Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24063 del 11/04/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 24063 Anno 2014
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: VILLONI ORLANDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

CATALDO Paolo in qualità di curatore fallimentare della GIVAL S.p.A.

avverso l’ordinanza n. 143-R/13 Tribunale di Reggio Calabria, Sezione Riesame del giorno
14/11/2013

esaminati gli atti e letti il ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato;

udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Orlando Villoni;

udito il pubblico ministero in persona del sostituto PG, dott. Giulio Romano, che ha conclu-

Data Udienza: 11/04/2014

so per l’annullamento con rinvio

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Reggio Calabria, Sezione del Riesame adito ai
sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. ha respinto l’appello presentato da Cataldo Paolo, nella sua
qualità di curatore fallimentare della GIVAL S.p.A. avverso l’ordinanza del Tribunale di Palmi
del 24/06/2013, che aveva a sua volta rigettato l’istanza di dissequestro dei beni costituenti il
patrimonio aziendale, i conti correnti bancari, nonché tutte le autorizzazioni all’esercizio dell’attività commerciale della GIVAL S.p.A. in funzione dell’assegnazione alla curatela fallimentare.

d

Il Tribunale ha rilevato che il GIP aveva disposto il sequestro preventivo dell’azienda ai sensi
dell’art. 416 bis, comma 7 cod. pen. che contempla la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato o delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto,
il profitto o ne costituiscono l’impiego e che il carattere inderogabile di tale misura la accosta
più alle pene accessorie che alle misure di sicurezza; facendo, inoltre, appello agli approdi giurisprudenziali consolidatisi in tema di rapporti tra sequestro preventivo e fallimento nonché alla
distinzione tra beni intrinsecamente o oggettivamente pericolosi e non, ha sostenuto che un
bene confiscabile in via obbligatoria deve ritenersi assolutamente insensibile alla procedura

18/03/13) pronunziatasi sull’argomento.

2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Cataldo nella sua qualità, deducendo erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione, per avere il Tribunale frainteso l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità formatosi sul tema (Cass. Sez. U n. 29951 del
24/05/2004 e Cass. sez. 3, sent. n. 20443 del 25/05/2007) che pone la fondamentale distinzione tra confisca di cose aventi natura intrinsecamente ed oggettivamente pericolosa (art.
240, comma 2 n. 2 cod. pen.) la cui disponibilità non può in alcun modo essere lasciata ai privati e cose che tale caratteristica non posseggono, ma la cui pericolosità deriva dal collegamento con il reo e con un determinato reato, le quali possono facoltativamente o debbono
obbligatoriamente essere confiscate; in tal caso, mirando l’ordinamento a spossessare il reo,
detta finalità può essere conseguita anche mediante attribuzione alla curatela fallimentare,
residuando all’autorità giudiziaria la facoltà di imporre eventualmente prescrizioni ai sensi
dell’art. 85 disp. att. cod. proc. pen.

Il dedotto fraintendimento si è riverberato nella motivazione del provvedimento impugnato,
nella parte in cui il Tribunale si è limitato a qualificare la confisca di cui all’art. 416 bis comma
7 cod. pen. come obbligatoria, senza entrare nella reale valutazione della pericolosità intrinseca dei beni costituenti oggetto della misura.

fallimentare, richiamando recente giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. 3 Ord. n. 12639 del

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato nei termini di cui in motivazione.

3.1 Va senza dubbio riconosciuta al curatore fallimentare la legittimazione a proporre istanza
di revoca della confisca, attesa l’identità di ratio di tale situazione rispetto a quella già apprezzata dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione al sequestro preventivo, disposto ex art.
19 d. Igs. n. 231 del 2001 a fini di confisca per equivalente, del profitto derivante dal reato nei
confronti di società fallita nella cui disponibilità siano confluiti i proventi di un’attività criminosa.

d

Appaiono, invero, del tutto condivisibili le considerazioni che il curatore non fa uso dei beni illeciti esistenti nell’attivo fallimentare ma è viceversa incaricato dell’amministrazione di detto attivo e dei beni che ne fanno parte nell’esclusivo interesse dei creditori ammessi alla procedura
concorsuale, i quali, d’altro canto, in virtù di detta ammissione, sono portatori di diritti alla
conservazione dell’attivo, nella prospettiva della migliore soddisfazione dei loro crediti, che pur
convivendo fino alla vendita fallimentare con quelli di proprietà del fallito e con il vincolo destinato alla realizzazione della par condicio creditorum, trovano riconoscimento e tutela, nel corso
della procedura, attraverso l’azione del medesimo curatore (Cass. Sez. 5, sent. n.48804 del

