Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24276 del 29/04/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 24276 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 29/04/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di
BELLOCCO Michele, n. a Rosarno il 19.03.1950
CANANZI Maria Rosa, n. a Rosarno il 26.01.1966
VENANZIO Angiolina, n. a Rosarno il 05.10.1943
tutti rappresentati e difesi dall’avv. Guido Contestabile
avverso il decreto emesso dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria,
sezione misure di prevenzione, n. 71/2012 emesso in data
11.04.2013;
visti gli atti, ii provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
letta la requisitoria scritta del Sostituto procuratore generale dott.
Antonio Gialanella che, in data 03.01.2014, ha chiesto il rigetto del
ricorso nell’interesse di Bellocco Michele e l’inammissibilità del ricorso
nell’interesse di Cananzi Maria Rosa e di Venanzio Angiolina.

1

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto n. 63/2011 in data 03.03.2011, il Tribunale di Reggio
Calabria, sezione misure di prevenzione, pronunciandosi sulla
proposta di applicazione della misura di prevenzione personale e
patrimoniale nei confronti di Bellocco Michele, rigettava la proposta

in ordine alla misura personale per difetto dell’attualità della
pericolosità sociale; relativamente alla richiesta di confisca di un
edificio (sito in Rosarno via Matteotti, riportato in catasto terreni al
foglio 10, particella 416) e di due autovetture, il Tribunale, valutata
la possibilità di esaminare l’applicabilità della misura reale anche in
assenza di una pericolosità attuale, evidenziava come le due
autovetture erano state acquistate con finanziamenti da rimborsare
in rate mensili, mentre l’edificio insisteva su suolo formalmente
intestato a Raso Pietro e nessuna indicazione era stata data
dall’accusa circa eventuali rapporti tra Raso e Bellocco: l’edificio,
peraltro, risultava essere stato costruito abusivamente ed il
29.03.1995 Venanzio Angiolina, suocera del Bellocco, risultava aver
presentato domanda di concessione in sanatoria qualificandosi come
esclusiva proprietaria, stipulando il 26.02.1997 contratto di fornitura
di energia elettrica e il pubblico ministero non aveva indicato alcun
elemento in virtù del quale ritenere che la Venanzio avesse
convissuto con la figlia (Cananzi Maria Rosa) ed il genero nell’ultimo
quinquennio sicchè non era applicabile nei suoi confronti la
presunzione legislativa ex art. 2-bis, comma 3 I. 575/1965; infine,
mancava un’adeguata rappresentazione delle circostanze necessarie
per l’attribuzione del bene al proposto, non risultando che questi
avesse effettuato o concorso alle spese di edificazione o di arredo
dell’edificio, tra l’altro costruito nella sua struttura portante prima
del matrimonio Bellocco/Cananzi.
2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria
impugnava il decreto chiedendo il sequestro e la confisca del bene
immobile.
3. Con provvedimento in data 11.04.2013, la Corte d’Appello di Reggio
Calabria, in accoglimento del gravame, disponeva il sequestro e la
confisca dell’immobile ritenendo accertata l’esclusiva disponibilità

2

del bene al Bellocco e l’evidente sproporzione tra i redditi dichiarati
dal Bellocco ed il costo ed il valore del bene.
4. Avverso il predetto decreto, nell’interesse di Bellocco Michele,
Cananzi Maria Rosa e Venanzio Angiolina veniva proposto ricorso
per cassazione lamentando:
-la nullità del giudizio di secondo grado per omessa notifica al
difensore di fiducia dell’avviso di cui all’art. 601, comma 5 cod.

proc. pen. (primo motivo);
-l’applicazione retroattiva delle disposizioni di cui alla legge 15 luglio
2009, n. 94 (secondo motivo);
-la censurabile succinta indicazione dei provvedimenti delle autorità
giudiziarie afferenti il Bellocco; l’omessa indicazione della categoria
di appartenenza del proposto nonché degli elementi di fatto su cui si
ritiene fondata ed implicitamente ritenuta la “qualità” soggettiva;
l’assoluta mancanza di motivazione in ordine all’asserita riferibilità
del bene al Bellocco (terzo motivo);
-la violazione ed erronea applicazione delle disposizioni di cui agli
artt. 2-bis e ss. legge 31 maggio 1965, n. 575 (quarto motivo).

CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso di Bellocco Michele è infondato; quello di Cananzi Maria Rosa
e di Venanzio Angiolina è manifestamente infondato.
6. In via preliminare, va evidenziata l’inapplicabilità nella fattispecie,
del d.l.vo 6.9.2011, n. 159, atteso che l’art. 117

(Disciplina

transitoria) di tale decreto prevede che “le disposizioni contenute
nel Libro I del d. Ivo ora detto ” … non si applicano ai procedimenti
nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia già
stata formulata proposta di applicazione della misura di
prevenzione. In tali casi, continuano ad applicarsi le norme
previgenti”. Tale ultimo non è, per l’appunto, il caso connotante il
procedimento in esame, laddove si ha riguardo ad una proposta di
applicazione della misura di prevenzione del Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria del 27.05.2010,
anteriore all’entrata in vigore del citato d.l.vo, che va collocata al
13.10.2011 (GU n. 226 del 28.09.2011 – Suppl. Ordinario n. 214)

