Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24024 del 07/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24024 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MASELLA MAURIZIO N. IL 18/05/1972
avverso la sentenza n. 789/2012 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 31/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
che ha concluso per

Data Udienza: 07/05/2014

udito il PG in persona del sost.proc.gen. dott. G. Izzo, che ha chiesto rigettarsi il ricorso,
udito il difensore avv. C. Romano, cha illustrato il ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO

2. Con il ricorso deduce due censure.
2.1. Prima censura: violazione dell’articolo 192 comma terzo cpp, in quanto non è stata
fornita la prova del dolo né per quel che riguarda la bancarotta distrattiva, né per quel che
riguarda la bancarotta documentale. Masella non aveva alcuna intenzione di sottrarre il
patrimonio alla garanzia dei creditori e non vi è prova che lo stesso abbia proseguito l’attività
fino al momento del fallimento; neanche vi è prova del fatto che i beni di cui l’azienda era
ancora in possesso valessero quanto indicato nel capo d’imputazione. Si tratta di mere
deduzioni. In ogni caso l’imputato non ha perseguito lo scopo di impedire la ricostruzione del
patrimonio aziendale e del movimento d’affari.
2.2. Seconda censura: “manifesta infondatezza della sentenza” (testuale). Invero non è
stato provato l’intento di frodare i creditori per quel che riguarda la bancarotta documentale.
La giurisprudenza ha chiarito che la motivazione di una sentenza non può riposare su mere
ipotesi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il ricorso si ripropongono, sostanzialmente, censure già prospettate al giudice di
appello e motivatamente respinte. Dette censure, peraltro, sono del tutto destituite di
fondamento.
1.1. Il ricorso pertanto è da qualificarsi inammissibile e il ricorrente va condannato alle
spese del grado, oltre al versamento di somma a favore della cassa delle ammende, somma
che si stima equo determinare in € 1000.
2. Costituisce jus receptum (es. ASN 201021872-RV 247444) il principio in base al
quale l’integrazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla seconda
ipotesi dell’art. 216, comma primo n. 2, L.F. richiede il dolo generico, ossia la consapevolezza
che la confusa tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle
vicende del patrimonio, in quanto la locuzione “in guisa da non rendere possibile la
ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari” connota la condotta e non la
volontà dell’agente, sicché è da escludere che essa configuri il dolo specifico.
Invero, mentre per la configurazione delle ipotesi di reato di sottrazione, distruzione o
falsificazione di libri e scritture contabili, per espresso dettato dell’articolo 216, primo comma
LF, è necessario il dolo specifico (consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un
ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori), per le ipotesi di irregolare tenuta della
contabilità, caratterizzate dalla tenuta delle scritture in maniera da non rendere possibile la
ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, è richiesto invece il semplice dolo
intenzionale, perché la finalità dell’agente è riferita a un elemento costitutivo della stessa
fattispecie oggettiva -l’impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari dell’impresa- anziché
a un elemento ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, quale è il pregiudizio
per i creditori (ASN 200005905-RV 216267).
Ciò per quel che riguarda la bancarotta fraudolenta documentale.

1. La corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con la sentenza di cui in
epigrafe, ha confermato la pronuncia di primo grado, con la quale Masella Maurizio fu
condannato alla pena di giustizia per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in
relazione al fallimento della ditta individuale PROGETTO SUONO, dichiarato con sentenza del
29 aprile 2005.

3. Quanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva, è noto che, una volta accertato che
l’imprenditore ha avuto nella sua disponibilità determinati beni, nel caso in cui egli non renda
conto del loro mancato reperimento, né sappia giustificarne la destinazione per effettive
necessità dell’impresa, si deve dedurre che gli stessi siano stati dolosamente distratti; ciò in
quanto il fallito ha l’obbligo giuridico di fornire dimostrazione della destinazione dei. benijm

acquisiti al suo patrimonio (ASN 199907569-RV 213636). Di talché la prova della distrazione o
dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita ben può essere desunta dalla mancata
dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei beni (ASN 200907048-RV
243295).
3.1. Dunque, quale che fosse il valore dei beni dei quali la ditta individuale doveva
essere in possesso, sta di fatto che detti beni non furono reperiti e che, in merito alla loro
sorte, nessuna indicazione (per quanto è dato desumere dalla sentenza impugnata) è stata
fornita.
3.2. Irrilevante è poi il momento in cui l’attività di impresa sia effettivamente cessata,
essendo unicamente rilevante la condotta distrattiva e la dichiarazione di fallimento.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
dell’procedimento e al versamento della somma di euro 1000 a favore della cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma in data 7 maggio 2014.-

PQM

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