Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24061 del 14/05/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 24061 Anno 2014
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: CAPOZZI ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CASTIGLIONI FLAVIO N. IL 13/08/1968
avverso la sentenza n. 823/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
21/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPOZZI
Udito il Procuratore Generale inpersona del Dott. SCar C£0 RAttErbto
che ha concluso per 3 1
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit difensoreAvv. A

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Data Udienza: 14/05/2014

Considerato in fatto e ritenuto in diritto

1. Con sentenza del 21.5.2013 la Corte di appello di Milano , a seguito di
gravame interposto dall’imputato CASTIGLIONI Flavio avverso la
sentenza emessa il 7.4.2011 dal Tribunale di Como, ha confermato detta
sentenza con la quale il predetto imputato è stato riconosciuto colpevole
del delitto di calunnia ai danni dell’avv. Anna Paola MANFREDI, quale

aggravata dall’ipotesi di cui all’art. 61 n. 11 c.p., condannandolo a pena
di giustizia sospensivamente condizionata , oltre le statuizioni civili.
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo
del difensore deducendo:
f
2.1.Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 368 c.p. e dell’art. 192
c.p.p. in ordine all’elemento oggettivo del reato; mancanza e/o
insufficiente motivazione in ordine al motivo di doglianza in appello
relativo all’elemento materiale. In particolare, la sentenza avrebbe
omesso di considerare il terzo motivo di appello che si doleva della
contraddittorietà della prima sentenza laddove essa dava atto della
veridicità dei fatti esposti in querela pur affermando la responsabilità
dell’imputato. In particolare, i giudici di merito avrebbero condiviso le
implicazioni di natura civilistica, denunciate dal ricorrente, derivanti dalla
gestione dei beni residuati alla morte della GALLI( non traendone le
debite conclusioni in ordine alla insussistenza del fatto’I
2.2. inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 368 c.p., 42,43 c.p. e 192
c.p.p. in ordine al profilo psicologico; nullità della sentenza per
violazione degli artt. 191,431 e 526 c.p.p.; mancata assunzione di prova
decisiva sull’accertamento del dolo. In particolare, la sentenza avrebbe
desunto la sussistenza dell’elemento psicologico da non pertinenti
aspetti morali delta vicenda quali l’esperienza giudiziaria del ricorrente,
che non ricomprendeva certamente le conoscenze in materia penale
anche per le smentite a riguardo in atti e non essendo rilevante ciò che il
denunciante si rappresenta al momento della denuncia, peraltro
soggettivamente giustificato dai provvedimenti adottati

dal Giudice

tutelare. Inoltre, la sentenza desume l’elemento psicologico dalla
conoscenza attribuita all’imputato, prima della querela, delle
autorizzazioni ottenute dall’avv.MANFREDI per compiere quanto dalla
stessa compiuto, erroneamente poggiata sulla disponibilità da parte del
ricorrente di tali documenti che, invece, risultavano allegati al processo

tutore di GALLI Maria, falsamente incolpandola dei reati di furto e truffa

a seguito della loro produzione da parte della stessa parte offesa e non
per essere allegati alla querela. Sul punto il relativo motivo di appello
era stato negletto dal giudice del gravame che pure ha
ingiustificatamente rigettato l’istanza difensiva di audizione del
cancelliere della volontaria giurisdizione circa il contenuto del fascicolo
della tutela, mai acquisito al procedimento;
2.3. illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all’affermazione
di responsabilità in relazione al contrasto determinatosi con l’assoluzione

