Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24333 del 13/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 24333 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SOSTER ANTONIO N. IL 02/01/1960
SOSTER VITTORIO N. IL 30/01/1954
avverso la sentenza n. 207/2009 TRIBUNALE di VICENZA, del
12/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. A • (99 2-0.tro
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 13/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Vicenza, con sentenza del 12.10.2012 ha riconosciuto la
responsabilità penale di

Antonio SOSTER

e Vittorio SOSTER,

che ha

condannato alla pena dell’ammenda, per la contravvenzione di cui all’art. 137,
comma 1 d.lgs. 152\06 perché, nelle rispettive qualità di amministratori e legali

essere in possesso delle prescritte autorizzazioni, effettuavano lo scarico di
acque reflue industriali provenienti dall’attività di caseificio con recapito nella
fognatura bianca ed in acque superficiali (in Monteviale, accertato il 3.3.2008).
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente appello,
convertito in ricorso per cassazione.

2. Con un primo motivo di impugnazione lamentano che il Tribunale sarebbe
pervenuto all’affermazione di responsabilità, escludendo peraltro la sussistenza
del caso fortuito, sulla base di un’errata interpretazione delle risultanze
probatorie e, segnatamente, delle dichiarazioni testimoniali e delle produzioni
documentali.

3. Con un secondo motivo di impugnazione rilevano, invece, la eccessività
della pena, considerata la modesta entità del fatto e la pronta riparazione
dell’impianto e dell’importo liquidato in favore della parte civile costituita per il
danno subito e le spese sostenute nel grado di giudizio.
Entrambi insistono, pertanto, per l’accoglimento dell’impugnazione.
In data 2.5.2014 il difensore degli imputati ha depositato memoria con la
quale, oltre a ribadire quanto già dedotto con l’impugnazione, fa rilevare
l’intervenuta prescrizione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. L’impugnazione è inammissibile.
Occorre preliminarmente osservare che la giurisprudenza consolidata di
questa Corte, che il Collegio condivide, ha chiaramente precisato che qualora un
provvedimento giurisdizionale sia impugnato con un mezzo di gravame diverso
da quello legislativamente stabilito, il giudice che riceve l’atto di gravame deve

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rappresentanti della «SOSTER Paolo e C. s.n.c.» e della «SOSTER s.r.I.», senza

limitarsi, secondo quanto stabilito dall’art. 568, comma quinto cod. proc. pen.,
alla verifica dell’oggettiva impugnabilità del provvedimento e dell’esistenza della
volontà di impugnare, intesa come proposito di sottoporre l’atto impugnato a
sindacato giurisdizionale e, conseguentemente, trasmettere gli atti al giudice
competente astenendosi dall’esame dei motivi al fine di verificare, in concreto, la
possibilità della conversione (Sez. I n. 33782, 2 agosto 2013; Sez. V n. 21581, 25
maggio 2009; Sez. III n. 19980, 12 maggio 2009; Sez. III n.2469, 17 gennaio
2008; Sez. IV n. 5291, 10 febbraio 2004; Sez. V n. 27644, 26 giugno 2003; Sez. IV

marzo 2003; Sez. III n.17474, 9 maggio 2002 SS. UU. n. 45371, 20 dicembre
2001).
Ciò è avvenuto nel caso in esame, conformemente al richiamato principio.
Si è peraltro affermato che l’istituto della conversione della impugnazione
previsto dall’art.568, comma 5, cod. proc. pen., ispirato al principio di
conservazione degli atti, determina unicamente l’automatico trasferimento del
procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo
le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio
di impugnazione correttamente qualificato. Pertanto, l’atto convertito deve avere
i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe
dovuto essere proposta (Sez. I n. 2846, 9 luglio 1999. V. anche ex pl. Sez. III n.
26905, 16 giugno 2004; Sez. IV n. 5291, 10 febbraio 2004).

