Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24078 del 06/04/2016

Penale Sent. Sez. 6 Num. 24078 Anno 2016
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
A.A.
B.B.

avverso la sentenza del 21/01/2015 della Corte d’appello di L’Aquila

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Orsi, che ha
concluso chiedendo che i ricorsi presentati da B.B. e A.A. siano dichiarati inammissibili;
uditi i difensori degli imputati Avv. Paola Mila in sostituzione dell’Avv. Giuliano Milia e l’Avv.
Lionello Brocchi, i quali hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi da loro presentati.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2 aprile 2013, il Tribunale di Chieti ha condannato A.A. alla pena anni sei e mesi sei di reclusione, in ordine ai reati ascrittigli (sub capi A), B)
e C), unificati sotto il vincolo della continuazione, riqualificate la prima e la terza contestazione
di cui all’art. 317 cod. pen. ai sensi dell’art. 319-quater cod. pen.; ha condannato B.B.

Data Udienza: 06/04/2016

alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, per il reato ascrittole ex artt. 56-317 cod. pen.
(sub capo E).
2. Con la sentenza in epigrafe, in parziale riforma dell’appellata decisione, la Corte
d’appello di L’Aquila ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di B.B. in ordine
all’unica contestazione alla medesima elevata ex artt. 56-317 cod. pen. (capo E) e nei
confronti di A.A. in ordine al reato di cui ex artt. 56-317 cod. pen. (capo B),
perché detti reati, riqualificati ai sensi degli artt. 56-319-quater cod. pen., sono estinti per
prescrizione, ed ha pertanto rideterminato la pena inflitta al A.A. in ordine alle residue

A.A. e B.B. rifondere il danno nei confronti della parte civile Giovanni Guerra nella
misura, rispettivamente, di 10.000 euro e 5.000 euro.
2.1. Come si legge nel provvedimento impugnato, i fatti oggetto del procedimento
traggono origine dalla denuncia sporta da Giovanni Guerra, imprenditore edile, all’epoca dei
fatti responsabile di varie società, in merito alle richieste di natura economica o di altra utilità
avanzate dai due ricorrenti, funzionari del Comune di Francavilla al Mare, abusando dei propri
poteri, ai fini dell’evasione delle pratiche amministrative necessarie per l’esecuzione delle opere
edilizie da parte delle società del privato.
In particolare, a A.A. (quale responsabile del SUAP – Sportello Unico delle
Attività Produttive – e geometra presso il Comune di Francavilla al Mare) è contestato di avere,
abusando dei propri poteri e qualità, indotto (capi A e C) e posto in essere atti diretti in modo
non equivoco ad indurre (capo B) Giovanni e Domenico Guerra (rispettivamente socio e legale
rappresentante della “Impresa Guerra Domenico s.r.l.”) a versare somme di denaro o a
corrispondere altre utilità (segnatamente la vendita a prezzo di favore di un appartamento
costruendo dall’impresa Guerra), per il rilascio dei titoli abilitativi e autorizzativi richiesti per le
opere meglio descritte nelle indicate imputazioni.
A B.B. è contestato al capo E) di avere, quale funzionario presso il Comune di
Francavilla al Mare, abusando dei suoi poteri e delle sue funzioni, chiesto a Giovanni e
Domenico Guerra (rispettivamente socio e legale rappresentante della “RE.VA s.r.l.”) somme di
denaro, dicendo loro che, se non avessero soddisfatto le richieste, avrebbe fermato i lavori di
recupero edilizio indicati nella imputazione, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti
dalla sua volontà.

