Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24321 del 09/04/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 24321 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da

CORDARO Marcello, nato a Piazza Armerina il 19/4/1953
avverso la sentenza del 31/5/2012 della Corte di appello di Caltanissetta, che ha
confermato la sentenza del 26/10/2010 del Tribunale di Enna con la q uale il si g .
Cordaro, previa assoluzione dal reato sub A (art.51 del decreto le g islativo, n.22
del 1997) è stato condannato alla pena di tre mesi di arresto e 20.000,00 euro
di ammenda perché colpevole del reato continuato previsto da g li artt.181 del
d.l g s. 22 g ennaio 2004, n.42, 20, lett.b), della le gg e n.47 del 1985 (ora art.44,
lett.b, del d.P.R. 6 g iu g no 2001, n.380), 17-18 della le gg e n.64 del 1974 (ora
att.93-95 del d.P.R. 6 g iu g no 2001, n.380), 4 e 14 della le gg e 1086 del 1971
(ora artt.65-72 del d.P.R. 6 g iu g no 2001, n.380), accertato 19/12/2005;
visti g li atti, il provvedimento impu g nato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consi g liere Lui g i Marini ;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

g enerale,

Gioacchino Izzo, che ha concluso chiederido annullarsi la sentenza senza rinvio
per essere i reati estinti per prescrizione;
udito per l’imputato l’avv. Patrizia Di Mattia, che ha concluso chiedendo
acco g liersi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 09/04/2014

1. Con sentenza del 31/5/2012 la Corte di appello di Caltanissetta ha
confermato la sentenza del 26/10/2010 del Tribunale di Enna con la quale il sig.
Cordaro è stato condannato alla pena di tre mesi di arresto e 20.000,00 euro di
ammenda perché colpevole del reato continuato previsto dagli artt.181 del d.lgs.
22 gennaio 2004, n.42, art.20, lett.b), della legge n.47 del 1985 (ora art.44,
lett.b, del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380), artt.17-18 della legge n.64 del 1974
(ora att.93-95 del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380), artt.4 e 14 della legge 1086 del
1971 (ora artt.65-72 del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380), accertato 19/12/2005.
Avverso tale decisione il sig. Cordaro propone ricorso in sintesi

lamentando:
a.

Errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. con riferimento al
regime della prescrizione dei reati: erroneamente i giudici di merito hanno
fatto decorrere il termine prescrizionale dalla data del sequestro, posto che le
contravvenzioni in materia di abusiva o irregolare edificazione si perfezionano
al momento del completamento delle opere; inoltre la datazione delle opere
si colloca nella primavera dell’anno 2004, come dimostrato mediante la
produzione della istanza di sanatoria (depositata 1’8/5/2007) e le
dichiarazioni del ricorrente, elementi sui quali la Corte di appello ha omesso
di rendere motivazione;

b.

Errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. con riferimento
agli artt.47-49 cod. pen. e 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42 con
riferimento all’assenza dell’elemento soggettivo del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte ritiene di prender le mosse dalla censura contenuta nel secondo
motivo di ricorso, che assume non sussistenti gli estremi di condanna in quanto
la condotta dell’amministrazione pubblica avrebbe ingenerato nel ricorrente un
errore scusabile rilevante ex art.47, comma 3, cod. pen. e in quanto non
sussisterebbe offensività del fatto nei termini di cui all’art.49, comma 2, cod.
pen.
2. Entrambi i profili sono manifestamente infondati. L’esistenza di un vincolo
paesaggistico sull’area oggetto degli interventi è circostanza che non può essere
ignorata da chi intenda operare una modificazione mediante la realizzazione di
opere edilizie, spettando allo stesso di provvedere ad assicurarsi le necessarie
informazioni sul regime giuridico dell’area e sui presupposti autorizzatori che si
rendono necessari. La circostanza che l’area sia stata interessata da un’opera

2

2.

