Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24250 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24250 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
METOUI OUSSAMA N. IL 16/01/1983
avverso la sentenza n. 74/2012 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
13/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ihitt4444 fh&Z.1,4
che ha concluso per i 4444,4a4:4,1,
eti

mu4,0

Udito, per la parte civile, l’Avv
UditetlifensoaAvv. 4444 AAtikats

Data Udienza: 17/04/2013

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 13 marzo 2012, ha
confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo del 7 luglio 2011, nei confronti
di Metoui Oussama condannato per il delitto di lesioni personali pluriaggravate in

consistenti in un traumatismo di faccia e naso, ampia ferita lacero-contusa
all’emivolto sinistro, frattura ossa nasali nonché ferita perforante del bulbo
oculare in presenza di prolasso del contenuto endobulbare, distacco emorragico
della coroide e compromissione anatomica e funzionale del bulbo oculare; con la
recidiva reiterata ed infraquinquennale.
2. Avverso tale sentenza ha proposto un primo ricorso per cassazione
l’imputato, a mezzo del proprio difensore, il quale lamenta:
a) una motivazione illogica e una violazione di legge in ordine alla
valutazione della prova testimoniale a discarico di Carniti Anna, resa in prime
cure all’udienza del 24 maggio 2011;
b) una motivazione illogica e una violazione di legge in merito alla
valutazione della prova testimoniale a discarico di Invernizzi Cinzia e di Invernizzi
Maddalena, resa sempre in prime cure all’udienza del 24 maggio 2011;
c) una motivazione omessa circa la valutazione della deposizione
testimoniale di Carniti Simona, resa sempre all’udienza del 24 maggio 2011;
d) una motivazione illogica nonché contrastante con altri atti processuali
quanto alla valutazione della deposizione testimoniale di Billato Walter, resa in
prime cure all’udienza del 22 marzo 2011;
e) una motivazione illogica quanto alla valutazione dell’attendibilità e del
valore processuale delle individuazioni fotografiche effettuate, ex articolo 361
cod.proc.pen., da Magiteri Davide e Albanese Davide ma non confermate in
dibattimento;
f)

una motivazione illogica con riferimento alla valutazione della

testimonianza di Lorenzi Adam, resa in prime cure all’udienza del 7 giugno 2011;
g) una motivazione illogica quanto alla valutazione del comportamento
tenuto dall’imputato dopo i fatti di causa, delle sue dichiarazioni dibattimentali e
alle modalità di effettuazione dell’individuazione fotografica;

1

danno di Agazzi Michele, cagionate a mezzo di una bottiglia scheggiata e

h) una violazione di legge e una motivazione illogica in merito
all’utilizzazione da parte del giudicante d’appello delle valutazioni compiute dal
Tribunale del riesame in sede di giudizio incidentale cautelare;
i) una violazione di legge, con particolare riferimento al divieto di
reformatio in peius quanto alla pena irrogata in appello quale base per il calcolo
complessivo; quanto all’aumento operato per la contestata aggravante delle
lesioni personali e quanto all’affermazione della sussistenza dell’aggravante dei
3) A sua volta, l’imputato ha proposto ricorso personalmente, nel quale
riproduce pedissequamente il ricorso del difensore ad eccezione del motivo VI
bis, con il quale si deduce un vizio motivazionale relativamente alla ricostruzione
temporale degli accadimenti effettuata dal Tribunale in prime cure.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non merita accoglimento, essendo ai limiti dell’inammissibilità
in quanto si ripropongono, soprattutto quanto ai profili attinenti l’affermazione
della penale responsabilità, le medesime doglianze avanzate in sede di appello e
disattese logicamente dalla Corte territoriale.
2. Come ribadito costantemente da questa Corte (v. a partire da Sez. VI
15 marzo 2006 n. 10951 fino di recente a Sez. V 6 ottobre 2009 n. 44914), pur
dopo la nuova formulazione del suddetto articolo 606 cod.proc.pen., lett. e),
novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 8, il sindacato del Giudice di
legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere
volto a verificare che la motivazione della pronunzia:
a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a
rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione
adottata;
b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi
punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori
nell’applicazione delle regole della logica;
c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute;
d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo”
(indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno
2

futili motivi.

del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente
inficiata sotto il profilo logico.
Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente
siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del
giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle
responsabilità, nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più
persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.