3. Ricorre avverso la sentenza l’Avv. Giuliano Milia, difensore di fiducia di B.B.,
e ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi.
3.1. Violazione di legge processuale in relazione all’art. 319-quater cod. pen. e agli artt.
521, 522 e 604 cod. proc. pen.
Lamenta la ricorrente che il Tribunale ha errato nel qualificare il fatto come contestato
ai sensi degli artt. 56-317 cod. pen., in quanto – essendo stata imputata una condotta di
induzione – esso avrebbe dovuto essere qualificato già in primo grado ai sensi degli artt. 562

imputazioni (capi A e C) in anni due mesi e tre di reclusione; indi, la Corte ha condannato

319-quater cod. pen.; ne ha dunque inferito che la Corte – nel riqualificare in detti termini il
fatto – ha certificato il difetto di correlazione fra contestazione e sentenza di primo grado, con
la conseguenza che quest’ultima decisione avrebbe dovuto essere annullata ex 604 cod. proc.
pen., e che la stessa Corte, avendo dichiarato il reato estinto per prescrizione, avrebbe dovuto
eliminare le statuizioni civili.
3.2. Violazione di legge processuale in relazione all’art.

319-quater cod. pen. ed agli

artt. 129 e 530, comma 2, cod. proc. pen. e travisamento della prova.
La ricorrente denuncia l’erronea valutazione compiuta dalla Corte allorchè ha escluso di

essendo di contro tenuto a valutare la penale responsabilità dell’imputata, ai fini delle
statuizioni risarcitorie nei confronti della costituita parte civile. Per altro verso, evidenzia che
nella condotta della B.B. non è ravvisabile nessun abuso.
3.3. violazione di legge processuale in relazione agli artt. 319-quater cod. pen. e 2043
cod. civ. e vizio di motivazione.
La ricorrente si duole del fatto che la Corte abbia ritenuto l’imputata responsabile
civilmente, là dove le richieste di denaro avanzate dalla predetta ai Guerra erano legittime e la
stessa non rivestiva nessuna qualifica nel settore; in ogni caso, non è ravvisabile in capo
all’imputata nessuna responsabilità civile per il danno morale subito dai Guerra
dall’annullamento in autotutela del provvedimento; manca comunque un’adeguata motivazione
sul quantum del danno liquidato.

4. Ricorre avverso la sentenza anche l’Avv. Leo Nello Brocchi, difensore di fiducia di
A.A., e ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi.
4.1. Violazione di legge processuale in relazione agli artt. 319-quater cod. pen. e 107
D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e 6 legge 7 agosto 1990, n. 241, per avere la Corte ritenuto
provata la penale responsabilità del A.A.  sulla base delle dichiarazioni rese dalle persone
offese Guerra e dal loro professionista l’Arch. Mercurio, sebbene prive di suffragio oggettivo là dove nessuno degli altri testimoni escussi in dibattimento ha riferito che l’imputato abbia
mai omesso o ritardato di compiere atti del proprio pubblico ufficio -, nonché trascurato di
valutare le prove documentali e testimoniali a discarico. Sotto diverso profilo, si evidenzia che,
nel caso di specie, gli atti istruttori e strumentali al rilascio dei richiesti titoli abilitativi edilizi,
propedeutici alla decisione amministrativa, erano rimessi, non al Geom. A.A. , bensì alla
deliberazione dell’organo collegiale dell’ente oppure all’esclusiva competenza funzionale del
dirigente della ripartizione tecnica, persona fisica diversa dall’imputato. Ancora, il ricorrente si
duole del fatto che la Corte non abbia delineato a carico del A.A. nessuna violazione ai
doveri di legalità, rettitudine e imparzialità cui sono tenuti i funzionari pubblici; che manca
inoltre il contratto, cioè lo specifico e non indeterminato abuso di potere attraverso il quale
sarebbe stato negoziato l’atto fonte della remunerazione dell’attività del funzionario pubblico
infedele ed oggetto del programma criminoso; che l’ipotetico ritardo per atti conformi ai doveri
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poter pervenire ad una pronuncia liberatoria ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.,