3

salve le disposizioni del libro II, capi I, II, III e IV, entrate in vigore
secondo quanto disposto dall’art. 119 del medesimo d.l.vo.
7. Il ricorso in esame, ove lo si esamini nella prospettiva della sua
riferibilità alle terze Cananzi Maria Rosa e Venanzio Angiolina, risulta
inammissibile essendo lo stesso a firma del solo avv. Guido
Contestabile, che si qualifica “difensore di fiducia”, oltre che del
prevenuto Bellocco, anche delle terze interessate Cananzi e

Venanzio, senza allegare ovvero in altro modo documentare la
presenza di procura speciale: circostanza di fatto che pone
questione in punto di ammissibilità del ricorso stesso, secondo la
lezione di questa Suprema Corte (cfr., Cass., Sez. 6, n. 7510 del
23/10/2012, dep. 15/02/2013, Esposito ed altro, Rv. 254580, ove
si afferma che, in tema di procedimento di prevenzione, è
inammissibile il ricorso per cassazione presentato personalmente
dal terzo interessato avverso il decreto che dispone la misura
patrimoniale della confisca, avendo costui, in quanto portatore di
interessi civilistici, un onere di patrocinio, che é soddisfatto solo
attraverso il conferimento di procura alle liti al difensore; cfr.,
altresì, Cass., Sez. 2, n. 27037 del 27/03/2012, dep. 10/07/2012,
Bini, Rv. 253404, in cui si riconosce che, in tema di procedimento
di prevenzione, il difensore del terzo interessato, non munito di
procura speciale, non è legittimato a ricorrere per cassazione
avverso il decreto che dispone la misura di prevenzione della
confisca; né a tal fine può assumere rilievo la distinzione tra i casi
in cui il terzo intervenga volontariamente, e quelli in cui sia
intervenuto “iussu iudicis”, poiché in entrambi i casi i soggetti
intervenienti non sono destinatari della chiesta misura, di
prevenzione e risultano, quindi, portatori, nel procedimento di
prevenzione, di un mero interesse di natura civilistica; cfr., altresì,
Cass., Sez. 1, n. 10398 del 29/02/2012, dep. 16/03/2012, Lucà e
altri, Rv. 252925, secondo cui è inammissibile il ricorso per
cassazione proposto dal difensore, non munito di procura speciale,
dei terzi interessati nel procedimento di opposizione ad un
provvedimento di confisca, perché costoro non possono stare in
giudizio personalmente ma hanno un onere di patrocinio, che è
soddisfatto soltanto per mezzo del conferimento di procura
speciale).

4

Invero, il terzo interessato – quali sono le succitate Cananzi e
Venanzio – al pari dei soggetti considerati espressamente dall’art.
100 cod. proc. pen.„ è portatore di interessi civilistici, di tal che, in
conformità a quanto previsto per il processo civile (art. 83 cod.
proc. civ.), detta parte non può stare personalmente in giudizio, ma
ha un onere di patrocinio, che è soddisfatto attraverso il
conferimento di procura alle liti al difensore.

Alla stregua di tanto, il ricorso presentato nell’interesse delle
predette terze Cananzi e Venanzio va pertanto dichiarato
inammissibile.
8. Tale

preliminare

considerazione

consente

di

valutare

l’inammissibilità del primo motivo del ricorso in esame, posto che
tale motivo ha da intendersi formulato proprio nell’interesse delle
terze Cananzi e Venanzio: con esso, infatti, si eccepisce una pretesa
” … nullità del giudizio di primo grado, ponendo(si) in rilievo
l’omessa notifica al difensore di fiducia, avv. Nicola Rao, dell’avviso
di cui al comma 5 dell’art. 601 cod. proc. pen.TM. Orbene, dal
momento che l’avv. Nicola Rao, alla stregua del tenore letterale del
provvedimento di primo grado, si era costituito, in realtà, quale
difensore delle dette terze Cananzi e Venanzio, se ne deve dedurre
che una simile eccezione, in quanto coessenziale al ricorso proposto
nell’interesse delle dette terze, che si è detto essere inammissibile,
ne condivide, per le ragioni dinanzi esposte, il vizio di
inammissibilità. Tanto è dirimente: sicché si osserva per sola
completezza espositiva che quando viene denunciata in Cassazione
la violazione di una norma processuale, il giudice di legittimità è
giudice anche del fatto ed è debita la cognizione degli atti del
giudizio di merito; ma è certamente fermo l’insegnamento della
Corte, sempre ribadito, secondo il quale è inammissibile
l’impugnazione nella quale, così come accade nel caso di specie, si
eccepisca un “error in procedendo” ai sensi dell’art. 606, comma 1
lett. c) cod. proc. pen., in forme di tale marcata genericità, senza
peraltro richiamare integralmente o indicare con precisione lo
specifico atto sul quale compiere la verifica richiesta, così
pretendendo dalla Corte una vera e propria ricerca (negli atti
procedimentali) al fine dell’eventuale reperimento di quello specifico
atto (nel caso in esame, ad esempio, atto di nomina dell’avv. Rao;