non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere
obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica
spiegazione – siano in grado di superare obbiezioni e dati di segno contrario, di
fondare il convincimento del Giudice e di consentirne la rappresentazione, in
termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del
provvedimento.
Il Giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla
persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e
internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti
del processo”.
Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di
una pluralità di deduzioni connesse a diversi “atti del processo” e di una correlata
pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente
unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza
della “resistenza” logica del ragionamento del Giudice.
Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di
merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa.
Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo
Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale
dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di
intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito dal Giudice per giungere alla decisione.
Il che è quanto avvenuto nel caso di specie, in cui il ricorrente offre una
completa rilettura dell’istruttoria dibattimentale tentando di avvalorare le proprie
3

Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno

già espresse asserzioni defensionali senza, peraltro, riuscire nell’intento di
dimostrare la lamentata illogicità di una motivazione, al contrario, sorretta da
adeguati riscontri.
A ciò si aggiunga come, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si
trovi dinanzi a una “doppia pronuncia conforme” e cioè a una doppia pronuncia
(in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di
assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento possa essere rilevato in sede di
ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio
asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di
valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (v. Cass. Sez.
IV 10 febbraio 2009 n. 20395).
Inoltre, in tema di sentenza di appello, non sussiste mancanza o vizio
della motivazione allorquando i Giudici di secondo grado, in conseguenza della
completezza e della correttezza dell’indagine svolta in primo grado, nonché della
corrispondente motivazione, seguano le grandi linee del discorso del primo
Giudice.
Ed invero, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello,
fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e
inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione (v. Cass. Sez. H 15 maggio 2008 n. 19947).
La sentenza di merito non è, poi, tenuta a compiere un’analisi
approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame
dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche
attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in
modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni
fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente
disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate,
siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. Cass. Sez. IV 13
maggio 2011 n. 26660); infine, l’omesso esame di un motivo d’appello non è
causa di nullità della sentenza se il motivo è manifestamente infondato (v. Cass.
Sez. V 18 febbraio 1992 n. 3952).
Tutto ciò premesso, in linea generale, occorre procedere all’esame della
pletora delle doglianze (diciotto motivi nel ricorso a firma avv. Angarano,
mancando il motivo VII e diciannove motivi, essendo presente il motivo VI bis in
luogo del motivo VII del pari mancante, nel ricorso a firma dell’imputato) nelle
parti aventi carattere di peculiarità, tenendo ben presente il dettato dell’articolo
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legittimità, ex articolo 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e), solo nel caso in cui il

173, comma 1. delle norme di attuazione del codice di procedura che afferma che
“I motivi del ricorso sono enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione”.
3. Un primo gruppo di motivi (v. motivi da I a VI ed VIII per entrambi i
ricorsi) attiene al preteso vizio di motivazione, nella sua completa estensione
(dalla mancanza, alla manifesta illogicità, alla contraddittorietà interna o
intrinseca), dell’impugnata sentenza con particolare riferimento alla valutazione
Maddalena, Carniti Simona e Carniti Anita e di quella del teste Billato.
A tal proposito, per affermarsene l’inammissibilità, basta ribadire quanto
dianzi espresso in merito alla natura del giudizio di legittimità, che non è giudizio
sul fatto ma sulla valutazione del fatto; alla possibilità di contestare la medesima
e conforme valutazione operata da entrambi i Giudici del merito sul medesimo
materiale probatorio; alla giuridica impossibilità per la Corte di accedere agli atti
processuali contenenti le deposizioni dei testimoni allorquando, come nella
specie, non si ravvisi alcuna “manifesta” illogicità nello svolgimento del
ragionamento, che ha condotto all’affermazione della penale responsabilità
dell’imputato ricorrente e tenendo conto della complessiva valutazione operata
dalla sentenza d’appello, che costituisce, pur sempre, l’oggetto esclusivo
dell’esame di legittimità.
Al generale obbligo di motivazione corrisponde, inoltre, un ulteriore
obbligo specifico in punto di apprezzamento del corredo probatorio, giacché
paradigmaticamente, a norma dell’articolo 192, comma 1, del codice di rito, dei
risultati che scaturiscono dalla valutazione della prova e dei criteri adottati (il
profilo “sostanziale” del tasso di persuasività della prova, e quello “metodologico”
del percorso seguito per giungere a quel determinato convincimento) il Giudice è
chiamato a darne conto nella motivazione.
I limiti che, pertanto, presenta nel giudizio di legittimità il sindacato sulla
motivazione, ineluttabilmente si riflettono, dunque, anche sul controllo in ordine
alla valutazione della prova, giacché altrimenti anziché verificare la correttezza
del percorso decisionale adottato dai Giudici del merito, alla Corte di Cassazione
sarebbe riservato un compito di rivalutazione delle acquisizioni probatorie,
sostituendo, in ipotesi, all’apprezzamento motivatamente svolto nella sentenza
impugnata, una nuova e alternativa valutazione delle risultanze processuali che
ineluttabilmente sconfinerebbe in un eccentrico terzo grado di giudizio.
Da qui, il ripetuto e constante dianzi citato insegnamento in forza del
quale, alla luce degli espressi e non casuali limiti che circoscrivono, a norma
5