d’ufficio avrebbe potuto essere agevolmente ovviato attraverso la consueta e surrogatoria
nomina di un Commissario ad acta senza la necessità di alcuna dazione illecita.
4.2. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 192
e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e contraddittorietà della prova in ordine al
perfezionamento del reato ex art. 319-quater cod. pen.
Evidenzia il ricorrente come le cd. prove testimoniali a carico rese da Giovanni e
Domenico Guerra e dall’Arch. Ennio Mercurio siano in effetti contraddittorie sul punto
concernente la richieste di versamento (unica secondo il Mercurio, plurime secondo i Guerra)

ricorrente pone in luce la durata assolutamente fisiologica del procedimento “incriminato”
rispetto alla durata media di altri analoghi procedimenti. Ad ogni modo, si trattava di
procedimento relativo ad un intervento edilizio contrario allo strumento urbanistico – in quanto
presupponeva una variante al P.R.G., con celebrazione della Conferenza dei Servizi in sede
pubblica e la definitiva eventuale approvazione da parte del Consiglio Comunale – e che, per
tale ragione, i Guerra erano costretti a presentare un nuovo e diverso progetto, anch’esso
documentalmente difforme alla disciplina edilizia del P.R.G. di Francavilla al Mare, sicchè il
parere negativo di regolarità tecnica espresso dal Geom. A.A. era doveroso. Il ricorrente ha
evidenziato ulteriori contraddizioni ed inverosimiglianze nelle dichiarazioni dei testi, sia con
riguardo alla richiesta di acquisto di un appartamento/ufficio a prezzo di favore (oggetto della
contestazione sub capo B), sia con riferimento alla tangente pagata in relazione al permesso a
costruire ed alla variante relativi ai lavori di ristrutturazione di una villa, sottratti alla
competenza del A.A. (oggetto della contestazione sub capo C). Sotto diverso aspetto, si
pone in luce come all’imputato non spettassero attribuzioni e poteri funzionali all’assunzione
degli atti amministrativi, sicchè egli non avrebbe mai potuto incidere sulla dinamica del pur
insussistente ritardo procedimentale/provvedimentale maliziosamente prospettato. Il ricorrente
ha, infine, rilevato che í Giudice della cognizione avrebbero dovuto attentamente valutare le
dichiarazioni rese dalle persone offese, in quanto soggetti interessati.
4.3. Vizio di motivazione in riferimento al capo di sentenza relativo alla condanna al
risarcimento del danno ed alle spese di giudizio in favore della parte civile, per avere la Corte
omesso di esplicitare a quale titolo e sulla base di quale criterio estimativo sia stata disposta la
condanna al risarcimento del danno a carico dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono entrambi infondati e devono essere rigettati.

2. E’ manifestamente infondato il primo motivo dedotto da B.B., con il quale la
ricorrente denuncia la violazione di legge processuale, per avere la Corte erroneamente
omesso di annullare la sentenza di primo grado ex art. 604 cod. proc. pen., per difetto di
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ed alle modalità con le quali le somme furono richieste e consegnate. Sotto diverso aspetto, il

correlazione fra contestazione e sentenza ex artt. 521 e 522 stesso codice, difetto palesato
dalla riqualificazione giuridica del fatto compiuta dallo stesso Giudice d’appello (da tentata
concussione a tentata induzione indebita).
2.1. Sotto un primo aspetto, va evidenziato che i fatti oggetto della imputazione sono
contestati come commessi negli anni 2006 e 2007 e che il rinvio a giudizio è antecedente
all’introduzione dell’art. 319-quater cod. pen. con la legge 6 novembre 2012, n. 190: ne
discende che la condotta di induzione tentata ascritta alla B.B.  veniva correttamente
contestata sotto la fattispecie di cui all’art. 317 cod. pen. (tentato), nella formulazione

Sotto diverso aspetto, va rilevato che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire
pronunciandosi nel suo più ampio consesso, in relazione alla condotta di induzione, fra le
fattispecie di cui all’art. 317 e 319-quater cod. pen. v’è continuità normativa, considerato che
la pur prevista punibilità, in quest’ultima norma, del soggetto indotto non ha mutato la
struttura dell’abuso induttivo (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013 – dep. 14/03/2014, Maldera e
altri, Rv. 258473). Come si legge nella motivazione della sentenza, “ritenuto il rapporto di
piena continuità normativa, compito del giudice intertemporale, per la valutazione dei fatti
pregressi, deve essere solo quello di applicare, ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen., la lex

mitior, che va individuata nella norma sopravvenuta, perché più favorevole in ragione
dell’abbassamento di entrambi i limiti edittali di pena”.

