Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24051 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24051 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi presentati da:
Lorenzinini Umberto, nato a Roma, 1’8/9/1936;
Gagliardi Stefano, nato a Napoli, il 10/3/1964;

avverso l’ordinanza del 29/1/2014 del Tribunale di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Roberto
Aniello , che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi per l’indagato Gagliardi gli avv.ti Antonio Managò e Lorenzo Contrada, che hanno
concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti proposti
nell’interesse del proprio assistito.
RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 15/05/2014

1.11 Tribunale di Roma, accogliendo l’appello proposto dal pubblico ministero avverso il
pregresso rigetto della sua richiesta cautelare, applicava a Lorenzinini Umberto e
Gagliardi Stefano la misura degli arresti domiciliari in riferimento ai reati di bancarotta
fraudolenta patrimoniale e documentale e di bancarotta impropria commessi nelle
rispettive qualità di amministratori di diritto e di fatto della IMG Costruzioni s.r.l.
dichiarata fallita il 24 gennaio 2013.
2. Avverso l’ordinanza ricorrono entrambe gli indagati.

deduce l’errata applicazione della legge penale, rilevando l’inconfigurabilità della
contestata bancarotta patrimoniale per la distrazione della somma pervenuta alla IMG
da altra società del Gagliardi in pagamento di fatture per operazioni inesistenti. Nel
caso di specie non troverebbe infatti applicazione, secondo il ricorrente, il principio per
cui il reato menzionato può riguardare anche i beni di provenienza illecita acquisiti dal
fallito, in quanto, non avendo la IMG sostanzialmente operato dopo il 2004 ed essendo
il suo conto bancario stato movimentato solo in occasione dell’incasso della somma
menzionata, il danaro oggetto della presunta distrazione avrebbe sempre conservato
una sua identità autonoma rimanendo separato dal patrimonio della società, con la
conseguente mancata lesione del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.
Sotto altro profilo il ricorrente lamenta l’erroneità della contestazione anche per la
ritenuta incompatibilità del dolo della bancarotta con quello specifico di evasione
richiesto a sostegno della condotta prodromica e strumentale alla distrazione e cioè
quella di emissione di fatture per operazioni inesistenti. Con il secondo motivo il
ricorrente censura la contraddittorietà della motivazione laddove questa per un verso
affermerebbe la sussistenza del reato e per l’altro avrebbe invece escluso che le
somme distratte siano mai entrate nel patrimonio sociale proprio perché relative a
fatture emesse per operazioni inesistenti. Con il terzo motivo si lamenta il difetto
assoluto di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi del reato di
causazione dolosa del fallimento di IGM, di cui il ricorrente contesta peraltro la
configurabilità in assenza della prova della realizzazione di condotte dolose
eziologicamente connesse al dissesto ulteriori rispetto a quella distrattiva contesta. Il
difetto di motivazione viene dedotto con il quarto motivo anche in relazione al reato di
bancarotta documentale e con particolare riferimento alla prova del dolo specifico
richiesto per la sussistenza del medesimo. Mentre con il quinto ed ultimo motivo il
ricorrente denuncia la violazione della legge processuale e correlati vizi motivazionali
in merito alla ritenuta sussistenza del pericolo di recidivanza, del quale il Tribunale non
avrebbe dimostrato l’attualità, deducendolo peraltro da precedenti giudiziari risalenti e
per lo più relativi a fatti depenalizzati e in maniera del tutto generica dalle modalità di
consumazione dei reati contestati. Non di meno i giudici del riesame avrebbero

