Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24301 del 20/02/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 24301 Anno 2013
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CAVALLO ALDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PESCE VINCENZO N. IL 27/05/1959
avverso l’ordinanza n. 1705/2011 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 30/03/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;

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Data Udienza: 20/02/2013

Ritenuto in fatto

1.

Il Tribunale di sorveglianza di Roma, con l’ordinanza indicata in

epigrafe, ha respinto il reclamo proposto da Pesce Vincenzo avverso il decreto
del Ministro della Giustizia che aveva disposto nei riguardi dello stesso
l’applicazione del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41 bis Ord. Pen..
con la conseguente sospensione di alcune regole di trattamento previste dalle
legge penitenziaria.

– che gli elementi posti dalla Amministrazione penitenziaria a fondamento del
decreto (attuale pericolosità sociale del reclamante quale desumibile dalle
pronunce di condanna emesse nei suoi confronti e da ordinanze applicative di
misure cautelari, da cui emerge l’appartenenza del detenuto, in posizione
apicale, all’omonima cosca, ricompresa nell’ambito dell’associazione mafiosa
denominata ‘ndrangheta, e più di recente, anche la sua partecipazione ad un
specifico sodalizio intraneo alla cosca, dedito al traffico illecito di sostanze
stupefacenti) erano sufficienti a dimostrare la effettiva sussistenza delle
eccezionali ragioni di ordine e di sicurezza che avevano legittimato l’adozione del
regime differenziato, in assenza di elementi sintomatici del venir meno del
vincolo associativo e di una cessazione della capacità del prevenuto di fattivo ed
illecito collegamento con l’esterno.

2.

Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il

Pesce, ersonalmente,per il tramite ded – sucidifensor<4 . deducendo violazione dell'art. 41 bis legge n. 354 del 1975 e vizio di motivazione. Il Tribunale di sorveglianza nella motivazione dell'ordinanza impugnata ha infatti ravvisato l'attuale capacità del Pesce di mantenere contatti con ow obti, l'associazione criminale, con argomentazioni assolutamente incongri."( non avendo indicato gli elementi concreti su cui ha fondato tale valutazione ma valorizzato, esclusivamente, degli elementi desunti dai titoli di detenzione, pur in presenza di emergenze investigative (intercettazioni ambientali tra alcuni pretesi affiliati alla cosca) che contraddicevano il dato secondo cui il detenuto, ancora attualmente, rivestirebbe un ruolo di vertice all'interno del clan. Considerato in diritto 1. L'impugnazione è inammissibile, perché basata su motivi non consentiti (Pa-L Rilevava il Tribunale - sintetizzando un percorso aromentativy15iù articolato dalla legge nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati. Nel controllo di legittimità sul provvedimento di applicazione del regime detentivo differenziato di cui all'art. 41 bis Ord. Pen.., il Tribunale di sorveglianza ha - come si è visto - valutato gli elementi indicati nel decreto ministeriale e li ha sottoposti ad autonomo vaglio critico, accertando che gli stessi fornivano dati realmente significativi sulla effettiva capacità del reclamante - anche a ragione della sua intraneità all'organizzazione di tipo mafioso di riferimento, ancora operativa sul territorio, di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata tra attualità del collegamento con l'organizzazione esterna ed attualità dei concreti contatti. In particolare, evocando provvedimenti giurisdizionali ed i contenuti motivazionali degli stessi, nonché articolate informative degli organi inquirenti rispetto alla quale nel ricorso, in violazione del generale principio di autosufficienza, non vengono forniti, per altro, elementi indicativi di un effettivo travisamento - il Tribunale ha ritenuto che il Pesce, in assenza di elementi sintomatici di autentica dissociazione e di acquisizione di valori di legalità, potesse continuare a dare apporti di impulso a scelte delinquenziali da attuarsi all'esterno ad opera di soggetti appartenenti all'organizzazione, alcuni dei quali ancora latitanti. 2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non ricorrendo ipotesi di esonero - al versamento di una somma alla cassa delle ammende, congruamente determinabile in C 1000,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di C 1000,00 alla cassa delle ammende Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2013. - quindi sull'attuale pericolosità del detenuto, dovendo distinguersi al riguardo

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