2.2. Ne discende che ferma l’identità del fatto (id est la condotta induttiva, sia pur
tentata), non può ravvisarsi nella mera riqualificazione giuridica del fatto alcuna violazione del
principio di necessaria correlazione fra contestazione e sentenza, né – d’altra parte – nessuna
violazione del principio di legalità.
Ed invero, l’ipotesi di cui al combinato disposto degli artt. 604, comma 1, 521, comma
2, e 522 cod. proc. pen. – invocata dal ricorrente – ricorre quando il giudice accerti che la
fattispecie concreta, nella sua dimensione storico-fattuale, è diversa da quella descritta nel
decreto che dispone il giudizio (ovvero risultante all’esito delle contestazioni suppletive), e non
anche nel caso in cui il giudice si limiti a dare “al fatto una definizione giuridica diversa da
quella enunciata nella imputazione”, in applicazione della regola codificata al comma 1 dell’art
521 cod. proc. pen.
La riqualificazione giuridica del fatto, espressione del principio generale del

iura novit

curia, costituisce infatti un indefettibile corollario dello ius dicere, essendo il giudice sempre
tenuto a verificare che il fatto come contestato dal pubblico ministero – dominus esclusivo
dell’azione penale – sia stato sussunto sotto la corretta fattispecie incriminatrice e, dunque, ad
assicurare, in ossequio al principio di legalità, che fatto e schema legale coincidano.

3. Giudica peraltro il Collegio che la Corte abbia errato là dove ha riqualificato il fatto
ascritto alla B.B. quale induzione indebita tentata anziché quale concussione tentata (oggetto
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antecedente al cd. spacchettamento, operato con la citata n. 190.

della primigenia contestazione ed inquadramento del primo giudice), dovendosi in tale senso
correggere la qualificazione giuridica.
3.1. Mette conto rammentare come, secondo l’insegnamento ormai consolidato di questo
Supremo Collegio, il delitto di concussione, di cui all’art. 317 cod. pen., nel testo modificato
dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, sia caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un
abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o
implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di
determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di

indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319-quater cod. pen.
introdotto dalla medesima legge n. 190, la cui condotta si configura come persuasione,
suggestione, inganno, pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di
autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce
col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla
prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione
a suo carico (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013 – dep. 14/03/2014, Maldera, Rv. 258470; Sez.
6, n. 8963 del 12/02/2015, Maiorana, Rv. 262503).
Si è ancora affermato che la minaccia di un danno ingiusto del pubblico ufficiale finalizzata
a farsi dare o promettere denaro o altra utilità, posta in essere con abuso della qualità o dei
poteri, integra il delitto di concussione e non quello di induzione indebita pur quando la
persona offesa, cedendo alle pretese dell’agente, consegue anche un vantaggio indebito,
sempre che quest’ultimo resti marginale rispetto al danno ingiusto minacciato (Sez. 6, n. 6056
del 23/09/2014 – dep. 10/02/2015, Staffieri, Rv. 262332).
3.2. Il discrimen fra le due fattispecie incriminatrici poggia dunque su due diversi piani:
sulla diversa intensità della pressione condizionante dispiegata dall’agente e sull’esistenza o
meno di un vantaggio illegittimo della vittima. Si deve pertanto ritenere che la minaccia di un
danno ingiusto del pubblico ufficiale finalizzata a farsi dare o promettere denaro o altra utilità,
posta in essere con abuso della qualità o dei poteri, integri il delitto di concussione e non quello
di induzione indebita allorquando, per un verso, l’intimidazione sia connotata da un’intensità
tale da incidere pesantemente sulla libertà di autodeterminazione del destinatario e da
trasmodare dunque in una vera e propria costrizione; per altro verso, non sia ravvisabile un
vantaggio indebito in capo alla persona offesa o comunque esso resti marginale rispetto al
danno ingiusto minacciato.
3.3. Di tali coordinate non ha fatto buon governo la Corte distrettuale allorchè, nel
riqualificare il fatto contestato dall’ipotesi della concussione tentata in quella della induzione
indebita tentata, dopo avere rilevato che “la minaccia formulata da B.B.  di “bloccare i
lavori” “era sicuramente concreta in quanto la stessa, all’epoca dei fatti”, “ricopriva un ruolo”
“che la poneva in condizioni di influire sulle determinazioni del Comune, ancorchè assunte
formalmente da terzi”, si è limitata a notare – in termini del tutto assertivi ed apodittici – che
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fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità

“sussiste, dunque, il delitto tentato di induzione indebita a dare o promettere utilità, non
consumato solo a cause a causa del rifiuto di Guerra Giovanni di sottostare alle richieste dei
prevenuti”.
Il Collegio di merito ha invero trascurato di considerare un fondamentale elemento di
fatto, e cioè che, a fronte delle esplicite minacce rivolte dal pubblico ufficiale all’imprenditore di
bloccare i lavori edili cui questi era interessato, non sia ravvisabile nessun illegittimo interesse
della persona offesa. Circostanza che rende non ravvisabile la fattispecie della induzione
indebita. Riprendendo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, “è proprio il

“criterio di essenza” della fattispecie induttiva, il che giustifica, in coerenza con i principi
fondamentali del diritto penale e con i valori costituzionali (colpevolezza, pretesa punitiva dello
Stato, proporzione e ragionevolezza), la punibilità dell’indotto”.

4. Non colgono nel segno neanche i rilievi mossi dalla ricorrente nel secondo e terzo
motivo, concernenti le statuizioni sulla responsabilità civile.
4.1. E’ destituita di fondamento la prima censura con la quale la ricorrente si duole della
conferma delle statuizioni civili in quanto fondata su di una valutazione ai sensi dell’art. 129
cod. proc. pen. e non anche, come sarebbe stato doveroso, ai sensi dell’art. 530, comma 2,
cod. proc. pen.
Orbene, la correttezza in linea teorica del principio invocato dalla ricorrente non è
revocabile in dubbio. Come questa Corte ha affermato, anche a composizione allargata,
all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza
della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità,
salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia
chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle
statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l’impugnazione del P.M. proposta avverso
una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
(Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273).
Se non che, nel caso di specie, nel dichiarare estinto il reato ascritto alla B.B. e nel
confermare la condanna al risarcimento del danno, la Corte distrettuale ha in effetti rilevato
l’assenza di prova dell’innocenza dell’appellante, facendo espresso riferimento al criterio di cui
all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (a pagina 7), e, nondimeno, nei passaggi precedenti a
tale esito conclusivo, ha motivato in termini positivi e puntuali in merito alla sussistenza dei
presupposti per confermare il giudizio di colpevolezza, richiamando le dichiarazioni delle
persone offese riportate nella sentenza di primo grado e ribadendo la correttezza della
ricostruzione della vicenda ed il ruolo ricoperto dalla prevenuta (v. pagine 6 e 7). Il che rende
la motivazione a sostegno della conferma delle statuizioni civili armonica con il canone di
giudizio delineato nell’art. 530, comma 2, stesso codice.

