Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24045 del 28/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24045 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCALI RODOLFO N. IL 14/08/1965
avverso l’ordinanza n. 879/2013 TRIB. LIBERTA’ di TORINO, del
02/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;
lette/sentite le conclusioni del PG-Dott.—.

Data Udienza: 28/02/2014

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.11 Tribunale di Torino, Sezione del riesame, con ordinanza in data 2
luglio 2013, rigettava l’appello, proposto ai sensi dell’art. 310 c.p.p.,
avverso l’ordinanza, emessa il 24 aprile 2013 dal GIP del Tribunale di
Torino, con la quale era stata respinta l’istanza intesa ad ottenere la

emessa in data 1 giugno 2011 nei confronti di Scali Rodolfo, per
intervenuta decorrenza dei termini ex art. 303 c.p.p..
In particolare, il Tribunale, dopo aver dato atto delle allegazioni dello
Scali – secondo le quali: in data 13 luglio 2010 veniva eseguito nei
confronti dell’imputato decreto di fermo, emesso dalla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, nell’ambito del
procedimento n. 1389/08 (c.d. operazione crimine), seguito da
ordinanza di custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’art. 416
bis c.p. e da condanna, con sentenza del Tribunale di Reggio Calabria
del 7 marzo 2012, alla pena di anni 5 e mesi 4 di reclusione e in data
8.06.2011 veniva emesso ulteriore provvedimento di custodia in carcere
dal G.I.P. presso il Tribunale di Torino, nell’ambito del procedimento
penale Minotauro, per due episodi di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90,
aggravati ai sensi dell’ad 7 D.L. 152/1991, commessi nel marzo ed
aprile 2008, cui seguiva condanna con sentenza del Gup del Tribunale di
Torino in data 2.10.2012 alla pena di anni 6 e mesi 10 di reclusione ed
euro 30.000 di multa- e considerate le richieste dello stesso, di
applicazione nella fattispecie in esame del disposto di cui all’art. 297/3
c.p.p. (contestazioni a catena), con conseguente retrodatazione della
decorrenza della misura cautelare cd. “Minotauro” alla data del 13
luglio 2010 (data di esecuzione del fermo nell’ambito del procedimento
reggino) e con dichiarazione di sopravvenuta inefficacia della misura
cautelare stessa (“Minotauro”) per sopravvenuta decorrenza del termini
di cui all’art. 303 c.p.p., respingeva l’ istanza, anche in base ai
principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 45246 del
19/07/2012. Osservava, in particolare, il Tribunale: che la fattispecie
riguardava ordinanze cautelari emesse nell’ambito di procedimenti del
tutto diversi, pendenti innanzi ad autorità giudiziarie diverse, laddove
presupposto per l’operatività dell’istituto di cui all’art. 297/3 c.p.p. è la
sussistenza del vincolo di connessione qualificata, intesa come concorso
1

dichiarazione di sopravvenuta inefficacia dell’ordinanza cautelare

formale, connessione teleologica, ovvero la riconducibilità dei diversi
reati nell’ambito di un unico disegno criminoso ex art. 81 cpv. lett. b)
c.p.; che tale connessione non era sussistente, discutendosi nella prima
ordinanza reggina (“operazione Crimine”) di un reato associativo,
ovvero della partecipazione dello Scali alla ‘ndrangheta, con affiliazione
decorrente quantomeno dal 1997, e nell’ ordinanza torinese
(“operazione Minotauro”) di violazioni della normativa in materia di
stupefacenti, commesse nel medesimo contesto ‘ndranghetista,

