Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24272 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 24272 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Di Meo Francesco, nato a Cerignola il 17/11/1978
Fratepietro Giuseppe, nato a Cerignola il 14/12/1976
avverso la sentenza 19/4/2013 della Corte d’appello di Potenza sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Giuseppe Volpe, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso del Di Meo
e per il rigetto del ricorso del Fratepietro;
udito per Fratepietro Giuseppe, l’avv. Francesco Santangelo, che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 19/4/2013, la Corte di appello di Potenza,

applicate agli imputati le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai
pubblici uffici e dell’interdizione legale durante la durata della pena,

1

Data Udienza: 29/05/2014

v

confermava la sentenza del del Gup presso il Tribunale di Matera, in data
10/7/2012, che aveva condannato Di Meo Francesco e Fratepietro Giuseppe
alla pena di anni sei di reclusione ed €. 2.000,00 di multa per il reato di
concorso in rapina aggravata.

2.

La Corte territoriale, accogliendo l’appello del RG., disponeva

l’applicazione delle pene accessorie e respingeva le censure mosse dagli
accertata la penale responsabilità dei

prevenuti in ordine alla rapina aggravata loro concorsualmente ascritta, ed
equa la pena inflitta.

3.

Avverso tale sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati per

mezzo del rispettivi difensori di fiducia.
4.

Di Meo Francesco solleva un unico motivo di gravame con il quale

deduce vizio della motivazione, dolendosi di motivazione insufficiente ed
illogica circa l’accertamento della responsabilità del prevenuto per il fattoreato a lui ascritto.
5.

Fratepietro Giuseppe deduce violazione di legge e vizio della

motivazione. Al riguardo si duole che la Corte d’appello si sia riportata alla
sentenza di primo grado, eludendo le questioni sollevate con l’appello,
incorrendo così nel vizio di motivazione apparente. Contesta che gli
elementi a carico dell’imputato, come l’impronta papillare ritrovata su un
mod. f23 utilizzato dai rapinatori, possano avere valore decisivo ed
eccepisce che, per l’assenza di violenza e minaccia il fatto avrebbe dovuto
essere qualificato come furto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso di Di Meo Francesco è inammissibile per aspecificità. Il

ricorrente si lamenta genericamente di vizi della motivazione e contesta le
conclusioni cui sono pervenuti i giudici del merito, ma non è in grado di
specificare le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono
l’impugnazione, incorrendo così nel vizio di aspecificità che porta
all’inammissibilità dell’impugnazione, a norma dell’art. 591, comma 1, lett.
C, cod. proc. pen.

imputati appellanti ritenendo

k,

2.

Il ricorso di Fratepietro Giuseppe è parzialmente inammissibile e

comunque infondato. Invero il ricorrente, pur avendo formalmente
denunciato il vizio di violazione di legge e difetto di motivazione (fondandolo
sulla dedotta mancanza di esplicita confutazione delle questioni sollevate
dall’appellante) ha, tuttavia, nella sostanza, svolto ragioni che costituiscono
una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di appello
con la finalità di ottenere una nuova valutazione delle prove stesse; e ciò

intervento di questa Corte in sovrapposizione argomentativa rispetto alle
conclusioni legittimamente assunte dalla Corte di merito.

3.

Nel caso di specie la Corte territoriale ha respinto le censure

sollevate dagli appellanti, richiamando il complesso degli elementi a carico,
che giustificano l’affermazione di responsabilità per entrambi. Nel contesto
di tali elementi, il rilievo dell’impronta papillare è solo un elemento indiziario
che si integra con gli altri elementi derivanti dalle dichiarazioni della
direttrice della filiale e dalla visione dei filmati dell’impianto di
videosorveglianza, dai quali risulta che i rapinatori entrarono nella Filiale a
viso scoperto, provvedendo subito dopo a mascherarsi. Pertanto le censure
del ricorrente, incentrate sulla concludenza probatoria della prova indiziaria
relativa all’impronta papillare risultano infondate. In argomento, si è
spiegato che non costituisce vizio della motivazione qualsiasi omissione
concernente l’analisi di determinati elementi probatori, in quanto la
rilevanza dei singoli dati non può essere accertata estrapolandoli dal
contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il
complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e
una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente
consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza
logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo
caso, implicitamente confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del
23/3/2000 (ud. 15/2/2000), Rv. 215722, Re Carlo; Sez. 5, Sentenza n.
3980 del 15/10/2003 (Ud. 23/9/2003) Rv.226230, Fabrizi; Sez. 5, Sentenza
n. 7572 del 11/6/1999 (ud. 22/4/1999) Rv. 213643, Maffeis). È il caso di
aggiungere che la sentenza impugnata va necessariamente integrata con
quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, derivandone
che i giudici di merito hanno spiegato in maniera adeguata e logica, le
risultanze confluenti nella certezza della responsabilità di entrambi gli

non è consentito in questa sede perchè comporterebbe un inammissibile

imputati per il reato loro contestato.

4.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – in caso di
inammissibilità, ravvisandosi profili di colpa – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del

dictum della Corte

euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di Dimeo Francesco e lo condanna al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa
delle ammende.
Rigetta il ricorso di Fratepietro Giuseppe, che condanna al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso, il 29 maggio 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in

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