Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24306 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 24306 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: IANNELLI ENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FRANCAVILLA ANTONELLO N. IL 08/06/1977
avverso l’ordinanza n. 918/2013 TRIB. LIBERTA’ di BARI, del
16/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENZO IANNELLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 29/05/2014

Letti gli atti, la ordinanza impugnata, il ricorso;
Udita la relazione del cons. Enzo Jannelli;
Udite le conclusioni del S. Procuratore generale, Giuseppe Volpe, per l’annullamento con rinvio;
Uditi i difensori dell’imputato, avv.ti Ettore Censano e Ladislao Massari, che chiedono
l’accoglimento del ricorso, il secondo difensore con l’annullamento senza rinvio dell’ ordinanza..

-2- I giudici dell’appello valorizzavano la carica indiziante di una conversazione telefonica
intercorsa tra l’ indagato, in stato di custodia cautelare, e il di lui fratello Emiliano, in presenza di
Sinesi Elisabetta, nel contesto della quale il secondo riferisce al primo di una richiesta di denaro da
parte di tale Mansueto Michele, facente parte di una cosca avversa ed il promo di rimando, ingiunge
al secondo di non dare più soldi a nessuno.
-3- Due le ragioni di doglianza del ricorrente: a) con la prima si deduce, richiamando gli artt. 581
lett. c) e 591 c.p.p., l’ inammissibilità dell’appello del P.M. perché a- specifico, essendosi limitato a
trascrivere il contenuto di una sola delle intercettazioni,senza comunque contrastare le valutazioni
che della predetta, come delle altre, erano state esposte dal primo giudice. b) Con la seconda viene
denunciata la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto
associativo per non avere per nulla considerato lo stato detentivo dell’ indagato, dal 7.2.2006 al
26.5.2010, e per non aver quindi potuto rappresentare la permanenza di un contributo
oggettivamente apprezzabile successivamente alla intercettazione predetta. Ad avviso della difesa il
criterio logico, inaccettabile, a fondamento del provvedimento sarebbe la regola secondo cui” semel
mafioso semper mafioso”.
-4- Il ricorso non è fondato.
Corretto il principio di diritto affermato costitutivo della regola iuris alla quale deve uniformarsi la
strutturazione del provvedimento oggetto di impugnazione nel caso di riforma radicale della
precedente decisione: infatti, il giudice d’appello deve non solo sostenere la propria diversa
deliberazione con una motivazione che sia intrin omente esistente, non manifestamente illogica e
non contraddittoria, come usualmente gote, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett.e), per
dar conto dell’apprezzamento di me ‘to proprio del grado; egli deve anche confrontarsi in modo
specifico e completo con le cjitmenyper ,_ • i contenute nella prima decisione (per tutte, SU, sent.
45276/2003; Sez. 6, sent. 22120/2009), ricorrendo il vizio di omessa motivazione quando quel
confronto manchi su circostanze ed apprezzamenti che hanno concorso in modo determinante a
fondare il —- primo e
diverso apprezzamento.
Ma,nel caso di specie, i giudici della riforma hanno diversamente valorizzato, con argomentazione
più ampia e con l’ adozione di criteri di ragione compiutamente svolti, la conversazione intercettata
tra l’imputato ed il di lui fratello, Emiliano, collocandola nel contesto di una richiesta di denaro,
euro 35.000, della cosca operativa avversa, la” società Foggiana”, a quella di appartenenza dei due
fratelli, dei ” Sinesi – Francavilla” in favore del detenuto Mansueto Michele, e sviluppandola nel
senso che alla informativa di Emiliano al fratello Antonello, detenuto in carcere ,questi aveva
intimato al secondo che soldi non si potevano richiedere nè tanto meno dare a nessuno, anche a
costo di entrare in guerra, rilevando l’ immediata supina acquiescenza dell’ interlocutore alla
intimazione. Un episodio oltremodo significativo ,secondo il ragionamento dei giudici
dell’appello, che depotenzia di ogni valore significativo – secondo il giudice di prime cure invece
distonico alla ricostruzione del P.M, appellante – lo stato da considerevole tempo di detenzione dell’
imputato per il delitto associativo finalizzata alla importazione di droga dal Marocco, in concorso,

-1- Tramite difensore Francavilla Antonello ricorre per cassazione avverso l’ ordinanza datata
16.1/19.2.2014 del tribunale di Bari che, su appello del P.M. in sede avverso la pregressa ordinanza,
in data 5.7.2013, di rigetto della richiesta di ordinanza cautelare in carcere per il delitto di
associazione a delinquere di stampo mafioso, la disponeva la misura, ravvisando i gravi indizi di
colpevolezzardine al delitto come contestato.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda la
cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma il 29.5.2014.

tra gli altri, con Sinesi Francesco, anch’ egli coinvolto nella associazione di stampo mafioso. Ed è
noto che in tema di delitto associativo di stampo mafioso, lo stato detentivo non sempre interrompe
la permanenza nel reato, giacché l’associato può ben continuare a far parte del sodalizio e mantenere
i contatti con i complici in libertà anche durante il predetto stato. Peraltro l’ interpretazione
alternativa, offerta dalla difesa del ricorrente, della conversazione telefonica, all’ incontro
valorizzata dai giudici dell’appello a sostegno della propria decisione, costituisce questione di fatto
rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità se tale
valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate. Ed ai correlativi indizi
tratti dalle predette conversazioni non si applica la regola di valutazione di cui all’art. 192, comma
terzo, cod. proc. pen. ma quella generale del prudente apprezzamento del giudice, non essendo esse
assimilabili alle dichiarazioni che il coimputato del medesimo reato o la persona imputata in
procedimento connesso rende in sede di interrogatorio dinanzi all’autorità giudiziaria
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha
proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

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