coinvolto nella stessa querela,ascrivendogli la complicità con la sorella al
fine di eludere il principio di gratuità della tutelai
2.4.violazione dell’art. 368 c.p. e 517 c.p. ed assenza dei requisiti di
procedibilità della querela; violazione degli artt. 516 e ss. c.p.p.. La
Corte territoriale avrebbe omesso di considerare il primo motivo di
appello in ordine alla idoneità della querela a determinare il sorgere del
procedimento penale, nella specie non verificata dai giudici di merito in
relazione alla incolpazione dei cinque soggetti menzionati nell’editto
accusatorio. Inoltre, solo tardivamente sarebbe stata contestata
l’aggravante ex art 61 n.11 c.p. in relazione al delitto di truffa, senza
della quale il predetto reato sarebbe stato improcedibilei
2.5.violazione dell’art. 133 c.p. ed omessa, contraddittorietà ed illogicità
della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti
generiche, siccome eccessiva la pena inflitta ed ingiustificato il diniego
delle attenuanti ex art. 62bis c.p..
2.6.Con motivi aggiunti in relazione al quarto motivo è dedotta l’omessa
considerazione da parte della Corte di appello della sussistenza del
delitto di calunnia solo nel caso in cui il reato oggetto di falsa
incolpazione sia procedibile. E, pertanto, si ribadisce la tardiva «
contestazione suppletiva» della aggravante ex art. 61 n. 11 c.p.,
comunque insussistente per l’estinzione della qualità di tutore a seguito
della morte del soggetto tutelato e, comunque, non essendo il
CASTIGLIONI legittimato alla querela, siccome solo semplice chiamato
all’eredità.
2.7.In relazione al secondo motivo si ribadisce la mancanza dell’elemento
psicologico sulla base della mancata conoscenza da parte del ricorrente
delle «autorizzazioni» postume e la contraddittorietà tra la
riconosciuta antigiuridicità dei comportamenti della incolpata e la
colpevolezza del ricorrente.
3. Il ricorso è infondato.

27

dell’imputato per l’ipotizzata calunnia ai danni dell’avv. Nicola Manfredi

4.

Il primo motivo è inammissibile in quanto, attraverso il profilo
formalmente azionato introduce – per una parte – la riproposizione di
dognanze già ineccepibilmente esaminate in appello e – per altra parte una rivalutazione del fatto improponibile in questa sede.

5.

Deve premettersi che ai fini della configurabilità del reato di calunnia, la
falsa accusa può anche realizzarsi sottacendo artatamente alcuni
elementi della fattispecie, così da fornire una rappresentazione del fatto
fuori del suo contesto e far apparire quindi come fatti illeciti / o

realmente tenuti dall’accusato. Deve quindi trattarsi di una omissione
narrativa tale da influire sul reato addebitato nel senso che, in sua
mancanza, il reato sarebbe escluso ovvero sarebbe di specie diversa (e
meno grave) di quello che appare nel racconto (Sez. 6, Sentenza n.
7722 del 20/01/2004 Rv. 229650 Imputato: Melis ed altro); ancora, ai
fini della configurabilità del reato di calunnia, la falsa accusa può anche
realizzarsi tacendo artatamente alcuni elementi della fattispecie, così da
fornire una rappresentazione del fatto fuori del suo contesto e far
apparire quindi come illeciti i comportamenti realmente tenuti
dall’accusato. (Fattispecie in cui l’imputato aveva denunciato un
avvocato per avere incassato un assegno relativo ad un credito della sua
ditta, omettendo di riferire, però, di essere stato preventivamente
informato dall’avvocato che l’assegno sarebbe stato trattenuto a
compensazione di crediti professionali) (Sez. 6, Sentenza n. 22928 del
23/05/2013 Rv. 256630 Imputato: Rinnbano).
6.

Si è posta nell’alveo di legittimità richiamato la Corte territoriale
allorquando ha avallato la sussistenza dell’elemento oggettivo del delitto
di calunnia – affrontando l’aspetto dedotto dalla difesa circa l’assenza di
fantasiosità nella prospettazione dei fatti nella querela sporta dal
ricorrente – correttamente rimarcando la rappresentazione delle quattro
condotte ascritte alla parte offesa ( incasso dei ratei pensionistici per
4.844,00 euro, esposizione nel rendiconto finale del credito di 1.600,00
euro correlato alle spese legali a favore dell’avv. Nicola Manfredi,
intestazione a sé medesima degli assegni

pensionistici arretrati per

l’importo di 3.242,90 euro e relativo incasso, pagamento di 3.125,00
euro all’impresa di pompe funebri) esplicitamente nell’ambito di una
condotta truffaldina finalizzata a danneggiare lo stesso querelante e
favorire altri, determinata dal ruolo di tutrice svolto dalla medesima
parte offesa nei confronti della GALLI Maria, nonna del ricorrente. Del
tutto sintonica a tale artata rappresentazione – come si desume dalla

