Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24025 del 07/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24025 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PISCITELLO ANGELO N. IL 16/11/1940
avverso la sentenza n. 1733/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 11/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per pl—Ttdri,
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Data Udienza: 07/05/2014

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 11/04/2013 la Corte d’appello di Palermo, per quanto ancora rileva, ha
confermato l’affermazione di responsabilità di Angelo Piscitello, ritenuto amministratore di
fatto della ARIS (Accademia regionale istruzione non statale) s.r.I., dichiarata fallita in data
02/11/2001, in relazione al reato di cui agli artt. 216, comma primo, n. 2 e 223 I. fall. per
avere, allo scopo di arrecare pregiudizio ai creditori e di ottenere un ingiusto profitto,
occultato o distrutto le scritture contabili in modo da non poter ricostruire il patrimonio e il
movimento degli affari.

che era il Piscitello a gestire l’attività svolta dalla società, come di altre scuole private avviate
a Palermo e provincia, ha sottolineato: a) che non corrispondeva al vero che
l’amministratrice di diritto avesse dichiarato al curatore che i libri e le scritture contabili
erano detenute dal figlio dell’imputato, Carmelo Piscitello, in quanto ella aveva, al contrario,
escluso ogni interferenza di quest’ultimo nella gestione della società; b) che era stato
piuttosto l’imputato, nell’evidente tentativo di discolparsi, a riferire la circostanza; c) che,
pertanto, in ragione della posizione apicale ricoperta dall’imputato, a lui doveva essere
attribuita la responsabilità per la sottrazione o la distruzione delle scritture contabili, la cui
originaria esistenza era dimostrata proprio dalle dichiarazioni del primo, anche se
quest’ultimo aveva poi affermato che esse erano tenute dal figlio; d) che la sussistenza del
dolo specifico emergeva proprio dall’assoluta impossibilità di ricostruire il patrimonio della
società, con conseguente pregiudizio per i creditori; e) che le circostanze attenuanti
generiche non potevano essere riconosciute, in ragione della complessiva trama fraudolenta
posta in essere e dei plurimi precedenti penali, e che il danno patrimoniale di speciale
tenuità non poteva essere accertato in ragione dell’assoluta impossibilità di ricostruire il
patrimonio e il movimento degli affari dell’impresa.
2. Nell’interesse del Piscitello è stato proposto ricorso per cassazione affidato ai seguenti
motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione degli artt. 178, lett. b),
179, 523 cod. proc. pen., per avere la Corte territoriale escluso la nullità della sentenza di
primo grado, nonostante che il p.m. avesse omesso di formulare le proprie conclusioni,
essendosi genericamente riportato alle “conclusioni già effettuate”, della cui esistenza non si
rinveniva traccia negli atti processuali, riconosciuto dalla stessa Corte territoriale.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione degli artt. 216,
comma primo, n. 2, e 223 I. fall., rilevando: a) che la sentenza di secondo grado — l’unica
che conteneva un apparato argomentativo sul punto — aveva recepito assiomaticamente
l’accertamento del ruolo di amministratore di fatto dell’imputato, trascurando le dichiarazioni
di Francesco Montaperto; b) che la relazione del curatore fallimentare confermava ciò che la
sentenza di secondo grado aveva escluso, ossia che le scritture contabili erano detenute da
Carmelo Piscitello; c) che la Corte territoriale aveva trascurato di esaminare quanto riferito al

La Corte territoriale, dopo avere rilevato che, alla stregua delle prove raccolte, era emerso

curatore da Antonella Patti e aveva attribuito solo all’imputato la dichiarazione che le
scritture erano detenute da Carmelo Piscitello, senza indicare la fonte di tale convincimento;
d) che la Corte territoriale neppure aveva indicato da quale emergenza probatoria risultasse
l’originaria esistenza delle scritture contabili e la loro successiva distruzione ad opera
dell’imputato, se non facendo riferimento alle stesse dichiarazioni dell’imputato, che ne
aveva attribuito la detenzione a Carmelo Piscitello; e) che illogico era, per un verso, reputare
tali dichiarazioni inattendibili, quanto all’attribuzione ad altri del compito di conservare le
scritture e, per altro verso, considerarle attendibili, quanto alla dimostrazione dell’originaria

sussistenza del dolo specifico, peraltro argomentato in presenza di un solo creditore.
2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione degli art. 62, n. 4, 62 bis
cod. pen. e 219, ult. co . I. fall., per avere la Corte territoriale escluso la sussistenza delle
invocate circostanze attenuanti, argomentando dalla mancanza delle scritture contabili, che
aveva impedito la ricostruzione della consistenza patrimoniale dell’impresa.
Rileva il ricorrente che il mancato rinvenimento delle scritture contabili non dimostra
l’esistenza di un danno patrimoniale consistente e aggiunge che, nel caso di specie, si era
registrata solo un’istanza di ammissione al passivo di modesto importo.

Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto la nullità prevista dall’art. 178, comma 1,
lett. b) consegue all’inosservanza delle disposizioni concernenti la partecipazione del P.M. al
procedimento e non discende dalle modalità attraverso le quali l’organo dell’accusa ritenga di
esercitare le facoltà riconosciute dall’ordinamento e, per quanto qui rileva, di formulare le
conclusioni, ai sensi dell’art. 523, comma 1, cod. proc. pen.
Coerente con siffatta premessa è l’affermazione di questa Corte, secondo cui non dà luogo
alla nullità generale per difetto di partecipazione al procedimento del pubblico ministero,
l’essersi quest’ultimo limitato, in esito al giudizio, a rassegnare le proprie conclusioni solo in
rito e non anche nel merito, in quanto il dovere di partecipazione deve essere valutato in
ordine all’an e non al quomodo (Sez. 3, n. 5498 del 02/12/2008 – dep. 09/02/2009, Isola,
Rv. 242482; per l’affermazione di quest’ultimo principio, v. anche Sez. 1, n. 23814 del
12/05/2009, Fichera, Rv. 244646).
Pertanto, il fatto che il P.M. si sia riportato a precedenti conclusioni mai rassegnate non è
riconducibile alla nullità in questione.
2. Il secondo motivo è, del pari, nel suo complesso infondato.
Per quanto concerne il ruolo di amministratore di fatto attribuito all’imputato, il ricorrente
omette assolutamente di considerare le univoche dichiarazioni rese dall’amministratrice di
diritto, Antonella Patti, le risultanze della relazione del curatore, le dichiarazioni di Giuseppina
Garda, dipendente, ossia gli elementi valorizzati dalla Corte territoriale, e concentra la sua
attenzione sulle dichiarazioni di Francesco Montaperto, nipote del Piscitello, le quali, peraltro,
nella copia allegata al ricorso, muovono dalla premessa che il primo fosse il legale

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esistenza delle scritture stesse; f) che del pari apodittica era la conclusione relativa alla

rappresentante della Euroscuola s.r.I., soggetto diverso dalla società della quale ci si occupa
(come confermato dall’elenco degli istituti menzionati a pag. 4 della sentenza di primo
grado).
Quanto all’istituzione delle scritture contabili e alla loro conservazione, a pag. 154 della
relazione del curatore (richiamata dal ricorrente a pag. 8), si legge che la Patti aveva
dichiarato di non saperne nulla e che presumeva che fossero custodite dal Carmelo Piscitello,
senza fornire alcuna base obiettiva a siffatta deduzione.
Ne discende che non palesa alcuna manifesta illogicità la sentenza impugnata, nella parte in

scritture contabili e afferma la responsabilità dello stesso, in ragione del ruolo apicale
ricoperto, per la sottrazione delle stesse, al fine di rendere impossibile — come infatti è
accaduto — la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della società fallita.
3. Infondato è, infine, il terzo motivo.
Come anche di recente ribadito da questa Corte, in tema di bancarotta fraudolenta
documentale, la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 219, comma terzo, legge fall., deve
essere valutata in relazione al danno causato alla massa creditoria in seguito all’incidenza
che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni
revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori (Sez. 5, n. 19304 del
18/01/2013, Turnminelli, Rv. 255439).
Proprio in tale linea argomentativa si colloca la sentenza impugnata, che ha valorizzato
l’impossibilità di ricostruire la consistenza del patrimonio e il movimento degli affari,
pregiudicando l’esercizio di eventuali azioni revocatorie.
Le critiche del ricorrente, peraltro, oltre a menzionare un’unica istanza di ammissione al
passivo, laddove la sentenza di primo grado, a pag. 7, ricorda, senza essere in alcun modo
contrastata, anche l’insinuazione nel passivo di un altro creditore, appaiono sul punto
assolutamente generiche, anche quanto alla deduzione dell’unico credito indicato e del suo
importo.
Escluso, inoltre, che in materia fallimentare possa venire in questione la circostanza
attenuante comune di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., in forza del principio di specialità (Sez.
5, n. 6011 del 19/03/1985, Tessa, Rv. 169792), deve, infine, aggiungersi che la Corte
territoriale, con motivazione che non esibisce alcuna manifesta illogicità, ha negato il
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in ragione della complessiva trama
fraudolenta posta in essere e dei plurimi precedenti penali, che sono oggetto di critiche prive
di ogni specificità.
4. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 07/05/2014

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cui, muovendo dalle conformi dichiarazioni dell’imputato, ritiene dimostrata l’istituzione delle

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