3.2 Ciò premesso, appare certamente corretta la distinzione, evidenziata in ricorso, tra confisca obbligatoria perché riferita a beni intrinsecamente delittuosi e confisca obbligatoria perché
tale qualificata dal legislatore per esigenze di politica criminale: a tale ultima categoria appartiene, senza alcun dubbio, la confisca obbligatoriamente prevista dall’art. 416 bis comma 7
cod. pen. riferita alle cose costituenti il prezzo, il prodotto, il profitto del reato in questione o
che ne costituiscono l’impiego, poiché a differenza delle altre categorie di beni contemplate
dalla prima parte della stessa previsione (cose che servirono o furono destinate a commettere
il reato, come tali eventualmente riconducibili alla categoria generale dei beni intrinsecamente
delittuosi di cui all’art. 240, comma 2 n.2 cod. pen.) esse concernono i proventi dell’illecito.

In tali casi, è certamente interesse del legislatore a che i beni non rientrino direttamente o indirettamente nel patrimonio del soggetto spossessato, ma diventa obbligatorio, previa adozione delle necessarie cautele per scongiurare tale eventualità, il bilanciamento con altri interessi di rilievo pubblicistico, quali indubitabilmente sono quelli inerenti alle procedure concorsuali fallimentari, estesamente e dettagliatamente regolate dalla legge.

In tal senso, appare corretto il rilievo del ricorrente circa l’intervenuto fraintendimento dei principi affermati da Cass. Sez. U n. 29951 del 2004, atteso che, a ben ponderare la parte della
motivazione cruciale per quanto d’interesse, ci si avvede che la grande differenza posta dalla
sentenza sta tra la ‘res considerata pericolosa in base ad una presunzione assoluta’ e quella
per la quale ‘è sufficiente l’esistenza del nesso strumentale’ tra la medesima e ‘la perpetrazione
del reato, non essendo necessario’ in tal caso ‘che la cosa sia anche strutturalmente funzionale
alla commissione del reato, sia cioè specificamente predisposta, fin dall’origine, per l’azione
criminosa’ (sul punto v. anche Cass., Sez. 6, sent. n. 3334 del 29 ottobre 1996, Oliverio).

In tale ultima ipotesi, prosegue la decisione ‘il sequestro non svolge alcuna funzione strumentale rispetto al procedimento penale e, a differenza della confisca obbligatoria, il provvedimento non è finalizzato ad impedire la circolazione di un bene intrinsecamente illecito. Non può
escludersi, pertanto, che l’intervento della procedura fallimentare possa costituire fatto sopravvenuto determinante il venir meno delle condizioni di applicabilità della misura’.

09/10/2013, Rv. 257553).

In conclusione, la confisca definita sinteticamente facoltativa ‘postula il concreto accertamento,
da parte del giudice, della necessità di evitare che il reo resti in possesso delle cose che sono
servite a commettere il reato o che ne sono il prodotto o il profitto, e che quindi potrebbero
mantenere viva l’idea del delitto commesso e stimolare la perpetrazione di nuovi reati, ed il
medesimo effetto viene realizzato, per altra via, dallo spossessamene derivante dalla declaratoria fallimentare, che potrebbe essere quindi idonea a fare venir meno lo stesso motivo
della cautela, assicurando inoltre la garanzia dei creditori sul patrimonio dell’imprenditore fallito. La realizzazione delle medesime esigenze cautelari, tuttavia, non può essere automaticamente affermata e l’autorità giudiziaria dovrà accertare caso per caso le concrete conse-

procedura concorsuale, le qualità dei creditori ammessi al passivo e l’ammontare di questo, al
fine di considerare le possibilità che l’imputato, anche qualora abbia agito attraverso lo schermo societario, ritorni in possesso delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato.
In tale prospettiva può pure profilarsi l’opportunità di consentire la restituzione con l’imposizione di prescrizioni, ai sensi dell’art. 85 disp. att. cod. proc. pen.’

Merita, dunque, censura la rigida preclusione che si pretende far discendere dalla ricognizione
della natura obbligatoria della confisca disposta ai sensi dell’art. 416 bis, comma 7 cod. pen.,
circostanza che impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata, imponendosi al Tribunale una
attenta ponderazione di tutti gli elementi a sua disposizione al fine di valutare la concreta accoglibilità della richiesta di revoca e assegnazione dei beni formulata dalla curatela fallimentare,
in funzione dell’esclusione dei rischi di rientro dei beni considerati nel patrimonio del soggetto
già fatto segno di confisca.

4. All’accoglimento del ricorso consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata ed il rinvio

per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

P. Q. M.
annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame.

Roma, 11/04/ 014

guenze della eventuale restituzione, tenendo anche presenti le modalità di svolgimento della

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