Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24246 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 24246 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da Nadalin Giulio nato a Gemona del Friuli il 8/12/1990
avverso la sentenza del 7/6/2012 della Corte d’appello di Trieste;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott. Massimo Galli, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga
dichiarato inammissibile;
udito per il ricorrente l’avv. Giuseppe Dante in sostituzione dell’avv. Luca
Diana che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 7/6/2012, la Corte di appello di Trieste

confermava la sentenza del giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di
Udine del 13/4/2010, che aveva condannato Nadalin Giulio alla pena di mesi
undici di reclusione ed C 200,00 di multa per il reato di cui agli artt. 110,
628 comma 3 cod. pen. nonché alla pena di C 500,00 di multa per il reato di
1

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Data Udienza: 15/05/2014

cui agli artt. 110, 581 cod. pen.
1.1.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello,

in punto di riconosciuta responsabilità dell’imputato in ordine al reato di
rapina allo stesso ascritto, di qualificazione giuridica del fatto e di
trattamento sa nzionatorio.

2.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

2.1. mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione,
ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., con riferimento alle
sommarie informazioni testimoniali di Bertoni Luca, Macrì Diana, Comuzzi
Stefano e Coretti Luca. Ci si vuole riferire al profitto del reato di rapina
individuato dalla Corte territoriale in un bisogno psichico di affermazione
dell’imputato e del correo nei confronti della vittima, in contrasto con
quanto risultante nella sentenza di primo grado interamente richiamata
dalla Corte d’appello.
2.2. contraddittorietà della motivazione con riferimento all’interpretazione
delle dichiarazioni rese dal teste Bertoni Luca in ordine al ritenuto timore di
ritorsioni ad opera del ricorrente ed ai danni del suddetto Bertoni.
2.3. mancanza di motivazione in ordine ai documenti prodotti dalla difesa
all’udienza del 7/6/2012, costituiti dai verbali di sommarie informazioni
testimoniali rese dagli imputati subito dopo i fatti e dal verbale contenente
le dichiarazioni rese dal Canderan alla dirigente scolastica il primo giorno di
scuola dopo il fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi manifestamente
infondati. Difatti tutti i motivi proposti attengono a valutazioni di merito
che sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di
valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e
l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. (Sez. U., n. 24
del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U., n. 12 del 31.5.2000, lakani,
Rv. 216260; Sez. U. n. 47289 del 24.9.2003, Petrella, Rv. 226074 ). E così
segnatamente la Corte territoriale dà, adeguatamente, atto della
configurabilità, sul piano oggettivo e su quello psicologico, del delitto di
rapina contestato al capo a) dell’imputazione, evidenziando come l’azione
violenta posta in essere dal ricorrente, unitamente al coimputato Copetti,

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difensore di fiducia, sollevando i seguenti motivi di gravame:

consistita nell’afferrare per il collo la persona offesa Canderan sollevandolo
da terra, avesse di poco preceduto la richiesta di denaro rivolta dagli stessi
soggetti alla vittima; viene, in sostanza, adeguatamente rappresentata,
sulla base di circostanze di fatto non censurabili in questa sede, la
situazione psicologica di violenza ed intimidazione in cui versava la vittima
nel momento in cui era stata posta in essere l’azione tipica, pervenendosi
ad una decisione che si pone in linea con le costanti affermazioni di questa

affermato che, nell’ipotesi in cui venga sottratta una cosa mobile alla
presenza del possessore e subito dopo che questi abbia subito un tentativo
di estorsione e percosse, l’estremo della minaccia come modalità dell’azione
della sottrazione ed elemento costitutivo della rapina è in re ipsa, senza che
vi sia bisogno di un’ulteriore attività minacciosa da parte dell’agente
direttamente collegata all’azione di apprensione del bene; in tal caso,
infatti, si deve avere riguardo alla complessiva attività del colpevole,
globalmente volta alla sopraffazione del soggetto passivo, il quale non può
non risentire della precedente costrizione nell’assistere impotente
all’apprensione della cosa di sua proprietà da parte dell’agente (sez. 2 n.
4057 del 24/2/2000, Rv. 215703). E così, nella fattispecie concreta oggetto
del presente ricorso, si deve avere riguardo alla complessiva attività del
colpevole, volta tutta alla sopraffazione del soggetto passivo, il quale non
può non risentire della precedente costrizione nell’assistere impotente alla
apprensione delle cose di sua proprietà da parte del malfattore.
E neppure può ravvisarsi una contraddittorietà della motivazione con
riferimento all’individuazione del profitto del reato che la Corte territoriale
ha ravvisato, anche qui in linea con le costanti affermazioni di questa Corte,
non soltanto in un vantaggio di natura patrimoniale (sez. 5 n. 19882 del
16/2/2012, Rv. 252679; sez. 2 n. 40631 del 9/10/2012, Rv. 253593), ma
anche in qualsiasi altra utilità di carattere non economico, come quella
ravvisata nel caso di specie nel soddisfacimento di un bisogno psichico.
Ed ancora con riguardo alla valutazione della deposizione del teste
Bertoni dalla lettura della sentenza impugnata non si evince il vizio di
legittimità denunciato, avendo la Corte territoriale adeguatamente
argomentato in ordine alla parte della suddetta deposizione non considerata
attendibile sulla base di dettagliate valutazioni prive di contraddittorietà o
illogicità manifeste.
Quanto all’ultima doglianza, rileva il Collegio che, pur mancando una

3

Corte di legittimità, condivise dal Collegio. In tal senso si è appunto

esplicita motivazione sulle produzioni documentali effettuate dalla difesa nel
giudizio di appello, aspetto peraltro non richiamato nei motivi di appello
proposti, la sentenza non appare censurabile, in quanto dal tenore
complessivo della motivazione emerge chiaramente come detta produzione
documentale fosse stata ragionevolmente considerata irrilevante, essendo
stata disattesa la diversa versione dei fatti fornita dagli imputati, quale
risultante dalla decisione di primo grado espressamente richiamata dai

4.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi

dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dell’imputato che lo ha
proposto al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla
luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000,
sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in € 1.000,00 .

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso, il 15 maggio 2014

onsigliere estensore

Il i-idente

giudizi di appello.

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