formale di reati, né quella del vincolo di continuazione ex art. 81 cpv.
c.p., e neppure il vincolo di connessione teleologica.
2. Avverso tale ordinanza lo Scali, a mezzo del suo difensore, ha
proposto ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 311 c.p.p., deducendo
la ricorrenza dei vizi di violazione di legge in relazione all’art. 297,
comma terzo, c.p.p. e di manifesta illogicità della motivazione, in
quanto: con riguardo al primo procedimento penale, la condotta di
partecipazione all’associazione di tipo mafioso, in ipotesi di accusa, è
stata contestata con descrizione del momento temporale di
commissione, mediante una formula cosiddetta aperta, senza
indicazione alcuna rispetto alla presunta data di inizio ed ancora in
corso al momento di esecuzione del fermo (13.7.2010), sicchè, nel
periodo in cui l’imputato avrebbe fatto parte dell’associazione
denominata ‘ndrangheta, avrebbe commesso le violazioni di cui all’art.
73 D.P.R. 309/90, al fine di agevolare la predetta associazione di
stampo mafioso; gli episodi di spaccio di sostanze stupefacenti
debbono, pertanto, considerarsi connessi e teleologicamente collegati
rispetto alla condotta partecipativa del delitto associativo, anche in forza
del fatto che trattasi di delitti per i quali è stata applicata l’aggravante di
cui all’art. 7 d.l. 152/91; in particolare, la D.D.A. presso la Procura
torinese aveva iscritto lo Scali nel registro degli indagati per il delitto di
cui all’art. 416 bis c.p., quale referente del locale di Mammola per quello
di Cuorgnè, non procedendo all’esercizio della relativa azione penale in
quanto l’imputato veniva già giudicato per il delitto associativo
dall’Autorità giudiziaria reggina, sicchè alla data di esecuzione
dell’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal G.I.P. di Torino, gli
inquirenti ed il Procuratore della Repubblica di Torino erano già a
conoscenza dell’iscrizione dello Scali nel registro degli indagati e
dell’esistenza dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei
confronti del medesimo, per violazione dell’art. 416 bis c.p. sin dal

2

C?(

nell’anno 2008; che, pertanto, non ricorreva l’ipotesi del concorso

13.7.2010; che, tenuto conto della

struttura organizzativa della

`ndrangheta, può ricavarsi che, con la violazione della disciplina sugli
stupefacenti, il ricorrente abbia commesso il fatto per agevolare il
predetto sodalizio e che il vincolo della connessione, ai sensi dell’art. 12
lett. c) c.p.p. appare innegabile, sol che si tenga a mente la natura
permanente del delitto associativo, per il quale il ricorrente ha riportato
condanna in primo grado, dopo l’esecuzione del secondo titolo
custodiale per violazioni della disciplina sugli stupefacenti.

Il ricorso non merita accoglimento.
1. Il caso in esame implica la trattazione dell’istituto delle cd.
“contestazioni a catena”, regolato dall’art. 297, comma 3, cod. proc.
pen., che, come rilevato nella recente sentenza della Corte
Costituzionale n. 293 del 06/12/2013, ha la precipua finalità di evitare
che la rigorosa predeterminazione dei termini di durata massima delle
misure cautelari possa essere elusa tramite la diluizione nel tempo di
due o più provvedimenti restrittivi nei confronti della stessa persona.
“Il nucleo di disvalore del fenomeno risiede, più in particolare,
nell’impedimento, ad esso conseguente, al contemporaneo decorso dei
termini relativi a plurimi titoli custodiali nei confronti del medesimo
soggetto. Il “ritardo” nell’adozione della seconda ordinanza cautelare
non vale, ovviamente, a prolungare i termini di durata massima della
prima misura – essendo gli stessi predeterminati per legge, ai sensi
dell’art. 303 cod. proc. pen. – ma, in difetto di adeguati correttivi,
avrebbe l’effetto di espandere la restrizione complessiva della libertà
personale dell’imputato, tramite il “cumulo materiale” – totale o parziale
– dei periodi custodiali afferenti a ciascun reato. Ciò, col risultato di
porre l’interessato in situazione deteriore rispetto a chi, versando nella
medesima situazione sostanziale, venga invece raggiunto da
provvedimenti cautelari coevi, e di rendere, al tempo stesso, aggirabile
la predeterminazione legale dei termini di durata massima delle misure,
imposta dall’art. 13, quinto comma, Cost.” (Corte Cost. sentenza n. 233
del 22/7/2011).
Il meccanismo di garanzia, prefigurato a favore dell’accusato contro la
suddetta evenienza, consiste segnatamente nella retrodatazione della
decorrenza del termine della misura cautelare applicata “tardivamente”.
In presenza, cioè, delle condizioni legislativamente previste per la
configurabilità di una “contestazione a catena”, il termine relativo alla
seconda (o all’ulteriore) ordinanza cautelare si considera iniziato alla

