Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24044 del 28/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24044 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AGOSTINO NICODEMO N. IL 17/09/1972
avverso l’ordinanza n. 397/2013 TRIB. LIBERTA’ di TORINO, del
27/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;
lette/senti
D ott

Data Udienza: 28/02/2014

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale,
Dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTI)
1. Con ordinanza del 27 maggio 2013, il Tribunale di Torino, sezione del
riesame, rigettava l’appello proposto da Agostino Nicodemo, ai sensi dell’art.
310 c.p.p., avverso l’ordinanza del Tribunale di Torino in data 21.2.2013, con la
quale era stata respinta l’istanza di revoca o sostituzione della misura della
custodia in carcere nei confronti di Agostino Nicodemo, detto “il Trentanove”,
in relazione ai capi 1), 6) e 27) della rubrica (partecipazione alla ‘ndrangheta

evidenziava

di essersi occupato della posizione dell’Agostino- attinto da

ordinanza di custodia cautelare in carcere eseguita in data 8.6.2011- prima in
sede di riesame, giusta ordinanza del 17 giugno 2011 e, quindi, in sede di
appello, con ordinanza di rigetto del 6 dicembre 2011, mentre, con l’attuale
appello, la difesa, oltre a ribadire gli argomenti già esposti nelle precedenti
impugnazioni, aggiungeva genericamente l’insussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza in relazione agli addebiti in materia di armi – censure queste ultime
inammissibili, perché del tutto generiche ed esposte nell’appello per la prima
volta – e adduceva che gli operanti, Bonatto e Pampallone, escussi in sede di
dibattimento, non avrebbero esposto elementi in grado di consentire
l’affermazione di responsabilità dell’imputato. A fronte di tali deduzioni il
Tribunale, dopo aver riportato il contenuto delle dichiarazioni di questi ultimi,
concludeva nel senso non risultavano intaccate le valutazioni già reiteratamente
esposte in merito alla gravità del quadro indiziario e, con riguardo alle esigenze
cautelari, rilevava che non era possibile formulare un valutazione diversa da
quella contenuta nella precedente ordinanza ex art. 310 c.p.p.
2. Avverso tale ordinanza l’Agostino ha proposto ricorso per Cassazione,
deducendo il vizio di omessa motivazione nell’ordinanza impugnata, non avendo
il Tribunale dato conto di tutte le deduzioni mosse con l’atto di appello, sia
relative ai gravi indizi di colpevolezza- posto che le intercettazioni riportate
nell’ordinanza applicativa della misura non godono di una lettura univoca ed al
più lasciano desumere una conoscenza personale tra l’Agostino ed alcuni
componenti della locale Cuorgnè – sia relative alle esigenze cautelari, non
essendovi pericolo di inquinamento delle prove, né quello di fuga e neppure il
pericolo concreto che possano essere commessi delitti della stessa specie di
quello per cui si procede, stante la sua incensuratezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato, oltre che
generico.
1. Va innanzitutto evidenziato che il ricorrente, pur lamentando la mancanza
di motivazione dell’ordinanza impugnata, si limita a richiamare, riportandoli nel
testo del ricorso, stralci dell’atto di appello ex art. 310 c.p.p., senza svolgere

1

radicata in Piemonte e reati in materia di armi). Il Tribunale, in particolare,

specifiche censure alle parti del provvedimento impugnato che ometterebbero di
esaminare le sue deduzioni.
2. Giova in proposito richiamare il principio più volte espresso da questa Corte
secondo cui, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con
ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal
tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza,
alla Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare
natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di
merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad

congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. IV, n. 26992 del 29/05/2013).
3. Nell’ordinanza impugnata, invero, con motivazione congrua e completa,
viene dato atto del fatto che, a fronte del quadro indiziario a carico dell’Agostino,
già valutato in sede di riesame e di appello, le testimonianze, dedotte con il
nuovo appello, della Bonatto e del Pampallone, lungi dal collocarsi in favore
dell’imputato appellante non contraddicono il quadro delle intercettazioni poste a
fondamento del titolo cautelare, inserendosi in esso in modo assolutamente
coerente. In particolare, il Pampallone dei C.C. di Ivrea ha evidenziato come
dall’attività di indagine da lui compiuta è emerso che l’Agostino era in contatto
telefonico con Bruno lana, capo del “locale di Cuorgne” e che si incontrava con
lui anche in circostanze conviviali; inoltre, l’Agostino era stato visto prelevare
all’aeroporto Giorgio Demasi, capo società del locale dei Gioiosa Ionica. Il
Tribunale, in relazione a tale episodio, correttamente ha, con ragionamento
logico, immune da censure, evidenziato che solo un elemento di rango del
sodalizio può essere inviato a prelevare all’aeroporto un “pezzo grosso” della
medesima associazione criminale.
Il teste Bonatto, poi, ha esposto il contenuto di un documento trovato a casa di
Cosimo Capece, riguardante un matrimonio e indicante, suddivisi per “locale”,
buona parte degli indagati del procedimento “Minotauro”; in tale documento
l’Agostino è inserito nel gruppo di Cuorgnè.
Tutti tali elementi, esaurientemente analizzati, hanno indotto il Tribunale a
ritenere appunto immutato il quadro indiziario a carico dell’Agostino, a fronte del
quale, le generiche deduzioni miranti a depotenziarlo, tra cui la conoscenza
personale dell’imputato di alcuni componenti della “locale di Cuorgnè”, ascrivibili
alla sua “residenza anagrafica” e alla natura della sua attività lavorativa di
“artigiano edile”, non sono state ritenute significative.
Con riguardo, poi, alle esigenze cautelari, il Tribunale ha evidenziato come
l’Agostino non abbia addotto circostanze sulla base delle quali formulare una
valutazione in merito a tali esigenze, diversa da quella contenuta nella
precedente ordinanza ex art. 310 c.p.p. e su tale valutazione, alcuna specifica
censura risulta mossa in ricorso dal ricorrente. Quest’ultimo, invero, si è limitato

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affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la

genericamente a porre in risalto, come la presunzione della ricorrenza delle
esigenze cautelari, di cui al terzo comma dell’art. 275 c.p.p., debba considerarsi
superata essenzialmente in ragione della sua incensuratezza, circostanza questa
senz’altro in sé insufficiente. Vanno all’uopo richiamati i principi, più volte
espressi da questa Corte, secondo i quali

(Sez. 3, n. 25633 del 08/06/2010) la

presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari con riferimento ai
reati indicati dall’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen., può essere vinta solo
da elementi specifici, che spetta all’interessato dedurre, non essendo sufficiente
lo stato d’incensuratezza, o la circostanza che l’indagato non si sia dato alla

5. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile ed il ricorrente va
condannato al pagamento delle spese processuali, nonché della somma, ritenuta
congrua di euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende
p.q.m.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 28.2.2014

fuga (Sez. 3, n. 25633 del 08/06/2010)

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