5

relata di notifica negativa dell’avviso all’avv. Rao; verbale
dell’udienza per la quale il Rao non fu avvisato, udienza che non
viene neppure indicata in ricorso, e così via citando) del quale si
assume che esso manifesti il vizio processuale indicato.
9. Il ricorso in esame va poi esaminato nella prospettiva della sua
riferibilità al prevenuto Bellocco.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, variamente intesi a

denunziare vizi di ” violazione di legge in relazione all’art. 25,
comma 2, della Costituzione, artt. 2 e 200 cod. pen., art. 11 r.d.
16.03.1942, n. 262, e 125, comma 3, cod. proc. pen.”, possono
essere esaminati congiuntamente giacché, in realtà, la
prospettazione del ricorrente è duplice ma può essere così
unitariamente riassunta: da un lato, si lamenta in ricorso una ”
violazione delle norme di diritto intertemporale laddove, con
l’avversato decreto, la Corte territoriale dispone la confisca
dell’immobile, applicando retroattivamente le disposizioni di cui alla
I. 15.07.2009, n. 94″; dall’altro, si eccepisce, comunque, che ”
nel provvedimento avversato non viene neppure indicata l’epoca cui
risalgono gli elementi fattuali su cui la proposta di applicazione della
misura si fonda”, laddove, comunque, alla stregua degli
insegnamenti di questa Suprema Corte – che vengono, in parte,
riportati in ricorso – ” … il dato cronologico relativo all’acquisita
disponibilità dei bene potrà risultare indifferente purché sia
ravvisabile un rapporto di pertinenzialità tra il cespite ed il soggetto
portatore di pericolosità sociale. Nelle ipotesi, come quella che ci
occupa, in cui la pericolosità sociale sia stata esclusa e non vi stata
condanna per associazione di stampo mafioso, pur volendo ritenere
applicabile la nuova disciplina sulla confisca, l’accertamento del
rapporto di qualificata pertinenzialità non potrà prescindere
dall’accertamento di elementi da cui desumere l’origine perversa del
bene o per lo meno dalla valutazione degli elementi su cui si fonda
l’attribuzione della qualità soggettiva che giustifica la misura”.
Simili censure involgono il tema dell’estensione applicativa della
disciplina normativa introdotta con le ben note novelle della I. 24
luglio 2008, n. 125, e della I. 15 luglio 2009, n. 94; tema che va
riletto nell’ottica dei principi in tema di irretroattività della legge
penale.

6

Sul punto, al fine di dar conto della apparente non conformità della
prospettazione del ricorrente al maggioritario insegnamento della
giurisprudenza di legittimità, è debita l’evocazione proprio della
lezione di questa Suprema Corte (tra le numerose, Cass., Sez. 1, n.
13039 del 11/03/2005, dep. 07/04/2005, Santonocito e altro, Rv.
231598, ove è detto che il disposto dell’art. 200, comma 1, cod. pen.
– secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in

vigore al momento della loro applicazione – deve essere interpretato
nel senso che, mentre non può applicarsi una misura di sicurezza per
un fatto che al momento della sua commissione non costituiva reato,
é possibile la suddetta applicazione per un fatto di reato per il quale
originariamente non era prevista la misura, atteso che il principio di
irretroattività della legge penale riguarda le norme incriminatrici e
non le misure di sicurezza, che per loro natura sono correlate alla
situazione di pericolosità attuale del proposto: la fattispecie in esame
aveva riguardo ad un procedimento di prevenzione iniziato prima
dell’entrata in vigore della legge 07.03.1996, n. 108 – che consente la
confisca dei beni provenienti da attività di usura – nel contesto del
quale si diceva consentita l’applicazione e l’esecuzione di una misura
di sicurezza patrimoniale nei confronti di soggetti indiziati del reato di
usura).
Si tratta dell’applicazione al sistema della prevenzione di principi più
volte ribaditi dalla stessa Suprema Corte anche con riguardo alla
confisca prevista dall’art. 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 come introdotto dall’art. 2 del d.l. 20 giugno 1994, n. 399,
specificamente applicati, peraltro, ad un’ablazione legata ad un reato
di

usura commesso precedentemente all’entrata in vigore

delle

predette disposizioni (cfr., Cass., Sez. 2, n. 3655 del 03/10/1996,
dep. 06/03/1997, Sibilia, Rv. 207140, ove si precisa che, in virtù del
combinato disposto degli artt. 199 e 200 cod. pen. e dei principi
affermati dall’art. 25 Cost., deve escludersi che in tema di
applicazione delle misure di sicurezza operi il principio di
irretroattività della legge di cui all’art. 2 cod. pen., sicché le misure
predette sono applicabili anche ai reati commessi nel tempo in cui
non erano legislativamente previste ovvero erano diversamente
disciplinate quanto a tipo, qualità e durata).