pubblica e le modalità con cui questa è stata realizzata non elidono la colpa di chi
ha proceduto a successivi interventi privati a favore del proprio terreno. La
natura contravvenzionale del reato è stata correttamente giudicata dirimente dal
primo giudice e da quello di appello (pag.6 della sentenza impugnata e
giurisprudenza ivi richiamata). Quanto al difetto di offensività del fatto, le
condotte punite dall’art.181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42 vengono in luce
quale reato di pericolo, che prescinde da specifiche valutazioni sull’impatto delle
opere sull’ambiente (per tutte, Sez.3, n.6299 del 15/1/2013, Simeon e altri), ciò

con giudizio di fatto che questa Corte non è legittimata a sindacare.
3. Passando all’esame del primo motivo di ricorso, va osservato che la Corte
di appello afferma a pag.5 della motivazione che si è in presenza di reati
permanenti e che la decorrenza del termine prescrizionale va individuata nella
data di sequestro delle opere abusive, che assume non ancora completate;
pertanto, calcolati i plurimi periodi di sospensione del termine, questo non risulta
ancora decorso al momento della pronuncia della sentenza di secondo grado.
4. Ora, è certamente corretto qualificare come permanente il reato ex
art.181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42, potendosi richiamare sul punto Sez.3,
n.16393 del 17/2/2010, Cavallo, che ha riaffermato il principio secondo cui “Il
reato di cui all’art. 181, comma primo, D.Lgs. n. 42 del 2004, allorquando sia
realizzato mediante una condotta che si protrae nel tempo (nella specie, di
edificazione di manufatto), è permanente e si consuma con l’esaurimento totale
dell’attività o con la cessazione della condotta per altro motivo.”
5. E’, invece, errato qualificare come permanenti le contravvenzioni previste
dalle richiamate disposizioni del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380, che si perfezionano
al momento dell’inizio delle attività per quanto concerne le violazioni ex art.65 e
ss. e, quanto al reato ex art.44, nel momento in cui le opere risultano
completate nei termini che la giurisprudenza ha fissato.
6.

Ora, la valutazione che questa Corte è chiamata a compiere non può

prescindere dalla circostanza che la sentenza di appello ritiene accertato (pag.5
della motivazione) che le opere fossero ancora in corso, il che conduce a
escludere che una parte dei reati possa dirsi perfezionata in epoca anteriore,
posto che sussiste una continuità fra le opere realizzate abusivamente e che il
decorso del termine prescrizionale si colloca o al momento del completamento
delle stesse o al momento in cui un atto delle autorità interrompe il nesso fra il
privato e l’immobile.
E dunque, collocata la decorrenza della prescrizione alla data del 19
dicembre 1995, deve trovare applicazione la disciplina introdotta con la legge

3

senza considerare che i giudici di appello hanno ritenuto tale impatto esistente,

n.251 del 2005, pubblicata sulla G.U. n.285 del 7 dicembre 2005 ed entrata in
vigore il giorno successivo. Ciò comporta che il termine di prescrizione massimo
va calcolato in cinque anni qualora siano presenti, come nel caso in esame, atti
interruttivi. Conclusivamente il termine prescrizionale risulta maturato
successivamente alla sentenza del 31 maggio 2012 dovendosi calcolare i periodi
di sospensione derivanti dai rinvii disposti alle udienze del 23 settembre 2008
(ex art.2-ter della legge n.125 del 2008), del 22 settembre 2009, del 23 febbraio
2010, del 2 dicembre 2010 e dell’i marzo 2012.

dell’avvenuta maturazione dei termini massimi di prescrizione del reato in epoca
successiva alla sentenza impugnata, nonché in epoca anteriore alla sentenza di
appello nei casi in cui la prescrizione stessa non sia stata dedotta in quella sede
e non sia stata rilevata (Sez.Un., n.32 del 22 novembre-22 dicembre 2000, rv
217266; n.33542 del 27 giugno-11 settembre 2001, rv 219531; n.23428 del 22
marzo-22 giugno 2005, rv 231164).
8.

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere

dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi
dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00
alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 9/4/2014

7. Alla inammissibilità del ricorso consegue la non rilevanza in questa sede

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