2.1 Il ricorso proposto personalmente dal Lorenzini articola cinque motivi. Con il primo

totalmente omesso di motivare, in punto di adeguatezza, sull’inidoneità di misure
meno afflittive.
2.2 II ricorso proposto nell’interesse del Gagliardi dall’avv. Contrada articola a sua
volta cinque motivi. Il primo sostanzialmente riproduce le medesime doglianze
avanzate con il primo motivo di quello del Lorenzini, precisando altresì il ricorrente
come, in caso di beni di provenienza illecita, solo quelli acquisiti a seguito di negozi
annullabili si confonderebbero nel patrimonio del fallito e dunque, fino alla loro

ritenersi concorrere alla garanzia degli interessi dei creditori dello stesso. Nel caso
invece in cui il conseguimento dei suddetti beni trovi la sua fonte in un atto
radicalmente nullo – quale sarebbe nella specie il pagamento di fatture relative ad
operazioni inesistenti eseguito al fine di evadere il fisco – tale confusione non si
determinerebbe e dunque il successivo prelievo degli stessi beni non determinerebbe
alcuna effettiva lesione del patrimonio costituito a garanzia dei creditori, atteso che tali
beni sarebbero comunque destinati alla restituzione all’avente diritto, tanto che il
giudice delegato al fallimento potrebbe accogliere in tale ipotesi eventuali domande di
rivendicazione, separazione o restituzione ai sensi degli artt. 16 comma 2 n. 4 e 103
legge fall. E sempre nel caso di specie, nonostante oggetto di distrazione sia stata una
somma di danaro, non vi sarebbe dubbio sulla sua identificabilità con quella
illecitamente proveniente dalla Mastro s.r.I., atteso che la fallita era inattiva da oltre
quattro anni, era priva di patrimonio ed il conto corrente sulla quale la suddetta
somma era transitata prima di ritornare al Gagliardi secondo l’impostazione
accusatoria era stato acceso al solo fine di consentire tale operazione. Anche il
secondo, il terzo ed il quarto motivo ripropongono le medesime censure mosse alla
motivazione della sentenza con il ricorso del Lorenzini in merito alla configurabilità dei
reati di bancarotta patrimoniale, documentale ed impropria, lamentando altresì che il
Tribunale avrebbe solo apoditticamente riconosciuto la qualifica di amministratore di
fatto della fallita in capo al Gagliardi, nonostante questi non abbia mai compiuto atti di
gestione di IMG e risulti coinvolto esclusivamente nell’operazione relativa al
pagamento delle fatture per operazioni inesistenti da parte di Mastro s.r.l. Con
particolare riguardo alla fattispecie di bancarotta documentale, il ricorrente ha altresì
evidenziato come i giudici del riesame abbiano anche errato nella qualificazione
giuridica del fatto, al più riconducibile allo schema della fattispecie prevista e punita
dall’art. 217 legge fall. non potendosi ritenere integrato il dolo specifico richiesto per
integrare il delitto contestato. Anche nel ricorso dell’avv. Contrada, infine, il quinto
motivo è dedicato alla critica della motivazione con cui l’ordinanza impugnata ha
ritenuto la sussistenza del pericolo di recidivanza dell’indagato, rilevandosi in proposito
come il presunto precedente specifico da cui risulterebbe gravato è invero una mera
pendenza e come il richiamo alle numerose cariche sociali ricoperte dal Gagliardi risulti

separazione conseguente all’effettivo esercizio della relativa azione, potrebbero

del tutto in conferente e comunque valorizzi una circostanza priva di quella
concretezza necessaria a far emergere la sussistenza dell’esigenza cautelare ritenuta.
Non di meno i fatti dì presunta distrazione contestati risalirebbero ad oltre cinque anni
addietro e dunque il Tribunale non avrebbe motivato sull’attualità della suddetta
esigenza.