3

CONSIDERATO IN DIRITTO

data di esecuzione del primo provvedimento. Tale meccanismo può
comportare, in fatto, che i termini di durata massima della misura più
recente risultino già “virtualmente” scaduti alla data di emissione del
provvedimento che la dispone.
2. Sulla base di alcuni principi espressi da questa Corte con la
sentenza n. 45246 del 19/07/2012 e dalla Corte costituzionale
(sentenza n. 408 del 2005 e n. 233 del 2011) e dei precedenti
interventi di questa Corte di Cassazione (Sez. U, n. 21957 del

Librato) la norma di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, si applica:
– nel caso di emissione nello stesso procedimento di più ordinanze che
dispongono nei confronti di un imputato una misura custodiale per lo
stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti
diversi, legati da concorso formale, da continuazione o da connessione
teleologica, commessi anteriormente all’emissione della prima
ordinanza, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure
disposte con le ordinanze successive opera automaticamente, ovvero
senza dipendere dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento
dell’emissione della prima ordinanza, l’esistenza degli elementi idonei a
giustificare le successive misure (art. 297 c.p.p., comma 3, prima
parte);
– nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate nello stesso
procedimento riguardino invece fatti diversi tra i quali non sussiste la
connessione qualificata prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, la
retrodatazione opera solo se al momento dell’emissione della prima
erano desumibili dagli atti elementi idonei a giustificare le misure
applicate con le ordinanze successive;
– il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda
ordinanza coercitiva, rispetto all’emissione della prima, non ricorre
allorchè il provvedimento successivo riguardi un reato di associazione
(nella specie di tipo mafioso) e la condotta di partecipazione alla stessa
si sia protratta dopo l’emissione della prima ordinanza;
– quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti
diversi più ordinanze custodiali per fatti diversi in relazione ai quali
esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art.
297 c.p.p., comma 3, opera per i fatti desumibili dagli atti prima del
rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima
ordinanza;

4

22/03/2005, Rahulia; Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007,

- nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi
riguardino, invece, fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione
e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti
al momento della emissione della prima, i termini della seconda
ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la
prima, solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa
autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta
del pubblico ministero;

dei termini di durata della custodia cautelare, si applica anche
nell’ipotesi in cui, per i fatti contestati con la prima ordinanza,
l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato
anteriormente all’adozione della seconda misura (Corte cost., sent, n.
233 del 2011).
3.

La retrodatazione della decorrenza del termine di custodia

cautelare, prevista dall’art. 297, comma 3, c.p.p. può essere dedotta
anche in sede di riesame, solo se per effetto della retrodatazione lo
stesso termine sia interamente scaduto al momento della emissione del
secondo provvedimento cautelare (Sez. un., 19/07/2012, n. 45246) e,
secondo la recente pronuncia della Corte Cost. n. 293/2013, l’art. 309
c.p.p., non può essere interpretato nel senso che la deducibilità, nel
procedimento di riesame, della retrodatazione della decorrenza dei
termini di durata massima delle misure cautelari, sia subordinata anche
alla condizione che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino da
detta ordinanza.
4. Tanto precisato, si osserva che l’applicabilità alla fattispecie in
esame del disposto di cui all’art. 297/3 c.p.p. è stata invocata dallo
Scali al fine di retrodatare l’ordinanza di custodia in carcere
dell’8.06.2011 del G.I.P. presso il Tribunale di Torino – relativa a due
episodi di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90, aggravati ai sensi dell’alt 7 del
D.L. 152/1991, commessi nel marzo ed aprile 2008 – alla data del
decreto di fermo del 13 luglio 2010, seguito da ordinanza di custodia
cautelare in carcere, per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. emessa dal
Gip

del

di

Tribunale

Reggio

Calabria.

All’uopo correttamente il Tribunale del riesame di Torino, con
ragionamento logico, immune dai vizi denunciati, ha escluso con il
provvedimento impugnato che ricorressero i presupposti per
l’applicabilità del disposto di cui all’art. 297/3 c.p.p. e ciò in
considerazione, in primo luogo, di un elemento dirim nte: la diversità
5

– la disciplina stabilita dall’art. 297 c.p.p., comma 3, per la decorrenza

dei procedimenti, pendenti innanzi ad

autorità giudiziarie diverse

(Torino e Reggio Calabria). Giova all’uopo richiamare il principio
enunciato da questa Corte secondo cui, non può applicarsi la disciplina
della retrodatazione se i due procedimenti che hanno dato luogo alle
diverse ordinanze pendano dinanzi a due autorità giudiziarie differenti,
in quanto la diversità delle autorità giudiziarie procedenti indica una
diversità di competenza e fa ritenere che i procedimenti non avrebbero
potuto essere riuniti e che, quindi, la sequenza dei provvedimenti

seconda misura (Sez. II, n. 51838 del 16/10/2013).
5. Il Tribunale di Torino ha, inoltre, compiutamente e
dettagliatamente escluso che i fatti di cui alle due ordinanze custodiali
emesse nei confronti dello Scali fossero legati da concorso formale, da
continuazione o da connessione teleologica, evidenziando correttamente
come nella fattispecie:
– non ricorre il concorso formale tra il reato di cui all’art. 416 bis e
quello di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90, aggravato ai sensi dell’art 7 D.L.
152/1991, non trattandosi di un’unica azione;
-non ricorre il vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., non
ricorrendo elementi per ritenere i due reati espressione di un unico
disegno criminoso, ovvero di un primigenio disegno comprendente
entrambi;
-non ricorre la connessione teleologica, non potendo ragionevolmente
ritenersi che l’attività di narcotraffico fosse gestita allo scopo di
commettere il reato associativo, risultando evidente, invece, che il
narcotraffico era gestito nell’ambito di un consesso criminale
preesistente e tra appartenenti allo stesso.
Con tale valutazione il provvedimento impugnato ha fatto corretta
applicazione del principio espresso da questa corte, secondo cui non
sussiste il vincolo di connessione qualificata, e cioè quello di
continuazione o di connessione teleologica, per l’applicazione della
regola di retrodatazione dei termini di custodia cautelare, in caso di
ordinanza emessa per l’addebito di partecipazione ad associazione di
tipo mafiosa o ad associazione finalizzata al traffico di sostanze
stupefacenti e di altra ordinanza emessa per gli addebiti di reati-fine,
non potendo ritenersi che i reati fine rientrino nel generico programma
associativo, nè che i medesimi siano consumati per “eseguire” il reato
associativo (Sez. I n. 18340 del 11/02/2011).

6

cautelari non è il frutto di una scelta per ritardare la decorrenza della

6. D’altra parte, neppure ricorre nel caso di specie l’ipotesi della
retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare
disposta per differenti reati, per i quali non sussiste una delle ipotesi di
connessione qualificata previste dall’art. 297, comma terzo, cod. proc.
pen., in quanto in tale fattispecie, occorre che al momento
dell’emissione della prima ordinanza, siano già desumibili, dagli atti a
disposizione, gli elementi per emettere il successivo provvedimento e
che i diversi procedimenti siano pendenti davanti alla stessa autorità

pubblico ministero (Sez. VI, 10/12/2012, n. 12610), elementi questi
ultimi, all’evidenza, non ravvisabili nella fattispecie in esame. A ciò si
aggiunga che l’ipotesi in questione non può, di per sé, ritenersi
sussistente per il solo fatto che gli elementi a sostegno della seconda
ordinanza fossero già acquisiti all’atto dell’emissione della prima,
dovendosi anche verificare se essi fossero tali da aver già dato luogo
alla formazione di un quadro indiziario conoscibile ed apprezzabile, nella
sua valenza, dall’autorità giudiziaria procedente (Sez. VI, n. 12610 del
10/12/2012) e da consentire l’emissione del successivo provvedimento
(Sez. VI, 11/02/2013, n. 11807).
7. In considerazione di quanto evidenziato, pertanto, alla luce della
mancata ricorrenza nel caso in esame dei presupposti previsti dall’art.
297/3 c.p.p. e, comunque, ritenuti rilevanti da questa Corte per la
retrodatazione, non si presenta significativa la deduzione del ricorrente
circa la conoscenza da parte della D.D.A. presso la Procura torinese del
procedimento a carico dello Scali per il delitto dei cui all’art. 416 bis
c.p.p., non implicando tale elemento in sé la possibilità di dar luogo
all’invocata retrodatazione.
8. Il ricorso, pertanto, va rigettato ed il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese processuali.
p.q.m.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94,
comma 1 ter, disp.att. c.p.p.
Così deciso il 28.2.2014

giudiziaria e siano stati tenuti separati in conseguenza di una scelta del

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