Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24326 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 24326 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Mele Bonifacio, n. a Burgos il 20/01/1928;
Canu Raimonda Antonia, n. a Burgos il 12/06/1937;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari in data 06/05/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale F. Baldi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.Mele Bonifacio e Canu Raimonda Antonia hanno proposto ricorso per
cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari con cui,
riformando la sentenza assolutoria del Tribunale di Oristano, la stessa li ha
condannati per il reato di cui all’art.11 del d.lgs. n. 74 del 2000 loro
rispettivamente ascritto in relazione all’alienazione simulata di numerosi immobili
in favore dei figli al fine di sottrarsi al pagamento di numerose cartelle
esattoriali notificate con riguardo a tributi iscritti a ruolo.

Data Udienza: 17/04/2014

2. Con un primo ed un secondo motivo, deducendo rispettivamente la violazione
dell’art. 11 cit. e dell’art. 530, comma 2, c.p.p., lamentano l’assoluta mancanza
dei presupposti ed elementi costitutivi del reato loro contestato.
Segnatamente contestano la natura simulata degli atti di vendita posti in essere
il 04/07/2006 da Mele Bonifacio e il 07/07/2006 da Canu Raimonda Antonia

che, se realmente vi fosse stata l’intenzione di spogliarsi del patrimonio, la
compravendita avrebbe riguardato anche beni immobili poi invece aggrediti da
Equitalia Sardegna; inoltre evidenziano di avere in più occasioni, in sede di
contenzioso tributario, ottenuto l’accoglimento delle istanze proposte avverso gli
accertamenti tributari loro rivolti, nonché la distanza di molti anni intercorsa tra
la notifica delle cartelle esattoriali e le alienazioni in oggetto. Con riguardo
specificamente alla motivazione della sentenza impugnata sul punto della
simulazione evidenziano poi l’apoditticità dell’affermazione della Corte secondo
cui non sarebbe stata necessaria una perizia per accertare che il prezzo di
vendita praticato da Mele era molto al di sotto del valore di mercato dei beni.
Con un terzo motivo contestano, sempre con riferimento alla motivazione resa,
l’avvenuta valorizzazione, da parte della Corte, della mancata allegazione delle
modalità di pagamento dei beni compravenduti essendo onere della Pubblica
accusa provare la condotta fraudolenta, e non vigendo, all’epoca, alcun obbligo
di rendere in sede di rogito apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà
recante l’indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo; ciò
tanto più essendosi svolto il processo nelle forme del rito abbreviato ex art. 438
c.p.p.
Con un ultimo motivo lamentano infine l’eccessiva entità delle pene irrogate e la
mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto della
condotta processuale attivamente esplicatasi attraverso la produzione
documentale effettuata in sede di rito abbreviato condizionato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I primi tre motivi, tutti volti a contestare, nella sostanza, la motivazione resa
dai giudici di appello sul punto della sussistenza degli elementi costitutivi del
reato contestato, sono inammissibili mirando gli stessi, in realtà, a fronte di
motivazione che ha tenuto conto dell’onere di una argomentazione “rafforzata”

nonché la mancanza, nella specie, del dolo specifico richiesto dalla norma, posto

onde pervenire a riformare l’esito assolutorio del primo grado (cfr., da ultimo,
Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo e altri, Rv. 256869), ed in linea anche
con legge processuale, ad ottenere da questa Corte una rinnovata e non
consentita valutazione del compendio probatorio.
La Corte cagliaritana, preso atto che la sentenza del Tribunale, pur a fronte della
situazione debitoria degli imputati e dei dubbi sulla genuinità degli atti di