delle deposizioni testimoniali dei testi a discarico Invernizzi Cinzia, Invernizzi

dell’articolo 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., il controllo del vizio di
motivazione in Cassazione la Corte non deve stabilire se la decisione di merito
proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare, sulla base del testo del
provvedimento impugnato, se questa giustificazione sia compatibile con il senso
comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento: e ciò proprio
perché il richiamato articolo 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., non consente

argomentativo e la non manifesta illogicità del relativo percorso, di procedere ad
una diversa lettura dei dati processuali o ad una diversa interpretazione delle
prove (o della relativa affidabilità ed inferenza), perché è estraneo al giudizio di
legittimità il controllo della correttezza della motivazione in rapporto ai dati
processuali.
Sui punti controversi la Corte territoriale ha dato conto adeguatamente
delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, del tutto
immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della
plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione e, pertanto, sottratta a ogni
sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità; questa Corte non rileva
nel tessuto motivazionale del provvedimento impugnato: nè il vizio della
contraddittorietà della motivazione, che consiste nel concorso (dialetticamente
irrisolto) di proposizioni (testuali ovvero extra testuali, contenute in atti del
procedimento specificamente indicati dal ricorrente), concernenti punti decisivi e
assolutamente inconciliabili tra loro, tali che l’affermazione dell’una implichi
necessariamente e univocamente la negazione dell’altra e viceversa; nè il vizio
della illogicità manifesta che consegue alla violazione di alcuno degli altri principi
della logica formale e dei canoni normativi di valutazione della prova, ai sensi
dell’articolo 192 cod.proc.pen., ovvero alla invalidità (o scorrettezza)
dell’argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione
o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e la conclusione.
Nella specie le censure contenute negli indicati motivi dei ricorsi
s’incentrano maggiormente su asserzioni circa una diversa ricostruzione dei fatti,
piuttosto che su critiche all’operato dei Giudici del merito e di conseguenza si
manifestano in tutta la loro genericità.
4. Un secondo gruppo di motivi (da IX a XII dei ricorsi) ha come
riferimento le individuazioni fotografiche dell’imputato, rese in sede d’indagine
preliminare nell’immediatezza dei fatti, dai testi Magiteri e Albanese che però, in

6

alla Corte, che deve limitarsi ad apprezzare la adeguatezza del corredo

sede dibattimentale, non hanno riconosciuto l’imputato stesso, pur confermando
la pregressa identificazione fotografica.
Al riguardo occorre ulteriormente chiarire che, come più volte precisato da
questa Corte (v. da ultimo, Cass. Sez. III 5 maggio 2010 n. 23432 e Sez. II 29
marzo 2011 n. 17336), la ricognizione formale di cui all’articolo 213
cod.proc.pen., non è, per il principio della non tassatività dei mezzi di prova,
l’unico strumento probatorio idoneo alla dimostrazione dei fatti e che, pertanto, il

ricognizione non è affetto da patologie processuali, quali la nullità o la
inutilizzabilità.
A differenza, poi, della formale ricognizione di persona, che costituisce un
mezzo di prova dettagliatamente disciplinato dalla legge processuale, il
riconoscimento fotografico operato in sede di indagini di p.g. non è regolato dal
codice di rito e costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in giudizio in base
ai principi di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del
Giudice; in proposito la giurisprudenza ha precisato che la certezza della prova
non discende dal riconoscimento come strumento probatorio (per cui non
assumono valore le contestazioni mosse alle modalità del riconoscimento di cui al
motivo XIV pagine 56 e 57 del ricorso a firma dell’avvocato Angarano e pagina
58 del ricorso personale), ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si
dica certo dell’individuazione (v. Cass. Sez. V 10 febbraio 2009 n. 22612 e e Sez.
V 6 aprile 2011 n. 19638).
Ebbene, ciò precisato e secondo la stessa giurisprudenza citata alle
pagine 46 e 47 del ricorso dell’avvocato e a pagina 48 del ricorso personale (v.
Cass. Sez. IV 12 gennaio 2011 n. 8272), è certamente vero che non si può
attribuire alla individuazione fotografica una attendibilità e una efficacia
probatoria superiore alla ricognizione di persone.
D’altro canto, neppure può, con assolutezza, affermarsi che l’esito
negativo della ricognizione debba in ogni caso costituire prova piena “resistente”
a qualsiasi smentita, potendo risultare dalla motivazione impugnata una ragione
logicamente e giuridicamente resistente alle doglianze impugnatorie circa la
prevalenza dell’individuazione fotografica rispetto al mancato riconoscimento
formale.
Solo in tal caso riprenderebbero vigore il valore indiziario del
riconoscimento fotografico e l’efficacia probatoria dell’esame testimoniale.
Per rispondere, poi, ai rilievi del ricorrente, è sufficiente richiamare in
questa sede l’orientamento consolidato secondo cui l’individuazione di un
7