3. Sempre nell’interesse del Gagliardi l’avv. Malagò ha poi proposto il 14 aprile 2014

patrimoniale, sia sotto il profilo della configurabilità dell’elemento materiale che di
quello soggettivo del reato, in forza della natura di mera “cartiera” della fallita e della
strumentalità del transito nelle sue casse della somma di cui si è ritenuta la distrazione
alla sottrazione di liquidità alla Mastro s.r.l. attraverso la rappresentazione a carico di
quest’ultima di costi inesistenti, riproponendo per il resto gli argomenti spesi nel
ricorso principale in merito alle presunte lacune motivazionali del provvedimento
impugnato in merito alla configurabilità degli altri reati e all’identificazione
dell’indagato come amministratore di fatto della fallita.
Infine, con memoria presentata in pari data e allegata certificazione notarile, lo stesso
difensore ha inteso documentare come il Gagliardi ricopra cariche gestorie in sole due
persone giuridiche al fine di evidenziare l’erroneità dell’affermazione per cui egli
sarebbe invece coinvolto nell’amministrazione di numerose società spesa dal Tribunale
per dimostrare la sussistenza del pericolo di recidivanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Le doglianze proposte dai ricorrenti con il primo motivo dei rispettivi ricorsi e dal
Gagliardi anche con i motivi nuovi in merito all’inconfigurabilità del reato di bancarotta
patrimoniale sono infondate.
1.1 In proposito deve ricordarsi come per il consolidato orientamento di questa Corte il
reato di bancarotta fraudolenta non è escluso dal fatto che i beni distratti o dissipati
appartenenti alla società, poi dichiarata fallita, siano di provenienza delittuosa, in
quanto, a tal fine, deve aversi riguardo alla consistenza obiettiva del patrimonio,
prescindendo dai modi della sua formazione, con la conseguenza che detti beni, una
volta entrati nel patrimonio della società, diventano cespiti sui quali i creditori possono
soddisfare le loro ragioni (Sez. 5, n. 45332 del 9 ottobre 2009, Rapisarda, Rv.
245156; Sez. 5, n. 44159 del 20 novembre 2008, Bausone e altro, Rv. 241692; Sez.
5, n. 42635 del 4 ottobre 2004, Collodo ed altri, Rv. 229908; Sez. 5, n. 39610 del 21
settembre 2010, Meschieri e altro, Rv. 248652).
1.2 La tesi, pure enucleata dalla giurisprudenza di legittimità richiamata dai ricorrenti,
per cui i beni di provenienza illecita sarebbero suscettibili di distrazione fino a quando

motivi aggiunti con cui ha ribadito l’insussistenza della contestata bancarotta

non siano individuati e separati dagli altri facenti parte del patrimonio del fallito (in
questo senso da ultima Sez. 5, n. 23318 del 17 marzo 2004, Spartà ed altri, Rv.
228863) non contraddice il principio illustrato e può essere ribadita a patto di coglierne
l’esatto significato. In tal senso, infatti, si è inteso affermare semplicemente che i beni
rinvenuti in possesso del fallito, ma che sono rimasti materialmente distinti dal suo
patrimonio, non sono suscettibili di distrazione a patto che vengano individuati e
formalmente separati e sempre che il fallito non ne abbia reso impossibile la

1.3 Come chiarito dalle sezioni civili di questa Corte, comunque, le domande di
rivendicazione, restituzione o separazione, ai sensi dell’art. 103 della legge
fallimentare, sono ammissibili solo con riguardo a cose mobili possedute dal fallito ed
esattamente individuate per specie, non anche in relazione alle cose fungibili ed, in
particolare, al denaro, restando al loro riguardo configurabile un diritto di credito
azionabile nei modi e con gli effetti previsti dagli art. 93 e segg. della stessa legge nei
confronti della curatela del fallito (Sez. 1 civ., Sentenza n. 12718 del 18 ottobre 2001,
Rv. 549721). E’ dunque escluso che il danaro conseguito dal fallito, anche se di
provenienza illecita, possa in alcun caso sottrarsi alla confusione con il suo patrimonio
evitando di costituire oggetto dello spossessamento previsto dall’art. 42 legge fall. e
ciò a prescindere dalla sua eventuale tracciabilità o dalla capienza del suddetto
patrimonio. Conseguentemente non può dubitarsi che la successiva sottrazione di una
somma pari a quella precedentemente oggetto di confusione integri l’elemento
materiale del reato previsto dall’art. 216 legge fall., in quanto tale condotta è idonea a
mettere a repentaglio gli interessi dei creditori del fallito.
1.4 Irrilevanti sono pertanto le obiezioni avanzate dai ricorrenti ispirandosi alle
modalità con cui è stata eseguita l’operazione che ha portato temporaneamente nelle
casse della fallita la somma di cui è stata correttamente ritenuta dal Tribunale la
distrazione. Ma anche volendo seguire il ragionamento proposto dalle difese va
evidenziato come in ogni caso il danaro proveniente dalla Mastro, una volta versato sul
conto “dedicato” all’uopo acceso dal Lorenzini, aveva comunque perduto la sua identità
fisica. Vero è invece che nel momento in cui la società ha ricevuto la suddetta somma
il suo amministratore avrebbe dovuto conservarlo a garanzia dei creditori (senza che
in tal senso rilevi che questi si identificassero esclusivamente con l’Erario) ovvero
impiegarlo in conformità all’oggetto sociale.
1.5 Infine in senso contrario non rilevano i principi affermati da Sez. Un., n. 29951 del
24 maggio 2004, C. fall. in proc. Focarelli, Rv. 228165, che si è limitata a
regolamentare i rapporti tra sequestro funzionale alla confisca facoltativa di proventi
illeciti e procedura concorsuale cui gli stessi sono assoggettati e che, nell’evidenziare
come le finalità della misura cautelare possano essere ritenute recessive rispetto alle