7

Nello stesso senso la Suprema Corte si è ripetutamente espressa
(cfr., sul punto, Cass., Sez. 3, n. 40703 del 15/10/2002, dep.
04/12/2002, Sguardo, Rv. 222728, ove si è precisato che il principio
di irretroattività della legge penale, sancito dagli artt. 2 cod. pen. e
25, comma secondo, Cost., è operante nei riguardi delle norme
incriminatrici ma non rispetto alle misure di sicurezza, sicché la
confisca può essere disposta anche in riferimento a reati commessi

nel tempo in cui essa non era legislativamente prevista ovvero era
diversamente disciplinata quanto a tipo, qualità e durata.
Con riferimento specifico alle misure di prevenzione ed in epoca
successiva alla duplice modifica normativa delle novelle legislative
del 2008 e del 2009, infine, siffatti principi sono stati riaffermati
da questa Suprema Corte (cfr., tra le altre: Cass., Sez. 2, n. 33597
del 14/05/2009, dep. 01/09/2009, P.G. in proc. Monticelli e altri,
Rv. 245251, ove, dopo essersi riaffermato il principio in forza del
quale le misure di prevenzione patrimoniale del sequestro e della
confisca sono applicabili, in ragione dell’abrogazione dell’art. 14
della I. n. 55 del 1990 per effetto del d.l. n. 92 del 2008, conv.
con modif. dalla I. n. 125 del 2008, anche ai soggetti dediti a
traffici delittuosi o che vivano abitualmente, anche in parte, con i
proventi di attività delittuose, quali che siano i delitti da cui
scaturiscano i proventi, soggetti menzionati nell’art. 1, nn. 1 e 2,
della I. n. 1423 del 1956, si precisa, in motivazione, che tale
conclusione non può essere contrastata dai principi di
irretroattività della legge penale giacché la giurisprudenza è
assolutamente costante nel ritenere che le misure di sicurezza
sono regolate dalla legge in vigore al momento della loro
applicazione, proprio perché correlate per loro natura alla
situazione di pericolosità del proposto, con la conseguenza che
deve ritenersi possibile la suddetta applicazione per un fatto reato
per il quale originariamente non era prevista la misura, in
considerazione del fatto, appunto, che il principio di irretroattività
della legge penale riguarda le norme incriminatrici e non le misure
di sicurezza). In senso del tutto conforme è la pronuncia delle SS.
UU. di questa Suprema Corte (sentenza n. 13426 del 25/03/2010,
dep. 09/04/2010, Cagnazzo ed altri).

8

10. Fermo quanto precede, sugli insegnamenti giurisprudenziali di cui si
è fatto cenno, è possibile individuare diversi percorsi concettuali,
idonei a legittimare l’adozione della misura patrimoniale di
prevenzione, pur disgiunta da quella personale, e a riconoscere alla
confisca la natura di misura di sicurezza ex art. 200 cod. pen.: il che,
sempre sulla base degli insegnamenti della Suprema Corte, rende tale
confisca “disgiunta” applicabile, in ragione delle novelle legislative del

2008 e del 2009, anche con riguardo a beni acquisiti dal prevenuto in
epoca anteriore all’entrata in vigore delle novelle ora citate ed in
assenza di pericolosità personale attuale del prevenuto, tuttavia
pericoloso al momento dell’acquisizione della disponibilità dei beni
confiscati.
La questione della necessità del positivo esito dell’accertamento
incidentale della pericolosità del prevenuto al momento
dell’acquisizione di cespiti alla confisca dei quali si sia provveduto in un
procedimento di prevenzione si iscrive nel più ampio tema della
tendenza normativa a rendere autonoma l’azione giudiziaria di
prevenzione reale da quella di prevenzione personale di modo che, pur
permanendo l’ovvio collegamento tra la cautela patrimoniale e
l’esistenza di soggetti individuati come pericolosi, l’accento viene posto
sulla pericolosità ex se di beni utilizzabili dalla criminalità economica di
matrice mafiosa o equiparata.

Siffatta tendenza, in realtà, assume pregio se si evoca, in primo luogo,
la petizione, contenuta, a seguito della novella della I. n. 125 del 2008,
nel primo inciso del comma 6-bis dell’art. 2-bis della 1. 31.5.1965, n.
575 e ss. modd., in forza della quale ” le misure di prevenzione
personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate
disgiuntamente… “; … inciso nuovamente modificato ad opera della
legge 15 luglio 2009, n. 94, recante “Disposizioni in materia di
sicurezza pubblica”.
Invero, l’art. 2, comma 22, di tale ulteriore novella modifica l’art. 10,
comma 1, lettera c), numero 2), del decreto-legge 23 maggio 2008,
n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n.
125, il quale, a sua volta, aveva aggiunto nell’art. 2-bis della legge
31 maggio 1965, n. 575, il comma 6-bis. Quest’ultimo comma, a
seguito di tale novella del 2009, presenta oggi la seguente
formulazione:

«6-bis. Le misure di prevenzione personali e

9

patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente e,
per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla
pericolosità sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al
momento della richiesta della misura di prevenzione. Le misure
patrimoniali possono essere disposte anche in caso di morte del
soggetto proposto per la loro applicazione. Nel caso la morte
sopraggiunga nel corso del procedimento esso prosegue nei

confronti degli eredi o comunque degli aventi causa».
Orbene: quale sia stato l’intento del legislatore, posto in essere con
tale duplice intervento, è manifesto come con tale norma si è voluto
realizzare lo sganciamento del procedimento di prevenzione
patrimoniale dal personale e la possibilità di agire direttamente
contro il patrimonio, senza la previa applicazione di misure di
prevenzione personali (rivelatesi poco efficaci e di dubbia
costituzionalità), nei confronti di una

persona indiziata

appartenenza alla criminalità organizzata, laddove si dimostri

di
la

sproporzione o si fornisca una prova indiziaria dell’origine illecita dei
beni da confiscare. Di tanto è comprova nel fatto che dai lavori
preparatori della novella del 2008 emerge che, al fine di contrastare
più efficacemente la criminalità organizzata «incidendo su uno degli
elementi sui quali la stessa è maggiormente vulnerabile, l’intervento
(vorrebbe) consistere nel passaggio da un approccio incentrato sulla
“pericolosità del soggetto” a una visione imperniata sulla formazione
illecita del bene che, una volta reimmesso nel circuito economico, è in
grado di alterare il sistema legale di circolazione della ricchezza,
minando così alla radice le fondamenta di una economia di mercato».
Si afferma (in tal modo) l’idea, già ribadita nella Relazione della
Commissione Antimafia, che occorre “prevenire che provvedimenti
modificativi della misura di prevenzione concernente il soggetto
travolgano le misure patrimoniali”, una volta che sia stata accertata
la provenienza illecita, in quanto proprio «in ragione di tale accertata
illecita provenienza [i beni] sono dotati di una perdurante
pericolosità e di un insito potere destabilizzante per l’economia
lecita … In sintesi, si immagina una sorta di “perdurante illiceità dei
beni” strettamente connessa alla formazione degli stessi”.
E’ certo che siffatto primo inciso del comma 6-bis dell’art. 2-bis
della I. 31.05.1965, n. 575, e ss. modd. integrasse, comunque, gli

10

estremi testuali di un intervento additivo del legislatore, volto a
rompere quella che i giudici della Consulta della decisione n. 335 del
1996 definivano la regola generale del binomio misure personali misure patrimoniali; intervento additivo che doveva, dunque,
intendersi mirato all’enunciata scopo di rendere autonoma l’azione
giudiziaria dì prevenzione reale da quella di prevenzione personale
(intervento che, poi, lo stesso legislatore – evidentemente sensibile

alle critiche rivolte alla sostanziale incompiutezza della medesima
riforma del 2008 – ha ritenuto di integrare con l’ulteriore, succitata
modifica introdotta dall’art. 2, comma 22, della legge 15 luglio
2009, n. 94).
Equilibri interpretativi che devono intendersi quelli in ragione dei quali
la giurisprudenza di legittimità, in modo paradigmatico, ha sempre
inteso giustificare, in particolare, la possibilità di procedere alla
confisca dei beni ritenuti nella disponibilità del proposto deceduto nelle
more del procedimento (caso, per l’appunto, paradigmatico, di
scissione tra misura personale e misura patrimoniale di prevenzione):
in tanto la disposta confisca dei beni rientranti nella disponibilità del
soggetto proposto per l’applicazione di una misura di prevenzione non
viene meno a seguito della morte dello stesso, intervenuta prima della
definitività del provvedimento di prevenzione, in quanto siano rimasti
accertati i presupposti di pericolosità personale qualificata e di
indimostrata legittima provenienza dei beni.
Tutto ciò considerato, paradigmatica è la pronuncia di questa
Suprema Corte (Cass., Sez. 2, n. 14955 del 05/03/2009, dep.
07/04/2009, Cardella e Gambacorta), con la quale si assume che la
I. 125 del 2008, in primo luogo, ha dato ” … copertura normativa
al principio … per il quale lo scopo della confisca va al di là
dell’esigenza di prevenzione personale nei confronti del soggetto
pericoloso, mirando a sottrarre definitivamente il bene di
provenienza illecita al circuito criminale di origine per inserirlo in
un altro esente da condizionamenti criminali”, cosicché, pur non
essendosi introdotta nel sistema ” … una sorta di actio in rem
contro beni ritenuti in sé pericolosi, (non) pervenendosi quindi ad
un’oggettivazione del procedimento patrimoniale antimafia”, si è
tuttavia ” … dato avallo all’orientamento giurisprudenziale
attestato su di un’operatività della confisca contro beni la cui

11

acquisizione non coincide con il perimetro cronologico di accertata
pericolosità personale del soggetto che ne ha … la disponibilità,
dovendosi ritenere che il positivo accertamento (si ripete anche
solo incidentale) di pericolosità personale imprime ai beni in
disponibilità di tali soggetti uno stigma di pericolosità quando, per
ciascuno di essi, siano dimostrati la sproporzione rispetto al reddito
dichiarato o all’attività economica svolta ovvero la natura di frutto