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vantaggio indebito che, al pari della minaccia tipizzante la concussione, assurge al rango di

4.3. Si sviluppano tutte sul piano del merito le deduzioni poste a fondamento del terzo
motivo, con il quale la ricorrente ha contestato la sussistenza dei presupposti della
responsabilità civile e l’ammontare del danno liquidato.
Quanto al fondamento della condanna al risarcimento del danno, la ricorrente, anzichè
denunciare taluno dei vizi contemplati dall’art. 606 del codice di rito, promuove una
rivisitazione di puro merito sulla valutazione delle prove e sulla ricostruzione dei fatti, non
espletabile in sede di ricorso per cassazione, dovendosi la Corte di legittimità limitare a
ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificare la completezza e la

motivazione alle acquisizioni processuali (ex plurimis Cass. Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003,
Petrella, Rv. 226074).
4.4. Non presta il fianco a censure la statuizione concernente la determinazione
dell’entità del danno morale liquidato, fissata secondo criteri equitativi non manifestamente
irragionevoli dal Giudice d’appello.

5. Deve essere rigettato anche il ricorso presentato nell’interesse di A.A..
5.1. Il primo ed il secondo motivo, con i quali il ricorrente si duole della conferma del
giudizio di penale responsabilità in ordine ai tre reati contestati – con particolare riguardo alla
attendibilità dei testi a carico e della ricorrenza dei presupposti della condotta abusiva -, oltre a
riproporre le medesime doglianze già sottoposte al vaglio della Corte territoriale senza
confrontarsi con le puntuali e diffuse osservazioni svolte da tale Giudice, sono volti, anziché a
denunciare taluno dei vizi delineati nell’art. 606 del codice di rito, a sollecitare una rilettura
delle emergenze processuali ed una rivisitazione della ricostruzione della materialità dei fatti e
del loro inquadramento giuridico.
Il ricorrente promuove dunque uno scrutinio squisitamente di merito, precluso in sede di
ricorso per cassazione, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a riscontrare l’esistenza di un
logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di
verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per
sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (ex plurimis
Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv.
226074).
5.2. L’apparato argomentativo posto a fondamento della conferma della condotta di
primo grado risulta d’altronde puntuale nella ricostruzione e della disamina del quadro degli
elementi a carico, accurato nel valutare l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa e
corretto nell’argomentare i presupposti della stimata integrazione delle fattispecie ascritte (v.
pagine 5 e seguenti della sentenza).
In particolare, avendo riguardo all’apparato argomentativo complessivo delle sentenze di
primo e di secondo grado – stante l’espresso rimando della pronuncia d’appello a quella del
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insussistenza di vizi logici ictu °cui/ percepibili, senza possibilità di valutare la rispondenza della

primo giudice (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595) -, i Giudici della
cognizione hanno approfonditamente dato conto della piena credibilità delle dichiarazioni rese
da Giovanni e Domenico Guerra e dall’Arch. Mercuri nonché dei numerosi riscontri esterni,
costituiti dalle evidenze delle intercettazioni telefoniche (seppure non richiesti trattandosi di
contributi narrativi provenienti da testimoni; v. Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte ed
altri, Rv. 253214), e quindi delineato le richieste di denaro e di altra utilità (cessione di un
alloggio a prezzo di favore) formulate dal A.A. al fine di favorire le pratiche edilizie cui i
Guerra erano interessati, pratiche che presentavano peraltro profili di difformità rispetto agli

Corretta si appalesa, infine, la qualificazione giuridica dei fatti sotto la fattispecie di cui
all’art. 319-quater cod. pen., richiamati i principi sopra delineati quanto ai tratti distintivi fra il
delitto di concussione e di induzione indebita.

6. Generico e per tale ragione inammissibile è l’ultimo motivo col quale il ricorrente ha
dedotto il vizio di motivazione in riferimento alla determinazione del quantum oggetto della
condanna dell’imputato al risarcimento del danno ed alle spese di giudizio in favore della parte
civile.

7. Dal rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del
procedimento.

P.Q.M.

Riqualificato il fatto ascritto alla signora B.B. sub artt. 56-317 cod. pen., rigetta i ricorsi e
condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 6 aprile 2016

Il consigliere estensore

I P, esidente

strumenti urbanistici e che non sarebbero state ammissibili.

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