Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24280 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 24280 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso ex art. 625 bis cod. proc. pen. proposto da
Abate Giovanni, nato a Pellezzano il 20/5/1952
avverso la sentenza n. 3994/2013 emessa il 7/5/2013 dalla Corte di
Cassazione, VI sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Massimo Galli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

ABATE Giovanni propone personalmente ricorso straordinario a norma

dell’art. 625-bis cod. proc. pen. avverso la sentenza pronunciata nei suoi
confronti dalla sesta sezione penale di questa Corte il 7 maggio 2013, con la
quale era stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal medesimo
ABATE avverso l’ordinanza pronunciata dalla Corte di appello di Trento il 12
ottobre 2012, che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di revisione
avanzata nell’interesse dello stesso in ordine alla sentenza della Corte di

1

Data Udienza: 15/05/2014

appello di Venezia del 17 giugno 1998, divenuta irrevocabile a seguito della
sentenza di questa Corte pronunciata il 2 marzo 1999.

2.

Ad avviso del ricorrente, la pronuncia impugnata sarebbe frutto di

errori di fatto nella lettura degli atti del giudizio di cassazione laddove ha
dichiarato inammissibile il ricorso:
“a) senza prendere in esame e valutare nel merito l’ordinanza del 21
maggio 2011, in giudicato;

c) perché la mancata produzione documentale della sentenza della Corte
d’Appello di Trieste non avrebbe consentito al giudice della revisione di
valutare l’accertamento circa la omessa declaratoria di falsità degli atti».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è palesemente inammissibile, in quanto la diffusa

esposizione di quelli che, a dire del ricorrente integrerebbero errori di tipo
percettivo, in realtà vengono concretamente sviluppati e dedotti alla stregua
di specifici errori di apprezzamento, posto che su tutti i singoli aspetti della
intricata vicenda passati in rassegna, i giudici della legittimità hanno svolto
il relativo scrutinio, fornendo motivazione analitica che ha integralmente
esaurito i motivi di ricorso. Le “contestazioni” finiscono dunque per
rappresentare nulla più che la sollecitazione ad una pronuncia che sindachi
la correttezza o meno delle ragioni del decidere, in tal modo fuoriuscendo
palesemente dal circoscritto ambito entro il quale è consentito il rimedio
straordinario proposto dal ricorrente. Questa Corte ha infatti avuto modo di
sottolineare in più occasioni che in tema di ricorso straordinario, qualora la
causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata
rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto
valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come
tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc.
pen. (Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011 – dep. 17/10/2011, Corsini, Rv.
250527).

2.

Il ricorso, d’altra parte, è inammissibile in quanto proposto avverso

decisione non suscettibile di tale forma di reclamo straordinario, giacchè si è
più volte puntualizzato che è inammissibile il ricorso straordinario per errore

2

b) per l’errata lettura della sentenza della Corte di cassazione;

materiale o di fatto avverso una ordinanza della Corte di cassazione che
abbia dichiarato l’inammissibilità di un ricorso proposto contro un
provvedimento di rigetto di una richiesta di revisione, atteso che la
disposizione di cui all’art. 625 bis cod. proc. pen., che ha carattere tassativo
e non è suscettibile di interpretazione analogica, circoscrive l’esperibilità del
gravame (proponibile solo dal condannato e dal Procuratore generale)
esclusivamente alle sentenze della Corte per effetto delle quali diviene

dep. 25/11/2011, V., Rv. 251411. Nel medesimo senso, v. Sez. VI, n. 4124
del 17 gennaio 2007, Rossi; Sez. V, n. 30373 del 16 giugno 2006, Nappi).

3.

Da ultimo, ma non per ultimo, il ricorso è inammissibile anche per

ragioni di ordine formale, in quanto l’atto è stato spedito per posta e reca la
sottoscrizione non autenticata, in violazione di quanto prescrive, a pena,
appunto, di inammissibilità del ricorso ex art. 591 cod. proc. pen., l’art.
583, comma 3, del codice di rito.

4.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del

ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa
delle ammende di una somma che si stima equo determinare in euro
1.000,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 186 del 2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 15 maggio 2014

Il Consigli re estensore

Il P

idente

definitiva una sentenza di condanna. (Sez. 3, n. 43697 del 10/11/2011 –

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