a ritenere mancante la prova certa dell’intento fraudolento, ha correttamente
valorizzato due elementi, non considerati dal Tribunale, e ritenuti decisivi,
invece, su un piano logico, dalla stessa Corte, nel senso della sussistenza del
reato.
Da un lato, ha evidenziato, con riguardo ad entrambi gli atti di compravendita,
l’irrisorietà del prezzo convenuto (50.000 euro a fronte di ben trentadue beni
immobili, tra cui terreni di notevolissime dimensioni, per Mele Bonifacio, e
10.000 euro a fronte di terreni siti in zona agricola primaria per attività
produttiva estesi per diversi ettari per Canu Raimonda), di gran lunga inferiore,
in maniera così evidente da non richiedere alcun accertamento di carattere
tecnico, al prezzo corrente di mercato e, dall’altro, ha considerato la mancata
allegazione, da parte degli imputati, di una qualsivoglia indicazione in ordine alle
modalità di pagamento, quale circostanza significativa, ove riscontrata,
dell’effettivo passaggio di denaro e, dunque, della genuinità delle compravendite
intervenute.
Ora, esclusa ogni apprezzabilità di deduzioni congetturali contenute in ricorso
(quale quella della non avvenuta alienazione di altri beni come sintomo di
mancanza di dolo), una tale motivazione, fondata sugli elementi oggettivi
incontroversi dell’importo del prezzo convenuto e della mancata risultanza delle
modalità di pagamento, è stata essenzialmente contestata dal ricorrente quanto
al raffronto effettuato tra detto importo e valore dei beni apparentemente
trasferiti, da un lato, necessitante, secondo detta prospettazione, di una perizia,
e quanto alla attribuzione ai ricorrenti di un indebito onere probatorio, dall’altro.
In ordine al primo aspetto, tuttavia, una volta correttamente evidenziato da
parte della Corte, il dato oggettivo, non contestato neppure dai ricorrenti,
dell’entità e delle dimensioni dei compendi immobiliari, la confutazione della
ritenuta irrisorietà, a fronte di essi, del prezzo di 50.000 e 10.000 euro
(anch’esso non contestato), viene a risolversi, come già precisato sopra, in una
confutazione, non consentita, della attività valutativa della prova che, ove non
affetta, come nella specie, da manifeste illogicità, resta insindacabile.

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compravendita giacché intervenuti in favore di prossimi congiunti, era pervenuta

Né è richiesta, ai predetti fini valutativi, una perizia laddove l’apprezzamento da
parte del giudice di merito riguardi un dato che, per la sua macroscopica
evidenza, risultante sulla base di dati di comune esperienza, può legittimamente
essere valorizzato a prescindere da un previo accertamento di carattere tecnico.
Quanto poi al secondo aspetto, va ribadito che nell’ ordinamento processuale
penale, seppure non sia previsto un onere probatorio a carico dell’ imputato,

onere di allegazione, in virtù del quale l’ imputato è tenuto a fornire all’ufficio le
indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti
che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore (tra le altre,
Sez.2, n. 20171 del 07/02/2013, Weng e altro, Rv. 255916).
Correttamente, dunque, la Corte cagliaritana ha evidenziato, in connessione con
il profilo della simulazione, la mancata allegazione, pur da parte di chi aveva
richiesto ed ottenuto il rito abbreviato condizionato alla acquisizione di
documenti (sì che non è affatto esatta, tra l’altro, la deduzione di una pretesa
incompatibilità con il rito seguito, del ragionamento svolto dalla Corte), delle
indicazioni delle modalità di pagamento relative agli atti di compravendita
intervenuti, da ciò traendo, legittimamente, un ulteriore segno probatorio,
pretermesso in primo grado, della natura fraudolenta della condotta.

4. Anche il quarto motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.
Infatti, premessa la non valorizzabilità di alcun elemento favorevole ai fini del
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in consonanza col principio
per cui si richiede a tal fine, appunto, la dimostrazione di elementi di segno
positivo (da ultimo, Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo, Rv. 252900), la
Corte ha, quanto alla pena, già contenuto la medesima nei minimi edittali per
quanto concernente Mele, mentre ha correttamente irrogato una pena più alta
per Canu Raimonda giacché gravata da una condanna per altro reato sempre in
materia tributaria.
Né il mero esercizio del diritto alla prova (tale essendo la produzione
documentale effettuata in sede di rito abbreviato condizionato invocata dai
ricorrenti quale segno di positiva condotta processuale) può dare luogo, in
astratto, così come prospettato in ricorso, al riconoscimento delle invocate
attenuanti generiche.

5. Il ricorso è, dunque, inammissibile, senza che, nella specie, possa rilevare
l’intervenuta, in data 04/01/2014, prescrizione dei reati. Infatti, come da
costante indirizzo di questa Corte, l’inammissibilità del ricorso per cassazione
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modellato sui principi propri del processo civile, è, tuttavia, prospettabile un

non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude,
pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità di cui
all’art. 129 c.p.p. (Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266).

6.

L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna di ciascun ricorrente al

pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma il 17 aprile 2014

Il Presidente

Cassa delle ammende.

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