6. Date tali premesse, deve rilevarsi che l’impugnazione proposta non
supera comunque la soglia dell’ammissibilità in ragione dei suoi contenuti,
difettando di quei requisiti di sostanza e forma richiesti per il ricorso in
cassazione e dei quali si è detto in precedenza.

7. In particolare, per ciò che concerne il primo motivo di impugnazione, deve
rilevarsi che lo stesso, nel prospettare l’erronea valutazione, da parte del giudice,
delle risultanze dell’istruzione dibattimentale, risulta articolato interamente con
richiami ad atti del procedimento non accessibili a questo giudice di legittimità,
proponendo, di fatto, una nuova ed alternativa lettura del compendio probatorio
pure preclusa in questa sede.
Tale evenienza determina, di per sé, l’inammissibilità del motivo di ricorso.
Va comunque rilevato che, in ogni caso, la motivazione del provvedimento
impugnato risulta del tutto scevra da cedimenti logici o manifeste contraddizioni
che consentano, nei limiti del giudizio di legittimità, di censurare il percorso
argomentativo seguito dal Tribunale per giustificare la condanna.
Il giudice del merito ha infatti posto in rilevo gli esiti di un accertamento

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n.17374, 14 aprile 2003; Sez. Il n.14826, 28 marzo 2003; Sez. Il n. 12828, 19

svolto dal personale dell’ARPAV per la presenza di chiari segni di inquinamento di
un corso d’acqua superficiale (il torrente Battibò) rappresentati dalla colorazione
biancastra e dall’odore di «grasso irrancidito» e documentati con fotografie
acquisite agli atti.
Individuata l’origine del fenomeno nello stabilimento degli imputati, il
successivo sopralluogo evidenziava la presenza di due scarichi non autorizzati e
gli esiti dello stesso sono stati puntualmente analizzati dal Tribunale,
considerando le dichiarazioni rese dai verbalizzanti e da un dipendente

Il Tribunale non manca inoltre di considerare, in modo altrettanto puntuale,
la questione sollevata dalla difesa e concernente la possibile sussistenza, con
riferimento ad uno dei due scarichi, del caso fortuito, perché lo sversamento di
reflui non depurati nella condotta delle acque meteoriche sarebbe stato
determinato dalla rottura delle tubazioni conducenti all’impianto di depurazione,
conseguente all’eccessivo calore dei reflui immessi.
Osserva a tale proposito il giudice del merito – considerando anche i lavori di
adeguamento, successivamente effettuati mediante sostituzione delle tubature
in PVC con altre, più resistenti, in gres ceramicato, precedute da una vasca in
acciaio per il preventivo raffreddamento – che l’evento verificatosi era comunque
conseguenza della mancata considerazione, da parte dei prevenuti, delle
temperature dei reflui scaricati.
Si tratta di argomentazioni del tutto logiche e giuridicamente corrette.

8. Invero, il caso fortuito è rappresentato da un avvenimento non previsto e
non prevedibile che si inserisce d’improvviso nell’azione di un soggetto, cosicché
in nessun modo, neppure a titolo di colpa, lo stesso possa essere ricondotto
all’attività psichica del soggetto medesimo.
Va a tale proposito ricordato che, con riferimento a fenomeni di
inquinamento addebitabili ad inconvenienti di natura tecnica, la giurisprudenza di
questa Corte ha escluso l’applicabilità dell’articolo 45 cod. pen. con riferimento
alla rottura di un tubo (Sez. III n. 11410, 7 ottobre 1999; Sez. III n. 5863 del 10
maggio 1999; Sez. III n. 6954, 9 luglio1996), al guasto ad una pompa che
determini il cattivo funzionamento di impianti di depurazione (Sez. III n. 7497, 12
luglio 1991), alla rottura di una guarnizione o alla mancanza di energia (Sez. III n.
3954, 12 aprile 1995), alla bruciatura di una resistenza (Sez. V n. 9134, 11
settembre 1991), alla corrosione di canalette di adduzione dei reflui conseguente
all’acidità dei reflui medesimi (Sez. III n. 1814, 12 febbraio 1998), all’intasamento
di un depuratore per la presenza di scorie all’interno (Sez. III n. 10153, 26
settembre 1998) ed al piegamento di un tubo destinato ad immettere