restituzione, dovendo egli altrimenti rispondere comunque del reato di bancarotta.

esigenze del fallimento, ha invece implicitamente riconosciuto come tali proventi
debbano considerarsi a tutti gli effetti confusi nel patrimonio del fallito.
2. Manifestamente infondate sono le doglianze dei ricorrenti inerenti la presunta
incompatibilità del dolo di bancarotta con quello che avrebbe supportato l’emissione
delle fatture per operazioni inesistenti attraverso cui venne conseguita la provvista
oggetto della contestata distrazione. In proposito va innanzi tutto rilevato come non
risulti che l’operazione sia stata posta in essere al fine di favorire l’evasione di Mastro

dell’eventuale accertamento di tale disegno. Quest’ultimo peraltro, come
correttamente ritenuto dal Tribunale, costituirebbe il mero movente del reato
fallimentare, per la cui configurabilità è invece sufficiente il dolo generico integrato, nel
caso specifico, dalla consapevolezza del transito della somma erogata dalla
menzionata società nelle casse della IMG e dalla volontarietà del suo distacco nella
prevedibilità del pericolo che tale operazione poteva determinare per gli interessi dei
creditori della stessa (peraltro evidente attesa l’assenza di altri cespiti in grado di
soddisfare tali interessi). Ed infatti l’ingresso o meno di un bene nel patrimonio del
fallito è un fatto oggettivo la cui qualificazione giuridica non dipende dall’intenzione
ulteriore con cui questi ne consegua la disponibilità. Non di meno l’eventuale
strumentalizzazione di IMG alla sottrazione all’imposizione fiscale delle risorse della
Mastro non impedisce di configurare in ipotesi il concorso tra il reato tributario (nella
specie quello di cui all’art. 8 d. Igs. n. 74/2000) e quello fallimentare, atteso che gli
stessi sono stati realizzati mediante condotte autonome e distinte, ancorchè
eventualmente coordinate (circostanza al più rilevante ai fini del riconoscimento della
continuazione), il che peraltro impedisce anche solo di ipotizzare la prospettata
incompatibilità tra il dolo della bancarotta e quello del reato tributario.
3.

Manifestamente infondate sono anche le censure rivolte alla motivazione

dell’ordinanza assumendo la sua contraddittorietà in merito al reato di bancarotta per
distrazione di cui al capo A) punto b) dell’incolpazione provvisoria. E’ infatti evidente
che il Tribunale ha ritenuto insussistente l’analoga contestazione elevata al punto a)
del medesimo capo in quanto difetterebbe, in quel caso, la prova che le fatture per
operazioni inesistenti emesse da IMG siano state effettivamente pagate e che,
pertanto, la somma di cui si presume la distrazione sia mai entrata nella disponibilità
della fallita, diversamente da quanto avvenuto nell’altro episodio oggetto di
contestazione.
4. Fondato è invece il secondo motivo del ricorso del Gagliardi e i motivi nuovi proposti
nell’interesse del medesimo nella misura in cui lamentano il difetto di motivazione

s.r.I., né che agli indagati siano stati contestati i reati tributari configurabili a seguito

