Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24029 del 07/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24029 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TARANTINO DOROTEA N. IL 04/02/1956
avverso la sentenza n. 3/2012 TRIBUNALE di CATANZARO, del
20/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
re Generale in sers

Udito, per la pa e civile, l’Avv
Udit i difens

Data Udienza: 07/05/2014

udito il PG in persona del sost.proc.gen. dott. G. Izzo, che ha chiesto dichiararsi inammissibile
il ricorso,
udito il difensore avv. F. Santacroce che si è riportato al ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, il tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice
d’appello, ha confermato la pronuncia di primo grado, con la quale Tarantino Dorotea fu
condannata alla pena di giustizia, oltre al risarcimento del danno, in quanto riconosciuta
colpevole del delitto di cui all’articolo 594 cp per aver apostrofato con l’epiteto di “bastardo” il
sindaco del comune di Pentone.
2. Con il ricorso, si articolano quattro censure.
2.1. Prima censura: violazione di legge e carenze dell’apparato motivazionale, atteso
che il giudice di appello non ha accolto l’eccezione di improcedibilità dell’azione penale in
ordine al difetto di querela e quindi violazione degli articoli 336 e 337 del codice di rito. Il nome
di Tarantino Dorotea, persona ben conosciuta dal sindaco di Pentone, compare in un esposto
privo di istanza punitiva, seguito da una querela, nella quale il predetto nome non figura.
Stranamente il nome Tarantino Dorotea emerge in dibattimento, nelle dichiarazioni della
presunta persona offesa. È evidente dunque che, nei confronti dell’imputata, non fu formulata
per tempo valida istanza punitiva. Il tribunale, investito della questione, ha apoditticamente
sostenuto la regolarità dell’istanza punitiva anche nei confronti della ricorrente.
2.2. Seconda censura: carenza dell’apparato motivazionale in ordine al mancato
accoglimento dell’eccezione di nullità della sentenza del giudice di pace per violazione del
principio di formazione della prova nel dibattimento, con contestuale violazione degli articoli
431 e 234 cpp. È stata utilizzata per la decisione la comunicazione notizia di reato dei
carabinieri, quale riscontro alle dichiarazioni della teste Capicotto. Il tribunale sostiene che ciò
non si è verificato, ma dagli atti risulta diversamente. Ebbene detto supporto documentale,
non solo non poteva essere utilizzato per ragioni processuali, ma, di fatto, non risulta mai
nemmeno formalmente acquisito al fascicolo del dibattimento.
2.3. Terza censura: violazione di legge, avendo il giudice di appello “travisato la ratio e
l’oggetto giuridico previsto all’articolo 594 cp” (così testualmente), in quanto manca l’elemento
materiale del reato contestato, atteso che, quando sarebbe stata pronunziata la parola
ingiuriosa, il sindaco era in terra privo di sensi, essendo stato poco prima aggredito da altri
soggetti. La espressione in realtà non fu udita dal sindaco, ma da altra persona, l’impiegata
comunale Capicotto. Tale circostanza, seppur fosse vera, sarebbe irrilevante ai fini della
sussistenza del reato contestato. In merito, il tribunale sostiene che, se anche il sindaco non
ha udito le precise parole rivolte nei suoi confronti, è tuttavia sufficiente che egli abbia
compreso che nei suoi confronti era stata pronunziata una espressione dal contenuto offensivo.
Si tratta in realtà di un’affermazione sganciata dagli elementi fattuali emersi in corso di
dibattimento in quanto, nel verbale di s.i.t. , utilizzato per le contestazioni, la persona offesa
ha sostenuto l’esatto contrario di quel che si legge in sentenza. D’altra parte, non è stata
effettuata alcuna valutazione in ordine alla credibilità del sindaco (che si è costituito parte
civile) e della teste Capicotto, la quale, in quanto dipendente comunale e cugina del sindaco,è
persona legata strettamente allo stesso.
2.4. Quarta censura: violazione di legge per erronea applicazione dei criteri in base ai
quali stabilire il trattamento sanzionatorio e in particolare al concreto calcolo della pena e
all’errata valutazione delle costanze attenuanti, che andavano concesse in misura prevalente
sulla contestata aggravante, essendo del tutto immotivato il giudizio di bilanciamento,
considerata la incensuratezza dell’imputata. Parimenti è priva di qualsiasi supporto
argonnentativo la quantificazione del danno in C 400, che rappresenta obiettivamente somma
eccessiva se rapportata alla effettiva esiguità dell’azione asseritamente compiuta dalla
Tarantino.

RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso articola in parte censure irrilevanti o già prospettate al giudice di appello e
motivatamente respinte (dunque, sotto tale profilo, esso appare inammissibile), in parte
propone censure infondate.

3. Quanto alla seconda censura, quale che ne sia il fondamento, è di tutta evidenza che,
facendo ricorso la cosiddetta prova di resistenza, si giunge agevolmente alla valutazione di
irrilevanza della comunicazione notizie di reato, in quanto i giudici del merito hanno fondato il
loro convincimento essenzialmente sulle dichiarazioni della persona offesa, suffragate dalle
dichiarazioni della teste Capicollo. D’altra parte, nemmeno la stessa ricorrente nega
esplicitamente di aver proferito l’espressione “bastardo”, limitandosi a sostenere che il sindaco
non era stato in grado di udirla.
4. La terza censura è interamente formulata in fatto. Il tribunale sostiene che la
persona offesa per quanto fosse caduta al suolo perché vittima di un’aggressione, aveva udito
e compreso l’ingiuria che nei suoi confronti veniva formulata. Secondo quanto si legge nello
stesso ricorso, nel verbale s.i.t., il sindaco ebbe a dichiarare di essere caduto a terra privo di
sensi, ma ciò non sta a significare che a terra sia rimasto privo di sensi per un tempo
sufficiente a mantenerlo in stato di incoscienza fino al momento in cui la Tarantino lo apostrofò
nella maniera sopraindicata.
5. Quanto alla ultima censura è noto che in tema di attenuanti generiche, posto che la
ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un
adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in
considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni, tanto del fatto, quanto del soggetto
che di esso si è reso responsabile. Ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non
può mai essere data per scontata o per presunta, in modo da dar luogo all’obbligo, per il
giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo,
l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa,
quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli
elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio;
trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola
condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle
attenuanti in questione, indichi plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta,
senza che ciò comporti, tuttavia, la stretta necessità della contestazione o della invalidazione
degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (ASN 199211361-RV 192381).
5.1. Per altro, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego
della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in
considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi
e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni
ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (ASN
199403772-RV 196880).
In realtà, nel concedere o negare le attenuanti generiche, il giudice di merito è investito di un
ampio potere discrezionale, che, pur non essendo sottratto al controllo di legittimità (dovendo
il giudice medesimo dare conto delle precise ragioni e dei criteri utilizzati per la concessione o il
rifiuto di concessione, con l’indicazione degli elementi reputati decisivi nella scelta compiuta),
non si traduce nella necessità di valutare analiticamente tutte le circostanze rilevanti, in
positivo o in negativo (ASN 199912496-RV 214570).
5.2. D’altra parte, il mero stato di incensuratezza, per esplicita disposizione del
legislatore (L. 125/2008), non può giustificare il riconoscimento delle predette attenuanti.

2. Quanto alla prima censura, il giudice di appello ha chiarito che la querela, presentata
successivamente all’esposto, faceva riferimento alle persone indicate nell’esposto stesso; si
deve dunque ritenere che l’istanza punitiva nei confronti della Tarantino è stata validamente
formulata, sia pure per relationem. D’altra parte, la costituzione di parte civile anche in danno
della predetta è riprova della volontà di chiedere la punizione in sede penale dell’imputata (cfr.
ASN 201119077-RV 250318).

6. La liquidazione del danno è stata effettuata, evidentemente, in via equitativa.
7. In conclusione il ricorso merita rigetto e la ricorrente va condannata alle spese del
grado.
PQM
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma in data 7 maggio 2014.-

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