riconoscimento effettuato senza l’osservanza delle formalità prescritte per la

soggetto – sia personale che fotografica – è una manifestazione riproduttiva di
una percezione visiva e rappresenta, una specie del più generale concetto di
dichiarazione; pertanto la sua forza probatoria non discende dalle modalità
formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla
stessa stregua della deposizione testimoniale (v. Cass. Sez. VI 5 dicembre 2007
n. 6582).
In questo senso, quindi, non può essere sindacata in questa sede, in

ritenuto comunque attendibile l’originaria individuazione fotografica, ribadita in
sede dibattimentale anche se non corroborata dal riconoscimento personale in
sede di dibattimento in quanto non vi era stata una ritrattazione e vi era stato, a
seguito di rinnovazione dibattimentale ex articolo 507 cod.proc.pen., il
riconoscimento dell’imputato presente da parte dell’ulteriore teste Lorenzi.
Né, infine, i rilievi concernenti la capacità dimostrativa della prova
possono formare, evidentemente, oggetto di sindacato nel giudizio di Cassazione
non rilevando in questa sede il merito della decisione ma solo la correttezza della
motivazione (v. Cass. Sez. V 24 maggio 2006 n. 36764).
5. Quanto ai motivi relativi all’attendibilità del dianzi citato teste Lorenzi
(XIII dei ricorsi) nonché del comportamento tenuto dall’imputato dopo i fatti e
della valutazione delle sue dichiarazioni (XIV dei ricorsi) possono ripetersi le
considerazioni circa i poteri di questa Corte di legittimità nel rileggere tale
testimonianza, tale comportamento e tali dichiarazioni (v. punto n. 3), una volta
che la Corte territoriale abbia espresso il suo logico convincimento e dopo aver
preso in considerazione le doglianze contenute nell’atto di appello (v. pagine 10 e
11 della motivazione).
6. Quanto al gruppo di motivi (da XV a XVII dei ricorsi) relativo
all’utilizzazione in sede dibattimentale delle valutazioni compiute dal Tribunale
del riesame in sede di procedimento incidentale de libertate, giova premettere
come per consolidata giurisprudenza di legittimità (v. da ultimo Cass. Sez. V 16
marzo 2010 n. 16285), in tema di prova, le pronunce sulla validità ed
utilizzabilità del mezzo di prova compiute in sede di giudizio incidentale
promosso per il riesame di misure cautelari personali, anche all’esito del giudizio
di legittimità, non possono ritenersi vincolanti per il Giudice del dibattimento, con
la conseguenza che, in relazione alla validità delle acquisizioni disposte nel corso
delle indagini preliminari e alla loro utilizzabilità, qualsiasi decisione adottata
nella sede cautelare non può travalicarne i limiti fino a giungere a precludere al
Giudice del dibattimento il potere-dovere di un’autonoma ed indipendente
8

