gg. 20)
Tenuto conto di un periodo complessivo di sospensione della prescrizione
di mesi 8 e gg. 1 la sentenza di secondo grado è perciò intervenuta ad una data
(6.11.2013) in cui la prescrizione non era ancora maturata.
Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della
prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della
manifesta infondatezza del ricorso.
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spinelli come il committente dell’opera.

La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che
l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza
dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità
a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (Sez. Un., 22 novembre 2000, n. 32, De
Luca, rv. 217266: nella specie la prescrizione del reato era maturata
successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2
marzo 2005, n. 23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n.
rv. 256463).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle
Ammende
Così deciso in Roma il 14 maggio 2014
Il onsigliere e
cenz

nsore
ella

Il Presi

te

Alfredo

esi

19601, Niccoli, rv. 239400; in ultimo Cass. pen. Sez. 2, n. 28848 dell’8.5.2013,

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