Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24043 del 28/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24043 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NEPI MAURO ANTONIO N. IL 14/06/1982
avverso l’ordinanza n. 1676/2013 TRIB. LIBERTA’ di MILANO, del
31/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;
ntite le conclusioni del PG Dott.

Udi

Data Udienza: 28/02/2014

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del
ricorso

RITENUTO IN FATTO
1.11 Tribunale di Milano,

con ordinanza del 31 ottobre 2013,

accoglieva l’appello, proposto ai sensi dell’art. 310 c.p.p., in data 11
ottobre 2013, dal P.M. del locale Tribunale, ripristinando nei confronti
di Nepi Mauro Antonio la custodia cautelare in carcere, in luogo della

del 9 ottobre 2013 dal Giudice per le indagini preliminari di Milano.
Il Tribunale, premetteva: che il Nepi era detenuto dal 27.8.2013,
giusta ordinanza 23.8.2013 del Gip presso Tribunale di Milano, in
relazione al delitto di cui agli artt. 582, comma 1, e 583, comma 2, n.
1 c.p., per aver colpito con pugni al capo Alessandri Maurizio,
procurandogli “un trauma cranico commotivo con focolai contusivi
emorragici in sede temporale basale destra e frontale sinistra, e
fratture craniche”, lesioni a seguito delle quali il predetto Alessandri
veniva ricoverato con prognosi riservata presso l’Istituto Clinico Città
Studi di Milano, con l’aggravante di aver cagionato alla persona offesa
una lesione gravissima, certamente o probabilmente insanabile; che
l’episodio in questione era riconducibile alla situazione di grave
conflittualità tra la famiglia della vittima e quella della fidanzata
dell’aggressore, Dell’Aglio Giorgia, tanto che, il giorno dei fatti, il Nepi
era stato chiamato in soccorso della famiglia della predetta perché
l’Alessandri aveva sferrato uno schiaffo a Nigrettí Michelina, madre
della Dell’Aglio, rompendole gli occhiali e procurandole lesioni; che il
GIP, pur evidenziando la persistente gravità delle condizioni
neurologiche dell’Alessandri -per una “compromissione globale delle
funzioni esecutive” – aveva accolto l’ istanza difensiva di sostituzione
della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, valorizzando due
elementi sopravvenuti allegati dal difensore: l’intervenuta assoluzione
del Nepi per l’unico procedimento pendente nei suoi confronti, nonché
della resipiscenza manifestata in relazione ai fatti, anche attraverso
l’offerta di una somma di denaro (euro 3000,00 a titolo di acconto) ai
familiari della vittima, accompagnata da una lettera di scuse.
Tanto premesso, il Tribunale, condividendo nella sostanza le deduzioni
del P.M., e richiamando la valutazione effettuata in sede di riesame
circa la pericolosità del Nepi, la gravità delle lesioni riportate
dall’Alessandri con compromissione cognitiva globale, riteneva che gli
1

misura degli arresti domiciliari, quest’ultima disposta con ordinanza

elementi addotti dalla difesa a fondamento dell’istanza de libertate
non fossero tali da modificare sostanzialmente il quadro cautelare,
alla stregua delle conversazioni intercettate a breve distanza dai fatti,
che dimostravano la carenza in capo all’indagato di qualsiasi
consapevolezza della gravità di quanto commesso e del sentimento di
resipiscenza, nonché le stesse modalità del fatto, ossia l’essersi
recato appositamente presso l’abitazione dell’Alessandri, invitandolo a
scendere per risolvere la situazione e colpendolo immediatamente con

sx e uno all’altezza dell’occhio, come da frattura del tetto dell’orbita
destra). A fronte di tali circostanze, concludeva il tribunale, la scarna
lettera di scuse indirizzata alla vittima non appariva sintomatica di
effettiva resipiscenza per quanto commesso, ma meramente
strumentale alla presentazione della successiva richiesta di
attenuazione della misura, depositata quattro giorni dopo, così come
lo stesso versamento della somma di 3000 euro, rappresentante un
minimo acconto in considerazione della entità dei danni subiti,
elementi tutti non incidenti sulla persistente gravità dei fatti, né sulla
sussistenza, valutata dal Tribunale del riesame nel provvedimento ev
art. 309 c.p.p., delle esigenze di cui all’art. 274 lett. a) e c) c.p.p., nè
infine sulla misura idonea al loro perseguimento, che andava ancora
individuata in quella carceraria, consentendo solo una forma di etero
controllo continuo e costante dell’indagato di evitare il pericolo che lo
stesso possa farsi giustizia da sé, con l’uso della violenza, reiterando
analoghe condotte di violenza alla persona.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il Nepi, deducendo il
vizio di violazione di legge, di motivazione e di manifesta illogicità del
provvedimento impugnato, atteso che l’ordinanza impugnata si fonda
su astratti pericoli di reiterazione della condotta criminosa e di
inquinamento probatorio. Premesso che l’Alessandri è stato colpito
con un pugno al volto e perdendo l’equilibrio è caduto violenteinellie
con la testa al suolo, sicchè si è trattato di conseguenze gravi andate
oltre le intenzioni del ricorrente, nella fattispecie in esame deve
ritenersi insussistente il pericolo di reiterazione della condotta
criminosa, non essendo supportato da elementi certi e concreti;
inoltre, risulta disatteso il criterio di adeguatezza della misura,
laddove la misura degli arresti domiciliari si presenta idonea a
salvaguardare le esigenze cautelari, così come risulta insussistente il

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almeno due pugni (uno alla bocca, come da ferita al labbro inferiore

pericolo di inquinamento probatorio alla luce delle dichiarazioni
confessorie rese.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1.

Giova ribadire, innanzitutto, che il controllo di legittimità in

relazione ai provvedimenti de libertate è circoscritto all’esclusivo esame
dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia
rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la

giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di
illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento (Sez. 6, sent. n. 2146 del 25.05.1995,
Tontoli

ed

altro,

Rv.

201840).

Qualora, pertanto, venga impugnato con ricorso per cassazione il
provvedimento del tribunale per il riesame di ripristino della misura
inframuraria, il controllo della Corte Suprema è limitato al riscontro della
violazione di specifiche norme di legge e dell’esistenza di una
motivazione logica in ordine ai punti censurati, ed in particolare in
merito alla ritenuta inidoneità dei fatti nuovi addotti dall’indagato a
determinare la rivalutazione di quelli già apprezzati in sede di
applicazione della più grave misura custodiale, con attenuazione della
stessa (arg. ex Sez.I n. 15097 del 19/01/2007).
Così delimitato l’ambito di intervento della Corte di Cassazione, va
detto anche che il vizio di motivazione ricorre allorquando l’iter
argomentativo che ha condotto alla decisione si dimostri incompleto,
avulso dalle risultanze di causa, privo del necessario rigore e della
necessaria coerenza e consequenzialità logica (Sez. 3, n. 46727 del
12.07.2012).
2. Alla stregua degli indicati principi, questa Corte non riscontra nel
caso in esame l’erronea applicazione di norme di legge ed i vizi di
motivazione nell’ordinanza impugnata lamentati dal

ricorrente.

Ed invero, il Tribunale di Milano, con argomentazioni congrue- dopo aver
compiutamente richiamato le ragioni che già lo avevano indotto pochi
giorni prima dell’attenuazione, a ritenere, in sede di riesame, unica
misura adeguata al perseguimento delle esigenze di cui all’art. 274
lettere a) e c) c.p.p. quella carceraria e segnatamente: la gravità e le
modalità dei fatti posti in essere dal Nepi indicative di un’indole violenta,
incline a farsi giustizia da sé ed il contenuto delle conversazioni
intercettate dopo i fatti, che lasciavano intendere come, nonostante le

3

cui presenza rende l’atto incensurabile: 1) – l’esposizione delle ragioni

gravi lesioni inferte, l’indagato sia pronto nuovamente a porre in essere
azioni aggressive- si è soffermato proprio sul contenuto di tali
conversazioni. In particolare, secondo il Tribunale, il tenore della
conversazione intercettata in data 16.7.2013, a poca distanza dai fatti,
dimostra la carenza in capo all’indagato di qualsiasi consapevolezza della
gravità di quanto accaduto e di qualsiasi sentimento di resipiscenza,
posto che all’affermazione dell’altro interlocutore “pensavo fossi in
galera” “hai stroncato un cristiano” il Nepi rideva; del pari, anche la

incline a risolvere questioni personali e familiari con violenza e conferma
ancor più la carenza di un percorso di rivisitazione critica della propria
condotta.
A fronte di tali elementi il Tribunale, quindi, senza illogicità

ha

concluso che la scarna lettera di scuse dell’indagato ed il versamento del
minimo acconto di € 3000,00 a titolo di risarcimento danni costituiscono
solo un passo meramente iniziale che non denotano in sé un concreto
allontanamento dalle logiche violente. Tali fatti in particolare, come
ritenuto correttamente nel provvedimento impugnato, non paiono
indicativi della elisione od attenuazione del pericolo di reiterazione della
condotta criminosa di cui all’art. 274 lett. c) c.p.p., quanto piuttosto
meramente strumentali alla presentazione delle richiesta di attenuazione
della misura e, comunque, la misura più lieve degli arresti domiciliari
non scongiurerebbe, alla stregua dell’indole del Nepi, come palesata
anche dal tenore delle conversazioni intercettate, la possibilità che lo
stesso violi le prescrizioni ed intervenga con ulteriori condotte lesive ai
danni dei soggetti coinvolti.
La circostanza, poi, che il Nepi sia stato assolto dal delitto di
simulazione di reato a lui ascritto in altro processo correttamente non è
stata ritenuta dal Tribunale significativa, trattandosi di fattispecie
eterogenea rispetto al reato per cui si procede.
Inoltre, il Tribunale ha senza illogicità desunto la ricorrenza del pericolo
di inquinamento probatorio dal tenore della conversazione intercettata
tra la fidanzata del Nepi ed altra persona nel corso della quale la stessa
si dimostrava istruita su cosa riferire ai carabinieri e l’indagato si era
informato su cosa riferire ai carabinieri, sicchè l’indagato potrebbe
essere ulteriormente indotto a sminuire l’entità e la gravità delle sue
condotte anche tramite la fidanzata.
3. Il ricorso va, pertanto, rigettato ed il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese.
4

conversazione telefonica del 25 luglio 2013 rivela l’indole del prevenuto

p.q.m.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti ex art. 310 c.p.p.
Così deci

il 28.2.2014

Il o ci ere estensore

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