3

maggiormente lesivi di quanto essi effettivamente siano i comportamenti

prima conforme decisione – è la conclusione dell’atto di querela del
CASTIGLIONI con la quale si accusa, tra gli altri, l’ avv. Anna Paola
Manfredi, da un lato, della « riscossione di capitali appartenenti a
Maria Galli ed alla eredità fin dopo la morte della de cuius senza alcuna
autorizzazione, in spregio alla normativa penale e dall’altro ha contratto
obbligazioni a carico dell’eredità al fine di azzerarla completamente» (
v. pag. 5 della sentenza di primo grado), chiedendo la punizione dei
colpevoli da perseguire per «furto» e «truffa» o «per qualsiasi

successive indagini» .
7.

Anticipando l’esame del quarto motivo,anche come integrato dai motivi
aggiunti, se ne deve affermare la infondatezza.

8.

Ai fini della configurabilità del reato di calunnia – che è di pericolo – non
è richiesto l’inizio di un procedimento penale a carico del calunniato,
occorrendo soltanto che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi
necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di
una persona univocamente e agevolmente individuabile; cosicché
soltanto nel caso di addebito che non rivesta i caratteri della serietà, ma
si compendi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non

poter ragionevolmente adombrare

perché in contrasto con i più

elementari principi della logica e del buon senso – la concreta
ipotizzabilità del reato denunciato, è da ritenere insussistente l’elemento
materiale del delitto di calunnia

(Sez.

6, Sentenza n.

32325 del

04/05/2010 Rv. 248079 Imputato: Grazioso).
9.

La sentenza impugnata affronta il tema della idoneità della querela
sporta dal ricorrente a determinare un procedimento penale a carico
degli accusati considerando che le accuse mosse dal ricorrente diedero
vita ad una contenzioso penale che vide valutate le accuse mosse
rispetto alle difese spiegate dai MANFREDI, sfociato nel decreto di
archiviazione del 26.11.2008.

10. Ancora, destituita di fondamento è la questione relativa alla procedibilità
del delitto di truffa ed in relazione alla aggravante ex art. 61 n.11 c.p..
11. Solo impropriamente a tale riguardo si fa riferimento a «contestazione
suppletiva» della aggravante , posto che tale istituto e le relative
cadenze processuali attengono soltanto a quella nei confronti
dell’imputato e non, come nella specie, alla condotta (falsamente)
attribuita alla parte offesa, la cui qualificazione – in ogni caso – incombe
d’ufficio al giudice investito indipendentemente dalla iniziativa delle
parti. E nella specie è incensurabile la qualificazione aggravata della

h

altro reato dovesse emergere dalla sopraestesa narrativa di fatto o dalle

condotta truffaldina siccome correlata alle funzioni di tutore svolte dalla
parte offesa. Invero ed in ogni caso l’aggravante di aver commesso il
fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una
pubblica funzione o ad un pubblico servizio è configurabile anche quando
il pubblico ufficiale abbia agito al di fuori dell’ambito delle sue funzioni,
essendo sufficiente che la sua qualità abbia comunque facilitato la
commissione del reato (Sez. 5, Sentenza n. 50586 del 07/11/2013 Rv.
257842 Imputato: Ghisleni).