quanto correttamente motivata, la decisione dei Giudici di appello che hanno

valutazione della prova, anche sotto il profilo della legittimità delle procedure
acquisitive (v. Cass. Sez. IV 4 dicembre 2006 n. 19331), nessun effetto
preclusivo per il giudizio principale potendo derivare da un provvedimento
definitivo, reso nell’ambito di un procedimento incidentale de libertate, in quanto
esiste autonomia assoluta tra giudizio cautelare e giudizio di merito (v. Cass.
Sez. VI 8 febbraio 2007 n. 14653).
Il che è accaduto nella specie, avendo la Corte territoriale semplicemente
discarico Invernizzi Cinzia e Invernizzi Maddalena con quanto già espresso su
alcune circostanze di fatto dal Tribunale del riesame, ma senza far dipendere
esclusivamente da tali evidenze di inattendibilità delle testi l’affermazione della
penale responsabilità dell’odierno ricorrente.
L’utilizzazione delle evidenze contra reo piuttosto che a suo vantaggio
rientra, poi, nei fisiologici poteri decisionali del Giudice del merito per cui
allorquando la motivazione, come nella specie, sia convincente e giuridicamente
corretta non può richiedersi a questa Corte di legittimità un’ulteriore valutazione
dei fatti.
7. Quanto ai motivi relativi alla pretesa violazione del divieto di reformatio
in peius (XVIII e XIX dei ricorsi) giova premettere come secondo la
giurisprudenza consolidata di questa Corte, in caso di condanna dell’imputato, in
primo grado, per un reato aggravato, quando venga esclusa, su mera
impugnazione dello stesso, una circostanza aggravante contestata, il Giudice
dell’appello, pur irrogando una pena inferiore a quella comminata nel precedente
grado di giudizio, non può assumere, come pena base, una di entità maggiore di
quella determinata in primo grado (v. a partire dalla citata, Cass. Sez. Un. 27
luglio 2005 n. 40910).
Nella specie però, in prime cure (v. pagina 8 della motivazione) la pena
complessiva per il ritenuto reato di lesioni personali gravissime (articoli 582 e
583, secondo comma n. 4 cod.pen.) era stata quella di anni otto, con
specificazione del mero aumento di anni due dal minimo edittale di anni sei, a cui
si era aggiunta ulteriormente la circostanza aggravante dei motivi futili (articolo
61 n. 1 cod.pen.) per un ulteriore anno di reclusione.
In appello (v. pagina 14 della motivazione), la pena per il confermato
reato di cui agli indicati articoli è stata ribadita in quella di anni otto, non
essendo stata ritenuta alcuna ipotesi attenuata di lesioni personali o altra
generica diminuente della pena; a tale pena si è aggiunto l’anno per l’aggravante
dei futili motivi, del pari confermata.
9

corroborato le proprie valutazioni circa l’attendibilità delle testimonianze a

Non si vede, pertanto, quale reformatio in peius si sia verificata in un
trattamento sanzionatorio del tutto identico in prime e seconde cure.
8. Con riferimento all’ultimo motivo (XX del ricorso) si osserva come la
quantificazione della pena non sia avvenuta in maniera illegale e il Giudice del
merito, avvalendosi dei suoi poteri di esame dei fatti e della personalità del reo,
ne abbia giustificato logicamente l’applicazione.
Come, del pari, siano stati ritenuti sussistenti i futili motivi idonei
La Corte territoriale ha chiarito, in punto di fatto, come l’aggressione
dell’imputato fosse derivata esclusivamente dall’essersi la persona offesa, in
origine estranea alla lite iniziale, successivamente intromessa tentando di sedare
gli animi e ne ha fatto discendere da ciò l’abiezione del motivo scatenante la
feroce reazione, adeguandosi ai principi costantemente affermati in proposito
dalla giurisprudenza (v. da ultimo Cass. Sez. VI 2 luglio 2012 n. 28111).
Questa Suprema Corte, invero, ha da tempo chiarito, sulla base di una
pacifica linea interpretativa, i presupposti per la configurabilità della circostanza
aggravante dei futili motivi di cui all’articolo 61 cod.pen., n. 1, che ricorre
quando la determinazione criminosa sta stata causata da uno stimolo esterno
così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire,
secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare
l’azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante
dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale (v. Cass. Sez.
I 13 ottobre 2010 n. 39261).
Entro tale prospettiva ermeneutica, tuttavia, è pur sempre necessario che
il giudizio sulla futilità del motivo non sia riferito ad un comportamento medio,
stante la difficoltà di definire i contorni di un simile astratto modello di agire, ma
sia più opportunamente ricondotto agli elementi concreti del caso, tenendo conto
delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, del contesto sociale e del
particolare momento in cui il fatto si è verificato, nonché dei fattori ambientali
che possono avere condizionato la condotta criminosa (v. Cass. Sez. I 18
novembre 2010 n. 42846 del 18/11/2010).
Il che è quanto posto in essere nell’impugnata sentenza (v. pagina 14
della motivazione).
9. Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato con la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

10

all’applicazione dell’aggravante di cui all’articolo 61 n. 1 cod.pen.

P.T.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17/4/2013.

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