Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24292 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 24292 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Ciminna Antonino, nato a Partinico il 12/5/1967
avverso la ordinanza 17/2/2014 del Tribunale per il riesame di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Giuseppe Volpe, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza in data 17/2/2014, Il Tribunale di Palermo, a seguito

di istanza di riesame avanzata nell’interesse di Ciminna Antonino, indagato
per il reato di estorsione in concorso con il coniuge La Puma Rosalia,
confermava l’ordinanza del Gip di Palermo, emessa in data 8/2/2014, con la
quale era stata applicata al prevenuto la misura cautelare della custodia in
carcere.
2.

Il Tribunale riteneva sussistente il quadro di gravità indiziaria fondato

sulle dichiarazioni delle persone offese, i fratelli Riccardo e Giovanni Valenti e
sulle circostanze che avevano portato all’arresto del prevenuto in flagranza

Data Udienza: 29/05/2014

di reato. Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale riteneva sussistente il
pericolo di reiterazione del reato ed, alla luce della negativa personalità
dell’imputato gravato da precedenti penali, considerava unica misura
adeguata la custodia in carcere.

3.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando quattro motivi di gravame con il quali

3.1

Illegittimità della motivazione nelle parti in cui rinvia per relationem

alle richieste del RM.
3.2

Errata qualificazione giuridica dei fatti, trattandosi di esercizio

arbitrario delle proprie ragioni;
3.3

Impossibilità di qualificare il fatto come estorsione, trattandosi di

un’operazione suggerita dai Carabinieri alla p.o.
4.

Insussistenza dei presupposti delle esigenze cautelari riconosciute dal

Tribunale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.

2.

Il Tribunale, a fronte delle contestazioni della difesa, ha ritenuto

corretta la qualificazione giuridica del fatto come estorsione, anziché
esercizio arbitrario, osservando che

«quando la minaccia utilizzata si

estrinseca (come nel caso di specie) in forme di tale forza intimidatoria e di
tale pervicacia da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un
proprio (preteso) diritto, allora la coartazione dell’altrui volontà assume ex
sé i caratteri dell’ingiustizia, trasformandosi in condotta estorsiva>>.

3.

Tale motivazione non è condivisibile in punto di diritto ed è

metodologicamente errata.
4.

In punto di diritto, occorre richiamare la sentenza n. 51433/2013 di

questa Sezione che, superando un precedente indirizzo giurisprudenziale
ha statuito che: «l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza
alla persona e l’estorsione si distinguono non per la materialità del fatto,
che può essere identico, ma per l’elemento intenzionale: nell’estorsione,

2

deduce:

l’agente mira a conseguire un profitto ingiusto con la coscienza che quanto
pretende non gli è dovuto; nell’esercizio arbitrario, invece, l’agente è
animato dal fine di esercitare un suo preteso diritto nella ragionevole
opinione, anche errata, della sua sussistenza, pur se contestata o
contestabile;
– di conseguenza, deve affermarsi che l’intensità e/o la gravità della
violenza o della minaccia non è un elemento del fatto idoneo ad influire

ragioni – estorsione), atteso che, ove la minaccia o la violenza siano
commesse con le armi, il reato diventa aggravato ex artt. 393/3 o 629628/3 n° 1 cod. pen. e, se la violenza o la minaccia ledano altri beni
giuridici, fanno scattare a carico dell’agente ulteriori reati in concorso
(lesioni, omicidio, sequestro di persona ecc…)
– pertanto, ove la violenza e/o la minaccia, anche se particolarmente
intense o gravi, siano effettuate al solo fine di esercitare un preteso diritto,
pur potendo l’agente ricorrere al giudice, non è mai configurabile il diverso
delitto di estorsione che ha presupposti giuridici completamente diversi;
tuttavia, ove la violenza e/o la minaccia, indipendentemente dalla intensità
con la quale siano adoperate dall’agente, siano esercitate al fine di far
valere un preteso diritto per il quale, però, non si può ricorrere al giudice, il
suddetto comportamento va qualificato come estorsione ma non perché
l’agente eserciti una violenza o minaccia particolarmente grave ma perché il
suo preteso diritto non è tutelabile davanti all’autorità giudiziaria, sicché,
venendo a mancare uno dei requisiti materiali del reato di esercizio
arbitrario delle proprie ragioni, il fatto diventa qualificabile come
estorsione».

5.

Tale indirizzo è stato consolidato da un concomitante arresto di

questa Corte che ha ribadito che i delitti di esercizio arbitrario delle proprie
ragioni con violenza o minaccia alle persone e di estorsione (la cui
materialità è descritta dagli artt. 393 e 629 cod. pen. nei medesimi termini)
si distinguono in relazione all’elemento psicologico: nel primo, l’agente
persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione ragionevole,
anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare
personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione
giudiziaria; nel secondo, invece, l’agente persegue il conseguimento di un
profitto nella consapevolezza della sua ingiustizia. In motivazione la Corte

3

sulla qualificazione giuridica del reato (esercizio arbitrario delle proprie

ha evidenziato che l’elevata intensità o gravità della violenza o della
minaccia di per sé non legittima la qualificazione del fatto ex art. 629 cod.
pen. e tale lettura è confermata dal fatto che il legislatore prevede che
l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni possa essere – come l’estorsioneaggravato dall’uso di armi (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 705 del 01/10/2013
Ud. (dep. 10/01/2014) Rv. 258071).

Nel caso di specie il Tribunale ha commesso un errore di metodologia

giuridica perché, ha eluso il problema della sussistenza o meno del preteso
diritto invocato dalla difesa, adagiandosi su una non corretta interpretazione
della linea di discrimine fra il reato di estorsione e quello di esercizio
arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, ancorata
esclusivamente sulle modalità della condotta violenta o minacciosa. Al
contrario, l’esame della plausibilità giuridica della pretesa vantata dalla
difesa, deve necessariamente precedere ogni valutazione in ordine alla
qualificazione giuridica della condotta.
7.

Al riguardo deve essere affermato il seguente principio di diritto:

«in tutti i casi in cui, a fronte di una imputazione di estorsione, venga
eccepito dalla difesa dell’imputato di aver agito al fine di esercitare un
preteso diritto, il Giudice non può determinare l’esatta qualificazione
giuridica della condotta se preliminarmente non procede all’esame della
pretesa vantata dall’agente per verificare se abbia i requisiti dell’effettività e
della concretezza, tali da renderla idonea ad essere azionata in giudizio;
solo dopo aver svolto tale accertamento, il giudice può procedere all’esame
dell’elemento psicologico per verificare se l’imputato abbia agito nella
convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto,
ovvero abbia agito per perseguire il conseguimento di un profitto nella
consapevolezza della sua ingiustizia.>>
8.

Di conseguenza, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con

rinvio al Tribunale per il riesame di Palermo che, nell’effettuare il nuovo
giudizio, si conformerà ai principi di diritto enunciati sopra e valuterà se
l’agente abbia agito con la convinzione di esercitare un preteso diritto
tutelabile dinanzi all’autorità giudiziaria, ovvero

se abbia agito per il

conseguimento di un profitto nella consapevolezza della sua ingiustizia.

4

–\___■-•

6.

9.

Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà

del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma

1 ter, delle

disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della
stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato
trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma

1 bis del

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Palermo per nuovo
esame.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 Disp. Att. Cod.
proc. pen.
Così deciso, il 29 maggio 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

citato articolo 94.

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