infondato.
13. In tema di calunnia, la consapevolezza da parte del denunciante dell’
innocenza della persona accusata è esclusa solo quando la supposta
illiceità del fatto denunciato sia ragionevolmente fondata su elementi
oggettivi, connotati da un riconoscibile margine di serietà e tali da
ingenerare concretamente la presenza di condivisibili dubbi da parte di
una persona di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi
nella medesima situazione di conoscenza (Sez. 6, Sentenza n. 29117 del
15/06/2012 Rv. 253254 Imputato: Valenti). A tale riguardo, annota la
sentenza citata, la giurisprudenza di legittimità ha chiaramente tracciato
la linea di discrimine, stabilendo che se l’erroneo convincimento sulla
colpevolezza dell’accusato riguarda fatti storici concreti, suscettibili di
verifica o, comunque, di una corretta rappresentazione nella denuncia,
l’omissione di tale verifica o rappresentazione viene a connotare
effettivamente in senso doloso la formulazione di un’accusa espressa in
termini perentori. Di contro, solo quando l’erroneo convincimento
riguardi i profili valutativi della condotta oggetto di accusa, in sè non
descritta in termini difformi dalla realtà, l’attribuzione dell’illiceità
potrebbe apparire dominata da una pregnante inferenza soggettiva,
come tale inidonea, nella misura in cui non risulti fraudolenta o
consapevolmente forzata, ad integrare il dolo tipico del delitto di
calunnia. Ne discende che l’ingiustificata attribuzione come vero di un
fatto del quale non si è accertata la realtà presuppone la certezza della
sua non attribuibilità «sic et simpliciter» all’incolpato.
14. E l’elemento soggettivo, che deve estendersi alla consapevolezza di
esporre al rischio di un procedimento penale l’accusato che si sa
innocente, è evidenziato dalle concrete circostanze e dalle modalità
esecutive che definiscono l’azione criminosa, dalle quali, con processo
logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del

12.11 secondo motivo, anche come integrato dai motivi aggiunti, è

soggetto ai fini dell’accertamento del dolo (Sez. 6, Sentenza n. 21204

del 03/04/2013 Rv. 255670 Imputato: Cristofani).
15. La sentenza impugnata non si è discostata dal richiamato orientamento.
In relazione alle specifiche indicazioni della prima sentenza ( v. pg. 8)
circa la conoscenza da parte del ricorrente delle autorizzazioni e del
visto del giudice tutelare e delle ragioni per le quali l’avv. MANFREDI
aveva anticipato le somme all’impresa delle pompe funebri, nonché dello
stesso rendiconto presentato dal predetto avvocato, e sul rilievo che lo

nella sua querela aveva affermato di aver preso visione del fascicolo
della tutela, la sentenza gravata ha escluso del tutto logicamente che
l’addotto problema di affoliazione degli atti potesse fondare l’ignoranza
del ricorrente in ordine alle interlocuzioni tra il tutore e l’A.G., posto che
l’accusa relativa al presunto indebito compenso per spese legali, peraltro
solo oggetto di una richiesta, era correlato a procedimenti promossi
dallo stesso CASTIGLIONI nei confronti della nonna; mentre, in relazione
a quella relativa all’incasso dei 3.242,90 euro, il ricorrente non aveva
allegato proprio la

documentazione della trasparente operazione

(richiesta di autorizzazione del tutore alla riscossione, l’autorizzazione
del giudice in data 4.4.2007,visto dei P.M, disposizione di bonifico in
favore della Fondazione).
16. Inammissibile è la censura in ordine al negato accesso alla
testimonianza del cancelliere della volontaria giurisdizione, siccome non
oggetto di doglianza in sede di appello.
17.11 terzo motivo è inammissibile siccome genericamente fondato sulla
presunta indefettibile correlazione tra le condotte ascritte alla attuale
parte offesa ed a suo fratello, rispetto al quale la prima sentenza aveva
escluso la correità siccome l’accusa riguardava la volontà del tutore di
«aggirare la gratuità della tutela» e, pertanto, non risolvendosi la
definitività della decisione relativa all’avv. Nicola MANFREDI in un
contrasto con la ricostruzione del fatto ( falsamente ) ascritto alla
attuale parte offesa.
18.11 quinto motivo è inammissibile siccome

quanto all’entità della pena

non oggetto di motivo di appello e – quanto alle denegate attenuanti critica generica all’esercizio dei poteri discrezionali da parte del giudice
di meritoi che nella specie ha negato le attenuanti generiche dandone
incensurabile giustificazione con riferimento alla fortissima intensità del
dolo, alla pluralità delle infamanti accuse rivolte alla parte offesa

6

stesso ricorrente aveva agito nei confronti del tutore in sede civile e

accusata ingiustamente quanto deliberatamente di aver reiteratamente
perseguito un ingiusto profitto.
19. Al rigetto dei ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

processuali.
Così deciso in Roma, 14.5.2014.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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