Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24252 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24252 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
HAMDY HADEL AHMED AIIIKP N. IL 12/01/1951
avverso la sentenza n. 5247/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del
18/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Geperale in persoya del Dott.
che ha concluso per t4
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udi4ifenso4Avv. a.; C (4,h40

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Data Udienza: 17/04/2013

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 18 aprile 2012, ha
confermato la sentenza del GIP presso il Tribunale di Milano del 16 aprile 2008,
emessa a seguito di rito abbreviato, che aveva condannato Hamdy Hadel Ahmed,

2006, per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cessazione l’imputato, a
mezzo del proprio difensore, il quale lamenta, quale unico motivo, una violazione
di legge e una motivazione illogica circa l’affermazione della propria penale
responsabilità, con particolare riferimento alla sussistenza dell’elemento
soggettivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è da rigettare.
2. Invero, da un lato, la Corte territoriale ha chiaramente affermato come
il ricorrente, formalmente incaricato della gestione della società fallita, non abbia
evidenziato alcuna valida giustificazione che dimostrasse un assoluto
impedimento all’esercizio dei propri doveri di amministratore, tra i quali la
corretta tenuta delle scritture contabili.
La Corte territoriale non aveva, poi, bisogno di molte parole per
affermare, come in effetti fatto sulla base delle dichiarazioni del Curatore e dello
stesso imputato, l’impossibilità di una ricostruzione in maniera esatta delle
scritture contabili della società decotta a cagione dell’inesistenza delle stesse
presso la sede sociale.
A ciò si aggiunga, come in tema di motivazione per relationem il
collegamento tra le sentenze di primo e secondo grado risulti perfettamente
operato non ravvisandosi alcuna omissione nel ragionamento seguito dalla Corte
territoriale per disattendere le doglianze avanzate dagli appellanti.
3.

Quanto, invece, alla responsabilità per il reato di bancarotta

documentale, in risposta alle doglianze del ricorrente si deve ricordare che la
colpa dell’imprenditore è ravvisabile quando egli abbia affidato a soggetti
estranei all’amministrazione dell’azienda la tenuta delle scritture e dei libri
contabili, perché su di lui grava, oltre all’onere di un’oculata scelta del
1

legale rappresentante della I.T.I. Group s.r.I., dichiarata fallita il 28 settembre

professionista incaricato e alla connessa eventuale “culpa in eligendo”, anche
quello di controllarne l’operato (v. Cass. Sez. V 10 luglio 2007 n. 32586).
E, d’altronde, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale prevista
dalla L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2, l’elemento psicologico deve essere
individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare
tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la
ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore, per la bancarotta
sostenuta indifferentemente dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando
l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le
scritture (v. Cass. Sez. V 18 ottobre 2005 n. 6769).
Un’altra differenza tra la previsione dell’articolo 216 e quella della norma
successiva è di natura oggettiva; mentre l’articolo 216 richiede che i libri siano
tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del
movimento degli affari, per l’articolo 217 è sufficiente che l’imprenditore fallito
non abbia tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li abbia
tenuti in maniera irregolare o incompleta (v. Cass. Sez. V 20 febbraio 2001 n.
6901 e Sez. V 6 ottobre 2011 n. 48523).
Nella specie, la Corte territoriale ha, da un lato, evidenziato l’elemento
oggettivo nascente dall’impossibilità di ricostruire le vicende societarie a cagione
della mancanza delle scritture contabili e, d’altra parte, la coscienza e volontà
della contestata irregolarità, non dovuta a mera disattenzione o negligenza.
4. Dal rigetto del ricorso deriva la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.T.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17/4/2013.

semplice prevista dalla L. Fall., articolo 217, comma 2, la condotta deve essere

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