o reimpiego di attività illecita”.
11.Tutto ciò posto, deve pertanto ritenersi ius receptum, alla stregua di
consolidata interpretazione del giudice di legittimità, che siano
soggetti a confisca anche i beni acquisiti dal proposto, direttamente
ad indirettamente, in epoca antecedente a quella cui si riferisce
l’accertamento della pericolosità, purché risulti una delle condizioni
anzidette, ossia la sproporzione rispetto al reddito ovvero la prova
della loro illecita provenienza da qualsivoglia tipologia di reato (cfr.,
Cass., Sez. 1, n. 39798 del 20/10/2010, dep. 11/11/2010, Stagno e
altro, Rv. 249012; Cass., Sez. 6, n. 4702 del 15/01/2010, dep.
03/02/2010, Quartararo, Rv. 246084).
Per dettato normativo la pericolosità sociale del proposto finisce con
l’estendersi al suo patrimonio; ciò in quanto l’accertata
appartenenza a consorteria organizzata riflette uno stile di vita la
cui origine non si è ritenuto che possa farsi coincidere con la data
del riscontro giudiziario, essendo, evidentemente, maturato – per
precise scelte esistenziali – anche in epoca antecedente, sia pure
non determinata. La severità della misura si giustifica in ragione
delle precipue finalità della legislazione antimafia, e specialmente
dell’obiettivo strategico di colpire, anche con evidenti finalità
deterrenti, l’intero patrimonio – ove di ritenuta provenienza illecita degli appartenenti a consorterie criminali, posto che l’accumulo di
ricchezza costituisce, comunemente, la ragione primaria – se non
esclusiva – di quell’appartenenza. Il limite di operatività della detta
misura, che la rende compatibile con i principi costituzionali,
segnatamente con il rispetto del valore della proprietà privata,
presidiato dall’art. 42 Cost., e con la normativa comunitaria, è
costituito dalla riconosciuta facoltà per il proposto di fornire la prova
della legittima provenienza dei suoi beni. Il sistema resta così
affidato alla dinamica di una presunzione, temperata, nondimeno,

12

dalla facoltà della controprova, che attribuisce al meccanismo
presuntivo la connotazione della relatività, rendendolo così del tutto
legittimo nel quadro di una interpretazione costituzionalmente
orientata.
12.Alla stregua di tutte le considerazioni svolte, può assumersi che la
fattispecie concreta in esame va ripercorsa alla stregua degli
insegnamenti di questa Suprema Corte che si è inteso riassumere ed

in ragione dei quali, ai fini dell’applicazione di misura patrimoniale,
al di là di qualsiasi concettualizzazione in ordine alla pericolosità del
bene in sé, è sempre necessario un concreto accertamento
incidentale intorno ai contenuti ed alla datazione della pericolosità
personale della persona fisica alla quale le attività illecite produttive
di indebite locupletazioni debbono pur sempre riferirsi.
Nella fattispecie occorre concentrarsi sulla datazione della
manifestata pericolosità del Bellocco.
Sul punto, il Tribunale di Reggio Calabria, pur non procedendo
all’applicazione di misura al medesimo Bellocco, aveva osservato,
che ” … sono piuttosto numerose le vicende di interesse penale in
cui il (detto) Bellocco è stato coinvolto nel corso del tempo.
Risultano, anzitutto, a suo carico varie condanne definitive e
precisamente: sei mesi di arresto per avere violato il regime della
misura di prevenzione (fatti commessi nel territorio di Ferrara negli
anni settanta), quattro mesi di arresto per inosservanza del
soggiorno obbligato (a Reggio Calabria, primi anni ottanta) e cinque
anni di reclusione e la misura di sicurezza della libertà vigilata per
associazione a delinquere (a Rosarno, fino al 5 aprile 1983)”.
Con un decreto depositato il 27 novembre 2001, il Tribunale reggino
respinse una richiesta, fatta congiuntamente dal Questore di Reggio
Calabria e dal Procuratore della Repubblica pressa il Tribunale di
Palmi, di sottoposizione del Bellocco alla misura di prevenzione
personale e patrimoniale.
Con un’ordinanza del 10 maggio 2001, il Magistrato di Sorveglianza
di Reggio Calabria dichiarò cessata la pericolosità sociale del
Bellocco e revocò la predetta misura di sicurezza.
Con la sentenza n. 1964/07, emessa il 19 dicembre 2007 e
depositata il 18 gennaio 2008 a conclusione del primo grado di
giudizio del procedimento n. 5146/00 RGNR DDA RC, il Tribunale di

13

Palmi riconobbe l’interessato colpevole del delitto di associazione
mafiosa (partecipazione all’omonima cosca Bellocco, operante in
Rosarno dalla fine degli anni Ottanta in avanti) e lo condannò alla
pena di sette anni di reclusione.
Dalla lettura della motivazione della pronuncia dei giudici palmesi si
ricava che costoro hanno attribuito credibilità alle dichiarazioni
accusatorie del collaboratore di giustizia Giuseppe Gregorio e le

