Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24193 del 18/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 24193 Anno 2013
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

s4ricorsc> propost4 da:
PIANCAZZI FRANCESCO PAOLO N. IL 03/01/1974
LOQUERCIO NICOLA N. IL 03/06/1970
DELL’AQUILA LUCA ANTONIO N. IL 27/05/1968
avverso la sentenza n. 111/2012 TRIBUNALE di MATERA, del
17/04/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere DO, I SEPPE GRASSO;
lette/,e erffè le conclusioni del PG Dott.
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Udit ipdor Avv.;

Data Udienza: 18/04/2013

FATTO E DIRITTO
1. Il Tribunale di Matera con sentenza del 17/4/2012, all’esito di richiesta delle
parti ai sensi dell’art. 444, cod. proc. pen., applicò nei confronti Piancazzi
Francesco Paolo, Loquercio Nicola e D’Aquila Luca Antonio, imputati di violazione
dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, la pena concordata dalle parti medesime,
operata la riduzione del rito.

3. Loquercio Nicola si duole, assumendo sussistere vizio motivazionale in questa
sede rilevabile, del mancato proscioglimento ex art. 129, cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente il Tribunale di Matera «avrebbe potuto assolvere per
motivi attinenti il merito della res iudicanda l’imputato (…) sussistendo una serie
di elementi comprovanti l’infondatezza dell’elevato addebito>>
4. Dell’Aquila Luca Antonio, con il primo motivo, denunzia violazione di legge a
riguardo del computo della pena, ingiustamente elevata, nonostante
l’applicazione delle attenuanti generiche, essendosi enfatizzato precedente
penale specifico risalente nel tempo.
Con il secondo motivo prospetta la medesima censura avanzata dal Loquercio.
5. Piancazzi Francesco Paolo con il primo motivo si duole, assumendo essere
stata violata la legge, per avere il giudice convalidato una pena eccessiva,
nonostante l’applicazione delle attenuanti generiche, specie tenuto conto
dell’incensuratezza del ricorrente.
Con il secondo motivo, come gli altri due ricorrenti denunzia vizio motivazionale
sul punto del mancato proscioglimento ex art. 129, cod. proc. pen.
6. I ricorsi degli imputati non superano il vaglio d’ammissibilità.
Richiamandosi la ferma giurisprudenza di questa Corte, devesi affermare che
fatta eccezione dell’ipotesi di pena illegale – ipotesi che nella fattispecie non
ricorre – l’accordo raggiunto tra le parti e recepito dal giudice nella conseguente
sentenza, ex art.444 c.p.p. preclude alle parti stesse, nonché al PG, la
proposizione, nella successiva sede dell’impugnazione, di eccezioni o censure
attinenti al merito delle valutazioni, sottese al consenso prestato dalle parti
medesime (giurisprudenza di legittimità consolidata: Cass. Sez. 4 Sent. n. 20165
del 29/04/04, rv 228567; Cass. Sez. 4 Sent. n. 3946 del 30/03/98, rv 210639;

2. Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione tutti gli imputati.

Cass. Sez. 1 Sent. n. 6898 del 24/01/97, rv 206642; Cass. Sez. 4 Sent. n. 8060
del 20/08/96, rv 205835; Sez. III, 3/5/2011, n. 23804).
Condivisibilmente si è, di recente (Cass., Sez. IV, n. 27733 del 18/11/20111;
nello stesso senso, Cass., Sez. Fer., n. 32078 del 12/8/2010) chiarito che nel
procedimento di applicazione della pena su richiesta (art. 444 e ss. c.p.p.), le
parti (anche quella pubblica) non possono prospettare con il ricorso per
cassazione questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento, in
particolare afferenti le prove risultanti dagli atti del procedimento nonché la
come giuridicamente qualificata non può essere rimessa in discussione. Ne
consegue che, una volta pronunciata la sentenza che ha recepito l’accordo, sul
quale il giudice ha preventivamente esercitato il suo potere di controllo, le parti
(anche quella pubblica) non possono più prospettare questioni e sollevare
censure con riferimento all’applicazione delle circostanze e alla entità della pena,
che non sia illegale. Né tale doglianza può essere formulata prospettando il
difetto di motivazione, in quanto, con l’accordo intervenuto tra loro, le parti
hanno implicitamente esonerato il giudice dell’obbligo di rendere conto (almeno
“inter partes”) dei punti non controversi della decisione, non potendosi
pretendere l’esposizione dei motivi di un convincimento che le parti stesse hanno
già fatto proprio.
Né, una volta che il giudice abbia dato mostra di aver preso in esame la
condizione negativa di cui all’art. 129, cod. proc. pen. (peraltro, nel caso in
esame con adeguata e specifica motivazione), può essere ammessa censura sul
punto.
Pur vero che questa Corte ha anche affermato che il procedimento di
applicazione della pena su richiesta non impedisce l’azionabilità del ricorso per
cassazione quando il vizio di violazione di legge attenga alla qualificazione
giuridica del fatto (S.U., n. 5 del 19/1/2000; conformi, Cass. 1341/2000;
2083/2000; 39526/2006). Tuttavia, ove il giudice abbia effettuato la verifica
delibativa che la legge gli assegna non è più consentito alle parti e allo stesso
P.G. di dolersi della qualificazione, dell’individuazione delle circostanze, del
bilanciamento e del computo della pena, in quanto si tratterebbe di doglianze
inammissibili perché dirette a ricostruire i fatti, sul punto, in modo diverso da
quanto concordato.
7. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna degli imputati,
oltre che al pagamento delle spese processuali, della sanzione pecuniaria,
giudicata congrua, di cui in dispositivo.

qualificazione giuridica del fatto risultante dalla contestazione, in quanto l’accusa

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno a quello della somma di C. 1.500,00 in favore della cassa
delle ammende.

ma il 18/4/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Così deciso in

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