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dell’azienda controllata, nonché i contenuti della documentazione prodotta.

nell’impianto sostanze atte all’abbattimento dei valori di determinati inquinanti
(Sez. III n. 1054, 14 gennaio 2003). L’insussistenza del caso fortuito è stata
ritenuta anche qualora il guasto si sia verificato su impianto che in precedenza
non aveva mai manifestato inconvenienti tecnici (Sez. III n. 5050, 24 aprile
1987).
Tali principi, formulati sotto la vigenza delle disposizioni in materia di
inquinamento idrico che hanno preceduto quelle ora contemplate dal d.lgs.

9. Può pertanto nuovamente affermarsi il

principio, secondo il quale, il

caso fortuito e la forza maggiore hanno, quale, fondamento, la
eccezionalità del fatto e la imprevedibilità dello stesso e, in materia di
inquinamento idrico, tali evenienze non sono ravvisabili nel verificarsi
della rottura di un a condotta che determini la fuoriuscita dei reflui,
trattandosi di accadimento che, sebbene eccezionale, ben può, in
concreto, essere previsto ed evitato.

10.

Nella fattispecie, la prevedibilità dell’evento era evidente, ben

conoscendo gli imputati le caratteristiche dei reflui scaricati, come osservato dal
Tribunale ed essendo costoro evidentemente venuti meno ad elementari regole
di prudenza e diligenza.
Va infine rilevato che, come emerge dalla sentenza impugnata, il Tribunale
risulta aver accertato, all’esito dell’istruzione dibattimentale, attraverso l’esame
delle produzioni documentali e, segnatamente, dei contenuti dei titoli abilitativi
prodotti, che gli scarichi oggetto dell’imputazione non potevano ritenersi
debitamente autorizzati.

11.

La sentenza impugnata risulta, pertanto, immune da censure ed

altrettanto deve dirsi per ciò che concerne la quantificazione della pena, oggetto
di doglianza nel secondo motivo di impugnazione.
Il giudice ha infatti richiamato i criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen. e,
posta in evidenza l’entità del fenomeno riscontrato, ha determinato la sanzione
previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima
estensione in considerazione della pronta rimessione in pristino dello scarico.
Tali argomentazioni risultano del tutto sufficienti a giustificare il corretto
esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena e dei criteri di
valutazione fissati dall’articolo 133 cod. pen., non essendo richiesto al giudice di
procedere ad una analitica valutazione di ogni singolo elemento esaminato, ben
potendo assolvere adeguatamente all’obbligo di motivazione limitandosi anche

4

152\06, sono tuttora validi e vanno pienamente condivisi.

ad indicarne solo alcuni o quello ritenuto prevalente (v. Sez. Il n. 12749, 26 marzo
2008).

12. Del tutto generica risulta infine, la doglianza in ordine al riconosciuto
diritto al risarcimento del danno (quantificato in euro 800,00) ed alla rifusione
delle spese in favore della costituita parte civile (quantificate in euro 1.800,00,
oltre ad accessori di legge), essendosi limitati i ricorrenti a lamentare
l’eccessività degli importi liquidati richiamando le medesime ragioni illustrate in

13. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla
declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile
a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere
delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della
Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00,
nonché alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio in favore della parte
civile.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei
motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e,
pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui
all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more
del procedimento di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. Il n.28848, 8 luglio 2013).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende, nonché della somma di euro 1.500,00 oltre ad accessori di
legge in favore della parte civile.
Così deciso in data 13.5.2014

punto di determinazione della pena, senza null’altro aggiungere.

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