hanno ritenute riscontrate dalle dichiarazioni e dal riconoscimento
della teste Angela Giunchi. I giudici hanno dunque ritenuto provato
il ruolo che la pubblica accusa ha attribuito al Bellocco, quello cioè di
essere uno dei principali collaboratori del leader della cosca durante
la loro latitanza, di avergli prestato assistenza ed aiuto e di avergli
permesso di mantenere anche in quel periodo contatti criminali.
La citata sentenza del Tribunale di Palmi é stata appellata dal
Bellocco. La Corte di Appello di Reggio Calabria, definendo il
gravame con la sentenza n. 926/09, emessa il 25 giugno 2009 e
depositata il 29 settembre 2009, ha accolto l’appello dell’imputato e
lo ha assolto per non avere commesso il fatto. Le ragioni della
pronuncia dei giudici di secondo grado consistono essenzialmente
nella (ritenuta) genericità delle dichiarazioni accusatorie del
Gregorio, nella (ritenuta) assenza di riscontri individualizzanti alle
stesse e nella (ritenuta) esistenza di elementi di segno contrario,
favorevoli cioè al Bellocco (quali, ad esempio, le pronunce già
ricordate del giudice della prevenzione e del Magistrato di
Sorveglianza), tali da far ritenere che costui non fosse collegato in
modo stabile e significativo ad ambienti criminali di tipo mafioso”.
Su tali premesse, il Tribunale di Reggio Calabria ha ritenuto che la
proposta di applicazione di misura di prevenzione personale,
avanzata nei confronti del Bellocco, dovesse essere respinta per
difetto di attualità della pericolosità sociale, posto che ” … nel corso
dell’ultimo decennio la pericolosità sociale del Bellocco è stata
esclusa da tutti i Giudici che sono stati chiamati a valutarne la
permanenza”, valutazione del Tribunale, pur certamente opinabile,
che, in tali termini formulata, non ha, però, certo costituito oggetto
di doglianze, in sede di appello, da parte del Bellocco, posto che il
decreto del Tribunale, naturalmente, è stato fatto oggetto di

14

appello da parte del solo Procuratore della Repubblica per quanto
di ragione.
Ciò detto, è del tutto evidente che, comunque, tale valutazione è
sottesa alla decisione della Corte di merito, che prende le mosse
dal decreto del Tribunale e ne rivisita la sola parte oggetto del
ricorso del pubblico ministero, ossia la specifica statuizione
patrimoniale: resta dunque confermato che il Bellocco, nato nel

1950, infine, raggiunse, ancor giovane, l’acme della sua devianza
dopo il trentennio di vita, tanto che fu condannato a cinque anni di
reclusione per fatti di associazione commessi in Rosarno fino al
1983, per essere poi sottoposto alla misura di sicurezza della
libertà vigilata una volta espiata la sua pena; dunque, è certo che
il prevenuto ha lungamente dedicato ogni sua energia, per tutta la
prima parte della sua vita, alla devianza, il che gli ha consentito
poi di vivere con i proventi di tali attività criminose se, sul punto,
nulla, in ordine a lecite attività lavorative poste mai in essere dal
Bellocco e che fossero davvero proporzionate al valore del bene in

confisca, emerge dalle decisioni di merito – né, del resto, in ordine
a tale tema della lecita e proporzionata capienza economica del
Bellocco risulta, da tali decisioni, che il Bellocco abbia mai nulla
allegato di decisivo. Allegazione che sarebbe stata particolarmente
doverosa, se si tiene conto che, nella decisione impugnata, si legge
che ” … il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
appellava il decreto, chiedendo il sequestro e la confisca del bene
immobile, deducendo che Bellocco era semplice pensionato INPS e
i redditi della moglie di limitata entità; l’edificio era una villa a 2
piani di 230 mq. ciascuno, lussuosamente arredata;
dall’informativa della Guardia di finanza del 3.4.2010 risultava che
l’intestatario formale del suolo era Raso, i cui eredi mai nulla
avevano contestato alla Venanzio o al Bellocco; l’epoca di
realizzazione del manufatto al rustico era da collocarsi in epoca
prossima al condono dei 1995, unico dato incontrovertibile era la

data di stipula del contratto con l’Enel risalente al 26.2.1997; di
fatto la villa era occupata dal Bellocco che dal 2006 vi abitava
assieme alla sua famiglia e riceveva anche le relative notifiche e
comunicazioni; la suocera Venanzio risiedeva in altro immobile di
sua proprietà in Rosarno, c.da Bosco IV, stradone 6; tutte queste

15

circostanze erano idonee a considerare il bene nella obiettiva
disponibilità del Bellocco, mentre la suocera appariva ab initio non
avere alcun titolo sull’edificio”.
Dunque, una valutazione della Corte di merito in punto di
pertinenzialità della anteatta pericolosità del Bellocco rispetto
all’acquisizione del bene in confisca non può dirsi affatto assente.
Con il che, dunque, può dirsi stabilita la relazione cronologica tra

pericolosità sociale del Bellocco ed acquisizione dei ben investigati: con
l’effetto per il quale, in un caso come quello di specie, la misura
patrimoniale della confisca, di per sé di natura plurale o polivalente (su
siffatta natura plurale o polivalente della confisca, su di un piano
teorico generale, debito é il rinvio a Cass., Sez. Un., n. 26654 del
27/03/2008, dep. 02/07/2008, Fisia Italimpianti Spa e altri, Rv.
239925), può dirsi riacquistare la sua fisionomia di misura di
sicurezza, intesa a fronteggiare una pericolosità del prevenuto
attuale al momento dell’acquisizione della disponibilità dei beni in
confisca, con quanto ne segue in punta di riflesso di tale pericolosità
sui medesimi beni confiscati ed in punto, per l’effetto, di possibile
efficacia retroattiva della normativa novellistica dinanzi ricordata;
novella che può dunque, in un caso come quello in esame,
disciplinare anche fattispecie realizzatesi, prima dell’entrata in
vigore della stessa, pur in assenza di una pericolosità attuale del
destinatario della misura patrimoniale.
Sul punto, va poi e comunque osservato che, quanto all’applicabilità
delle modifiche introdotte dalla