sull’attribuzione all’indagato della qualifica di amministratore di fatto della fallita
basandosi esclusivamente sul suo coinvolgimento nell’operazione distrattiva.
4.1 Secondo il consolidato orientamento di questa Corte è amministratore di fatto
anche chi non eserciti tutti i poteri propri dell’organo di gestione, purchè svolga
un’apprezzabile attività gestoria, intendendosi per tale quella svolta in maniera non
episodica od occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore
di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico

giugno 2013, Tarantino, Rv. 256534).
4.2 Ne consegue che il coinvolgimento dell’imputato in una singola operazione
distrattiva non è, in assenza di indici sintomatici ulteriori, di per sé sufficiente a
giustificare l’attribuzione di tale qualifica a soggetto formalmente estraneo al ceto
gestorio della società, ferma restando la possibilità di configuare il concorso del
medesimo in qualità di extraneus alla realizzazione dei reati di bancarotta commessi
dall’amministratore di diritto.
4.3 II provvedimento impugnato, pur attribuendo esplicitamente al Gagliardi la
qualifica di amministratore di fatto della fallita quasi “incidentalmente”, lo ha ritenuto
coautore dei reati di cui si tratta facendo riferimento ad una incolpazione provvisoria
che tale qualifica invece espressamente contemplava e, dunque, sostanzialmente,
presupponendola, anche perché altrimenti non si spiegherebbe l’attribuzione
all’indagato anche della responsabilità per i fatti diversi dalla distrazione delle somme
erogate dalla Mastro. Dunque delle due l’una: o effettivamente il Tribunale ha seguito
l’impostazione accusatoria, ma allora alla luce dei principi suindicati è evidente
quantomeno il difetto di motivazione sulla qualifica soggettiva, sostanzialmente
dedotta dall’interesse del Gagliardi all’operazione distrattiva, che di per sé è invece
insufficiente a provare il suo supposto ruolo di gestore occulto della fallita; ovvero i
giudici del merito hanno ritenuto che egli debba rispondere a titolo di concorso come
extraneus

nel reato di distrazione, ma allora del tutto immotivato è il suo

coinvolgimento nel reato di bancarotta documentale e in quello di causazione dolosa
del fallimento (a parte quanto si dirà in seguito in merito alla configurabilità di
quest’ultimo). Non di meno, anche qualora volesse ritenersi che effettivamente il

gi5

Tribunale abbia ritenuto la responsabilità del gliardi a tale titolo, comunque la
motivazione del provvedimento impugnato risulterebbe carente in riferimento al dolo
che deve caratterizzare la condotta del concorrente, per la cui sussistenza, pur non
essendo richiesta la consapevolezza del dissesto della fallita, è comunque necessario la
rigorosa prova di quella di contribuire effettivamente all’attività distruttiva compiuta
dall’amministratore della società.

del soggetto con funzioni direttive nella società (ex multis Sez. 5, n. 35346 del 20

5.

Fondate sono altresì le doglianze proposte da entrambi i ricorrenti sulla

configurabilità del delitto di cui all’art. 223 comma 2 n. 2) legge fall.
5.1 Secondo il costante insegnamento di questa Corte i reati di bancarotta fraudolenta
patrimoniale e documentale e quello previsto dalla disposizione succitata concernono
ambiti diversi: i primi riguardano, infatti, il compimento di atti di distrazione o
dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta fraudolenta
dei libri e delle scritture contabili idonei a generare un pericolo per le ragioni

sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece,
condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività né si
risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi
tramite le scritture contabili, ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento.
Conseguentemente deve escludersi il concorso formale tra la bancarotta fraudolenta
patrimoniale e la bancarotta impropria ai sensi della disposizione succitata, potendosi
invece configurare il concorso materiale tra i suddetti reati, ma soltanto se, oltre ad
azioni comprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 legge fall., si siano
verificati differenti e autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o
infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per
l’andamento economico-finanziario della società – siano stati causa del fallimento (Sez.
5, n. 34559 del 19 maggio 2010, Biole’ e altro, Rv. 248167; Sez. 5, n. 17978 del 17
febbraio 2010, Pagnotta e altri, Rv. 247247).
5.2 Dal laconico passaggio della motivazione dedicato al reato contestato al capo C)
dell’incolpazione provvisoria non è possibile comprendere se i giudici del riesame
abbiano ritenuto configurabile la bancarotta impropria in forza della accertata
consumazione dei reati di bancarotta patrimoniale e documentale – il che, alla luce
degli illustrati principi, intergrerebbe un’errata applicazione della legge penale -ovvero
se abbiano preso in considerazione ulteriori comportamenti addebitabili agli indagati,
peraltro non specificati dal provvedimento impugnato, che anche sotto questo profilo
deve pertanto essere annullato.

6. Con riguardo alla contestazione di bancarotta documentale, devono ritenersi
assorbite le doglianze del Gagliardi dall’accoglimento delle censure di cui si è trattato
sub 4, mentre infondate risultano quelle del Lorenzini, atteso che dalla motivazione
complessiva del provvedimento emerge come il Tribunale abbia in maniera tutt’altro
che illogica ritenuto che l’indagato abbia fraudolentemente occultato o non tenuto le
scritture contabili sorretto dall’intenzione di recare pregiudizio ai creditori in ragione
della strumentalizzazione della società all’attività di cartiera.

creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo

7. Quanto ai motivi inerenti le esigenze cautelari, deve nuovamente ritenersi assorbito
nell’accoglimento delle precedenti doglianze quello del Gagliardi, mentre infondato al
limite dell’inammissibilità risulta quello del Lorenzinini.
7.1 In proposito va ricordato infatti, che ai fini della valutazione del pericolo che
l’imputato commetta ulteriori reati della stessa specie, il requisito della “concretezza”,
cui si richiama l’art. 274, comma primo, lett. c), c.p.p., non si identifica con quello di
“attualità” derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla

condizione, necessaria e sufficiente, che esistano elementi “concreti” (cioè non
meramente congetturali) sulla base dei quali possa affermarsi che l’imputato,
verificandosi l’occasione, possa facilmente commettere reati che offendono lo stesso
bene giuridico di quello per cui si procede. (Sez. 1, n. 15667 del 16 gennaio 2013,
Capogrosso e altri, Rv. 255350).
7.2 Ed in tal senso il Tribunale in maniera tutt’altro che illogica ha dedotto dalle
specifiche modalità del fatto e dalla strumentalizzazione della società il sintomo della
pericolosità dell’indagato, anche alla luce delle sue pendenze penali, legittimamente
considerate a tal fine, essendo gli stessi idonei a determinare un apprezzamento
parimenti utile per ritenere la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione di reati
della stessa specie, alla luce delle modalità del fatto (Sez. 6, n. 33873 del 15 luglio
2008, Magnante, Rv. 240761), non risultando decisivo in senso contrario che il
provvedimento faccia riferimento in aggiunta anche a precedenti penali la cui esistenza
il ricorrente ha contestato.
7.3 Con riguardo infine al giudizio di adeguatezza della misura applicata, deve
ricordarsi come non sia necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono
inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti
logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati nonché
dalla personalità dell’indagato – quali quelli utilizzati nel caso di specie dal
provvedimento impugnato – gli elementi specifici che inducono ragionevolmente a
ritenere quella applicata come la misura più adeguata al fine di impedire la
prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo assorbita l’ulteriore
dimostrazione dell’inidoneità delle altre misure meno afflittive (ex multis Sez. 6, n.
17313 del 20 aprile 2011, Cardoni, Rv. 250060).

8. In definitiva il provvedimento impugnato deve essere annullato nei confronti del
Gagliardi e, limitatamente al reato di bancarotta impropria, anche nei confronti del
Lorenzini con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma.

commissione di nuovi reati, dovendo, al contrario, essere riconosciuto alla sola

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma per
l’imputato Gagliardi.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma per

legge fall., rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 15/5/2014

l’imputato Lorenzinini limitatamente al reato di bancarotta ex art. 223 comma 2 n. 2

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