Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24195 del 19/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 24195 Anno 2013
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI LECCE
nei confronti di:
DE TOMMASO ROBERTO N. IL 26/09/1963
avverso l’ordinanza n. 54/2013 TRIB. LIBERTÀ’ di LECCE, del
01/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;
-1/sentite le conclusioni del PG Dott. pt 6 ,
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Data Udienza: 19/04/2013

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Ritenuto in fatto
– Con atto in data 14/15.2.2013, il Procuratore della Repubblica presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce ha proposto
ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 1/4.2.2013 con la
quale il tribunale di Lecce, in accoglimento dell’istanza di riesame
proposta da Roberto De Tommaso con atto del 21.1.2013, ha annullato il provvedimento in data 4.12.2012 con cui il giudice per le indagini
preliminari presso il tribunale di Lecce ha applicato all’indagato la
misura degli arresti domiciliari in relazione ai reati di associazione
finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e di illecita detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente.
Con l’impugnazione proposta, il procuratore ricorrente censura l’ordinanza de qua per violazione di legge, in relazione all’art. 275,
comma 3, c.p.p. e vizio di motivazione, per avere il giudice a quo, nonostante la riconosciuta sussistenza dei gravi indizi di reità in relazione a entrambi i reati contestati a carico dell’indagato, escluso la
sussistenza delle esigenze cautelari indispensabili per l’adozione della
misura restrittiva in esame, solo ed esclusivamente in ragione del
tempo trascorso dalla commissione dei fatti per cui si precede.
In particolare, il ricorrente si duole che il tribunale del riesame
abbia operato un diretto riferimento al disposto di cui all’art. 292,
comma 2, lett. c), c.p.p., senza minimamente tener conto della previsione di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p. che, con riguardo ai procedimenti instaurati in relazione al reato di cui all’art. 74 d.p.r. n.
309/90, stabilisce una presunzione di adeguatezza della misura della
custodia cautelare in carcere, sia pure da intendersi in senso ‘relativo’
a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 231/2011.
Ciò premesso, nella specie, il giudice del riesame non avrebbe
dovuto ascrivere alcun rilievo alla circostanza del decorso del tempo
dalla commissione del reato, stante la richiamata presunzione di adeguatezza, che impone di ritenere sussistenti le esigenze cautelali salvo prova contraria; prova, nel caso in esame, del tutto insussistente.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Il riferimento, contenuto nel libello impugnatorio del procuratore ricorrente, al tema della presunzione di adeguatezza della misura
della custodia cautelare in carcere in relazione all’ipotesi di reato oggetto dell’odierno esame (sia pure secondo la lettura ‘temperata’
dell’art. 275, comma 3, c.p.p. costituzionalmente imposto dalla sentenza n. 231/2011 del giudice delle leggi) deve ritenersi erroneamente
dedotto in questa sede, avendo il ricorrente censurato il provvedimento impugnato solo ed esclusivamente in ragione del ritenuto superamento della richiamata presunzione di adeguatezza della misura
della custodia cautelare in carcere, da parte del giudice a quo, in forza
della pretesa isolata considerazione del tempo decorso dalla commis2. –

i.

sione dei fatti per cui si precede, in coerenza al dettato dell’art. 292,
comma 2, lett. c), c.p.p..
Al riguardo – premessa l’improprietà, nella specie, del richiamo alla citata pronuncia della corte costituzionale n. 231/2011 (riferita al tema della possibile diversificazione della ‘risposta’ cautelare in
coerenza alla sempre possibile graduabilità delle esigenze connesse al
periculum libertatis) -, è appena il caso di osservare come il giudice a
quo abbia nella specie ritenuto radicalmente insussistenti i presupposti per il riconoscimento di specifiche esigenze cautelari idonee a giustificare l’applicazione della misura cautelare originariamente imposta a carico dell’indagato, avuto riguardo, non solo al tempo trascorso
dalla commissione dei fatti per cui si procede, bensì alla più complessa e articolata serie di indici di valutazione espressamente richiamati
nel corpo della motivazione, e specificamente correlati allo stato di
totale incensuratezza dell’indagato e alla rilevata mancanza di procedimenti penali pendenti a carico dello stesso: circostanze di fatto ritenute idonee, in combinazione con la già richiamata occorrenza ‘tipica’ del tempo trascorso dalla commissione dei fatti per cui si procede (cfr. l’art. 292, comma 2, lett. c), c.p.p.), a dar conto – non già
dellyiadeguatezza della misura cautelare in esecuzione, o di altra
eventualmente diversa, a soddisfare le esigenze cautelari in ipotesi
riscontrate – bensì dell’originaria insussistenza, nella specie, di alcun
periculum libertatis suscettibile di giustificare l’adozione di qualsivoglia provvedimento restrittivo a carico dell’indagato, essendo stata
concretamente raggiunta, ad avviso del giudice d’appello, la prova
idonea a vincere la contraria presunzione sancita dall’art. 275, comma 3, c.p.p..
La motivazione così compendiata dal giudice a quo deve ritenersi assistita da una solida strutturazione argomentativa, corretta
sul piano giuridico e del tutto conseguente in termini di coerenza logica, e come tale pienamente idonea a sfuggire ai vizi alla stessa imputati dalle prospettazioni critiche del ricorrente.
3. – Sulla base delle argomentazioni che precedono, dev’essere
attestata l’integrale infondatezza dei motivi di doglianza avanzati dal
procuratore ricorrente, con il conseguente rigetto della relativa impugnazione.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19.4.2013.

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