Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24318 del 09/04/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 24318 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
MARINO Mariano, nato a Palermo il 10/3/1957
avverso la sentenza del 14/6/2013 della Corte di appello di Palermo, che ha
confermato la sentenza del 6/12/2012 che lo ha condannato, previa concessione
delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di un anno di reclusione perché
colpevole del reato ex art.2 del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74 in relazione all’anno
d’imposta 2005 (accertamento in data 23/10/2006);
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza del 14/6/2013 la Corte di appello di Palermo ha

confermato la sentenza del 6/12/2012 che ha condannato il sig. Marino, previa
concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di un anno di
reclusione perché colpevole del reato ex art.2 del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74 in
relazione all’anno d’imposta 2005 (accertamento in data 23/10/2006).

Data Udienza: 09/04/2014

Osserva la Corte di appello che i motivi d’impugnazione in punto
responsabilità non possono essere accolti e che la ricostruzione dei fatti operata
dal Tribunale merita conferma. Indagando su un’associazione criminosa dedita al
commercio di fatture per operazioni inesistenti, gli operanti hanno effettuato il
controllo presso l’impresa dell’odierno ricorrente ove hanno rinvenuto in
contabilità fatture emesse da una società, la “Asian Import Export”, priva di sede
legale e di strutture operative, fatture che risultano saldate per contanti e che
l’imputato ha dichiarato di avere ricevuto a fronte di forniture di scarpe

dei motivi principali, la Corte di appello ha ritenuto che la gravità del danno
all’Erario e l’intensità del dolo non consentano di ridurre la pena e di concedere il
beneficio ex art.175 cod. pen.
2. Avverso tale decisione il sig. Marino propone ricorso in sintesi
lamentando:
a. Vizio di motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. per avere la
Corte di appello omesso di dare risposta alle censure mosse in sede di
impugnazione con le quali si illustrava la piena compatibilità delle modalità di
acquisto e pagamento della merce rispetto al volume d’affari e alla tipologia
di prodotto commerciato, così che le eventuali irregolarità commesse dalla
società venditrice non possono essere poste a carico del ricorrente che la
merce ebbe effettivamente ad acquistare. Si é, dunque, in presenza di
omessa motivazione rilevante ex art.606, lett.e) cod. proc. pen.;
b. Errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. per avere i giudici di
appello respinto le censure in punto trattamento sanzionatorio sulla sola base
del giudizio di gravità dei fatti e trascurato del tutto gli elementi di
personalità e la vita dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il contenuto dei motivi di ricorso impone alla Corte di ricordare in via
preliminare che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo
della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può
costituire un terzo grado volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di
contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla
sentenza delle Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio
1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno
definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
(n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074).

2

concordate con persona che non ha saputo indicare. Così motivata la reiezione

Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può
essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n.26 del 2007 della
Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica
introdotta dalla legge n.46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico
ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello
costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni
giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è “rimedio (che) non
attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece)

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha “la
pienezza del riesame di merito” che è propria del controllo operato dalle corti di
appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art.606, lett. e) c.p.p. non
autorizzi affatto il ricorrente a fondare la richiesta di annullamento della sentenza
di merito sulla sollecitazione al giudice di legittimità affinché ripercorra l’intera
ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.
Ancora successivamente alla modifica della lett.e) dell’art.606 c.p.p.
apportata dall’art.8, comma primo, lett.b) della legge 20 febbraio 2006, n.46,
l’impostazione qui ricordata è stata ribadita da plurime decisioni di legittimità, a
partire dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n.23419 del 23 maggio-14
giugno 2007, P.G. in proc.Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n.
24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto
convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è “preclusa al
giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti” (fra tutte: Sez.6, n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006,
Bosco, rv 234148).
2. L’applicazione di tali principi al caso in esame impone di concludere per la
palese infondatezza dei motivi di ricorso. A fronte della chiara e non
manifestamente illogica motivazione resa dai giudici di merito in ordine a tutti gli

dall’appello”.

elementi essenziali della fattispecie, il ricorrente sollecita questa Corte affinché
dia corso a un nuovo esame del materiale probatorio. I giudici di appello si sono
fatti carico delle censure mosse dall’allora appellante, censure che coincidono
con quelle introdotte adesso mediante ricorso, e hanno fornito risposte che
risultano coerenti coi dati processuali esaminati e immuni da vizi logici, così
sottraendo la decisione alle censure di merito proposte dal ricorrente e alla
possibilità di annullamento da parte del giudice di legittimità.
3. Quanto al motivo di ricorso concernente il trattamento sanzionatorio e il
beneficio di legge invocato, la Corte ritiene che anche in questo caso la decisione
di merito operata dai giudici di appello risulti motivata in modo non censurabile.

3

i\

La Corte di appello ha giudicato che la ripetizione delle condotte illecite e
l’intensità del dolo connotino il fatto di gravità e depongano in favore della
conferma della pena irrogata edi una valutazione contraria alla concessione del
beneficio ex art.175 cod. pen.; detti elementi sono stati con ogni evidenza
ritenuti prevalenti sulle diverse circostanze che il ricorrente considera rilevanti e
tale giudizio, non sanzionabile di illogicità, non può venire messo in discussione
dal giudice di legittimità.
4. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere

dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00
alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 9/4/2014

dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA