Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24036 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24036 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BONO MARIA GRAZIA N. IL 19/05/1930
BONO MARIA FRANCA N. IL 23/12/1955
avverso la sentenza n. 5/2012 TRIB.SEZ.DIST. di PARTINICO, del
21/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la rte civile, l’Avv
Udit i ensor Avv.

Data Udienza: 27/05/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Giuseppe Volpe, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Bono Maria Grazia e Bono Maria Franca sono state condannate dal

giudice di pace di Partinico alla pena di giorni 20 di permanenza
domiciliare ed al risarcimento dei danni morali in favore della parte civile

2.

Il tribunale di Palermo, sezione distaccata di Partinico, valutate

positivamente le dichiarazioni della persona offesa, ha confermato la
sentenza di primo grado.
3.

Entrambe le imputate, con due analoghi ricorsi per cassazione,

espongono i seguenti motivi di censura:
a.

mancanza, contraddittorietà e manifesta infondatezza della
motivazione in ordine alla valutazione di attendibilità delle
dichiarazioni rese dalla persona offesa, evidenziando una
contraddittorietà relativamente al soggetto che avrebbe
chiamato i carabinieri. Sulla base di tale eccezione, sarebbero
stati necessari riscontri esterni, che nel caso di specie
mancano del tutto.

b. Inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 52, comma
2, lettera a), del decreto legislativo 274-2000 e 69 cod. pen..
Sotto tale profilo si lamenta che sia stata applicata la
permanenza domiciliare al di fuori dei presupposti di legge, in
quanto sebbene l’ingiuria aggravata superi come pena
massima i sei mesi di reclusione e dunque consenta tale
sanzione, pur tuttavia nel caso di specie la concessione delle
attenuanti generiche equivalenti manteneva la pena massima
edittale entro i sei mesi, per i quali può essere irrogata solo la
pena pecuniaria fino ad euro 2582,28.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato; innanzitutto si rileva che la
manifesta infondatezza della motivazione non è prevista tra i vizi
ricorribili per cassazione ai sensi dell’articolo 606 del codice di procedura
1

per i reati di cui agli articoli 594 e 612 cod. pen..

penale; in secondo luogoa la pretesa contraddizione tra quanto affermato
in querela e quanto dichiarato in dibattimento non solo difetta della
necessaria allegazione (e quindi rende il ricorso non autosufficiente), ma
altresì contraddetta da quanto affermato alla pagina quattro della
sentenza, ove si precisa che l’incongruenza non sussiste per avere la
persona offesa sempre dichiarato che erano state le imputate a
richiedere l’intervento dei carabinieri. In ogni caso, si tratterebbe di una
lieve difformità che non inficia, secondo quanto accertato dai giudici di

valutazione di attendibilità della persona offesa, la motivazione è molto
approfondita e priva di vizi logici e pertanto non sindacabile in
cassazione (si vedano le pagine 3 e 4 della sentenza, ove l’indagine
viene effettuata sotto il triplice profilo dell’attendibilità soggettiva,
dell’attendibilità oggettiva intrinseca e dell’attendibilità oggettiva
estrinseca).
2. Con riferimento aVi riscontri esterni, essendovi stato un vaglio così
approfondito dell’attendibilità della testimone, essi non sarebbero
necessari; in ogni caso, vi si fa riferimento alla pagina quattro, terzo e
quarto capoverso, della sentenza.
3. Il secondo motivo di ricorso non può essere utilmente esaminato da
questa Corte, in presenza di una incertezza sulla sussistenza delle
aggravanti contestate; sul punto si riscontra un palese vizio di
motivazione che non è possibile sciogliere avuto riguardo alle
modalità di determinazione della pena. Occorre rilevare, infatti, che
se alcuna aggravante fosse stata ritenuta, il problema giuridico non si
porrebbe, perché il reato di cui all’art. 612, comma 1, c.p. è di
competenza del giudice di pace e non rientra nei limiti di pena per
l’applicazione della permanenza domiciliare ai sensi dell’articolo 52,
comma 2, lettera a), del decreto legislativo 274-2000. Lo stesso è a
dirsi per il reato di cui all’art. 594, con la differenza che l’aggravante
contestata porterebbe il reato sopra i sei mesi e quindi nel campo di
applicazione della permanenza domiciliare. Ma, se le aggravanti sono
state escluse, il problema non si pone, perché la pena è sicuramente
illegittima (essendo il reato, non aggravato, di cui all’art. 594 punibile
con pena fino a sei mesi di reclusione o con la multa). Diventa
dunque, preliminare accertare se una o più aggravanti sono state
ritenute.

merito, l’attendibilità della persona offesa. Proprio in merito alla

4.

La sentenza di primo grado non dice nulla, sul punto, in motivazione;
nel calcolo della pena, poi, si parte direttamente dalla permanenza
domiciliare, si fa l’aumento per la continuazione con la minaccia e si
riduce di 1/3 per le attenuanti generiche. Quindi, si può ritenere che
o l’aggravante non è stata ritenuta, ovvero è stata ritenuta con il
riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti.

5. La sentenza d’appello, invece di chiarire, si limita a dichiarare che il
giudice di primo grado ha ritenuto sussistente il reato con le

avrebbe ritenuto in fatto configurata l’aggravante di cui al 594, co.III
(senza che, sul punto, vi sia alcun cenno nella sentenza di prime
cure).
6.

E’ evidente, dunque, l’incertezza su un punto determinante per
l’esame della questione di diritto proposta dall’imputato. E’ pertanto
necessario che il giudice di merito spieghi in modo chiaro ed
approfondito se la o le aggravanti siano state ritenute e se le
attenuanti generiche siano state applicate sulla pena per il reato non
aggravato oppure in prevalenza con giudizio di bilanciamento.

7.

Ne consegue che la sentenza deve essere annullata in punto
determinazione della pena; il giudice di rinvio dovrà precisare, anche
alla luce del dispositivo e della motivazione di quella di primo grado,
se siano state o meno ritenute le aggravanti contestate (compresa
l’aggravante di cui all’art. 594, co. III, di cui riferisce il tribunale a
pag. 4, ultimo capoverso).

p.q.m.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione
della pena, con rinvio al tribunale di Palermo per nuovo esame sul punto.
Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso il 27/05/2014

aggravanti contestate e addirittura afferma che il giudice di pace

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