Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24331 del 13/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 24331 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Sorgente Salvatore Tiziano, nato a Catanzaro il
23.5.1969;
avverso la sentenza emessa il 13 giugno 2013 dalla corte d’appello di Roma;
udita nella pubblica udienza del 13 maggio 2014 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Aldo Policastro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Svolgimento de/processo
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Roma confermò la sentenza emessa il 17.1.2011 dal giudice del tribunale di Roma, che aveva dichiarato
Sorgente Salvatore Tiziano colpevole del reato di cui all’art. 44, lett. b), d.p.R. 6
giugno 2001, n. 380, per avere senza permesso di costruire realizzato nel suo
giardino un veranda in legno di mq 12, in comunicazione con l’appartamento
mediante l’apertura della parete e l’eliminazione della finestra, e lo aveva condannato alla pena di mesi due di arresto ed € 5.200,00 di ammenda, con l’ordine
di demolizione e la sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione.
L’imputato, a mezzo dell’avv. Cesare Placanica, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione dell’art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, e mancanza
di motivazione. Lamenta che erroneamente e con carenza di motivazione la sentenza impugnata ha escluso che l’opera, di modestissime dimensioni e di facile
amovibilità, avesse natura di pertinenza, soggetta alla sola denunzia di inizio attività.

ip

Data Udienza: 13/05/2014

2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione
I motivi di ricorso si risolvono in censure in punto di fatto della decisione
impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede
di legittimità, e sono comunque manifestamente infondati avendo la corte d’appello fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sia sulle ragioni per le
quali ha escluso la natura pertinenziale dell’opera abusiva sia sull’esercizio del
proprio potere discrezionale in ordine alla determinazione della pena, ivi compreso il diniego delle attenuanti generiche.
Sotto il primo profilo, invero, la sentenza impugnata, facendo corretta applicazione dei principi di diritto affermati in materia di pertinenze edilizie, ha
correttamente escluso il carattere pertinenziale del manufatto de quo avendo accertato la oggettiva sua destinazione ad esigenze abitative di natura non temporanea e la sua incisione sullo stato dei luoghi. E’ poi pacifica l’irrilevanza del
fatto che il manufatto sia o meno amovibile.
Sotto il secondo profilo, la corte d’appello ha plausibilmente negato la concessione delle attenuanti generiche in considerazione della modalità del fatto,
che dimostrano il dispregio per il rispetto delle leggi.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
Essendo il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, la
circostanza che la prescrizione del reato sia maturata in una data successiva a
quella in cui è stata emessa la sentenza impugnata, è del tutto irrilevante perché,
a causa della inammissibilità del ricorso non si è formato un valido rapporto di
impugnazione il che preclude a questa Corte la possibilità di rilevare e dichiarare le eventuali cause di estinzione del reato, ivi compresa la prescrizione, verificatesi in data posteriore alla pronuncia della decisione impugnata (Sez. Un., 22
novembre 2000, De Luca, m. 217.266; giur. costante).
In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare
in € 1.000,00.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 13
maggio 2014.

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