I.

n. 94 del 2009 anche alle

fattispecie realizzatesi prima della I. n. 94 cit., questa Sezione della
Suprema Corte (Cass., Sez. 2, n. 39204 del 17/05/2013, dep.
23/09/2013, Ferrara e altro, Rv. 256141) ha affermato il principio
per il quale la previsione contenuta nella legge n. 94 del 2009 che,
modificando l’art. 2-bis della legge n. 575 del 1965, consente al
giudice di irrogare le misure di prevenzione patrimoniali anche
prescindendo dalla verifica della pericolosità attuale del proposto,
si applica anche alle fattispecie realizzatesi prima dell’entrata in
vigore della legge citata. Nell’affermare il principio, la Corte ha
precisato che, il venir meno del presupposto della pericolosità
sociale non ha modificato la natura della confisca di prevenzione, da
intendersi sempre come sanzione amministrativa, equiparabile,

16

quanto al contenuto e agli effetti, alla misura di sicurezza della
confisca di cui all’art. 240, comma 2, cod. pen., per cui ad essa si
applica il disposto dell’art. 200 cod. pen.; ed il principio è stato
ribadito, poi, anche da altra decisione di questa Suprema Corte
(Cass., Sez. 6, n. 24272 del 15/01/2013, dep. 04/06/2013, P.G.
in proc. Pascali e altri, Rv. 256804), ove è stato affermato che la
previsione contenuta nella legge 15 luglio 2009, n. 94, che,

modificando l’art. 2-bis della legge 31 maggio 1965, n. 575,
consente al giudice di adottare le misure di prevenzione
patrimoniale anche prescindendo dalla verifica della pericolosità
attuale del proposto, si applica anche ai procedimenti iniziati in
epoca antecedente alla sua entrata in vigore.
13.Quanto ad ogni altra deduzione variamente svolta nel
provvedimento impugnato, funzionale a contestare la decisione
impugnata, va poi solo osservato che, in sede di legittimità, non è
deducibile il vizio di motivazione, a meno che questa non sia del
tutto carente o presenti difetti tali da renderla meramente
apparente e in realtà inesistente, ovvero si presenti come
assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito
dal giudice di merito oppure, ancora, allorché le linee argomentative
del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei
necessari passaggi logici da fare risultare oscure le ragioni che
hanno giustificato la decisione sulla misura. In tali casi, ben può
ravvisarsi violazione di legge per mancata osservanza, da parte del
giudice di merito, dell’obbligo, sancito dal comma decimo del citato
art. 4 della I. n. 1423 del 1956, di provvedere con decreto motivato
(in tal senso, tra le numerose, Cass., Sez. 6, n. 24272/2013, cit..
Rv. 256805, ove si assume che, nel procedimento di prevenzione, il
ricorso per cassazione è ammissibile solo per violazione di legge,
con la conseguenza che il vizio della motivazione del decreto può
essere dedotto solo qualora se ne contesti l’inesistenza o la mera
apparenza – fattispecie in cui la Suprema Corte ha annullato con
rinvio per difetto di motivazione il decreto impugnato che aveva
revocato la confisca disposta in primo grado senza tener conto degli
accertamenti di polizia giudiziaria acquisiti agli atti e relativi alla
situazione reddituale e finanziaria riferibile al proposto; cfr., altresì
Cass., Sez. 6, n. 35240 del 27/06/2013, dep. 21/08/2013,

17

Cardone a altri, Rv. 256263, ove si afferma che, nel procedimento
di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso solo per
violazione di legge, con la conseguenza che il vizio della motivazione
del decreto può dunque essere dedotto solo qualora se ne contesti
l’inesistenza o la mera apparenza).
Non può pertanto condividersi la generale denuncia contenuta in
ricorso in merito al presentare, il provvedimento impugnato, difetti

giustificare doglianza in questa sede di legittimità.
Da qui il rigetto del ricorso del Bellocco.
14. Alla pronuncia consegue la condanna Bellocco Michele, Cananzi Maria
Rosa e Venanzio Angiolina al pagamento delle spese processuali
nonché la condanna di Cananzi Maria Rosa e Venanzio Angiolina,
considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, al pagamento altresì
della somma di euro 1.000,00 ciascuna alla Cassa delle ammende

PQM

Rigetta il ricorso di Bellocco Michele che condanna al pagamento delle
spese processuali; dichiara inammissibile il ricorso di Cananzi Maria Rosa
e Venanzio Angiolina che condanna al pagamento delle spese
processuali nonché al pagamento della somma di euro 1.000,00
alla Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, camera di consiglio del 29.4.2014

tali da rendere la motivazione dello stesso talmente incongrua da

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA